Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna sezione II sentenza n. 182 depositata il 27 febbraio 2019
N. 00182/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00090/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 90 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ernesto Trimarco, domiciliato presso la Segreteria T.A.R. Sardegna in Cagliari, via Sassari n.17;
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliata ex lege in Cagliari, via Dante 23/25;
per l’annullamento
– del decreto del Ministero della Giustizia – dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria n. 3325/2014/cs del 27.10.2014, notificato in data 13.11.2014, di DINIEGO DEL RICONOSCIMENTO DI CAUSA DI SERVIZIO ex art. 2 DPR 461/2001, delle infermità “-OMISSIS-“;
– del PARERE DEL COMITATO DI VERIFICA PER LE CAUSE DI SERVIZIO 31052 reso nell’adunanza 507 del 18.12.2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia – Dipartimento Amministrazione Penitenziaria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2019 la dott.ssa Grazia Flaim e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è stato dipendente, dal 1983, del Ministero della Giustizia quale Assistente della Polizia Penitenziaria, arruolato previo superamento del concorso, con accertamento del possesso di tutti i requisiti psicofisici di idoneità al servizio in carcere.
Durante l’espletamento della sua attività presso la Casa di Reclusione di Porto Azzurro è stato vittima per una settimana (dal 25/08/1987 al 01/09/1987) di un sequestro perpetrato nei suoi confronti da un gruppo di detenuti ergastolani (guidati dal terrorista nero Mario Tuti), nel tentativo di evadere dalla struttura.
Il ricorrente è stato incatenato alle sbarre delle celle, sottoposto a minacce e violenza e tenuto in stato di inedia per tutta la durata del suo sequestro.
Dal momento della sua liberazione ha cominciato a soffrire di -OMISSIS-(in particolare “-OMISSIS-”) accertati dal CMO con certificato medico del 04/02/1988 e ritenuti dipendenti da causa di servizio a causa dei suddetti vissuti eventi traumatici.
Nonostante ciò l’amministrazione ha continuato ad adibire il sig. -OMISSIS- a mansioni a stretto contatto con i detenuti della struttura carceraria, fino a quando (il 10/02/2011) è stato congedato dal Corpo di Polizia Penitenziaria perché riconosciuto affetto da “-OMISSIS-”.
La CMO ha accertato la sussistenza della patologia, quantificandola come “invalidità permanente equivalente al 40%”, come “conseguenza diretta” del citato evento traumatico patito nella struttura carceraria di porto Azzurro, nel 1987.
Sulla base di questo accertamento (invalidità equivalente al 40%) il Ministero dell’Interno (diverso da quello d’appartenenza) con decreto 559/2012 ha riconosciuto al ricorrente lo status di “vittima del dovere” ex l.266/2005, in considerazione di quanto subìto per causa di servizio.
Con conseguente corresponsione di 88.000 Euro, computati in base ai parametri previsti dall’art. 5 legge 206/2004 rivalutati dall’ISTAT per ogni punto percentuale di invalidità.
Per contro , a fronte della richiesta di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di tale patologia (inoltrata in data 29/03/2011), l’Amministrazione Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con decreto n. 3325/2014/cs del 27/10/2014 (e notificato in data 13/11/2014) ha rigettato l’istanza (e annullato il precedente provvedimento della CMO) sulla scorta del Parere del Comitato di Verifica per le cause di Servizio del 18.12.2013, che ha ritenuto che la “nevrosi ansioso depressiva permanente” NON dipendeva dai fatti di servizio.
In particolare valutando che “la -OMISSIS- trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente , su personalità predisposta. Non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo, l’infermità non può ricollegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale efficiente”.
Il Sig. -OMISSIS- ha proposto ricorso avverso entrambi gli atti di diniego (provvedimento finale Ministero Giustizia e parere Comitato CVCS –Ministero MEF), formulando le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 5 comma 3 dpr 461/2001 in relazione agli artt 6-7-10 bis l. 241/1990;
2) violazione degli artt. 1-3 l. 241/1990 in relazione all’art. 97 Cost. – eccessiva genericita’ della motivazione – oscurita’ e violazione del principio di trasparenza;
3) eccesso di potere, violazione di legge e difetto di motivazione, carenza di istruttoria e palese contraddittorieta’, travisamento dei fatti e macroscopica illogicità, nonché erronea valutazione dei presupposti – violazione dell’ art. 2 DPR 461/2001 e art. 3 l. 241/1990.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione sostenendo, con mera costituzione tecnica, la legittimità degli atti impugnati; depositando una nota del 29.1.2015 del Ministero della Giustizia ove si evidenziava che il provvedimento finale negativo del 2014 era vincolato dal parere espresso dal Comitato CVCS nel 2013 .
All’udienza del 30 gennaio 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Occorre preliminarmente assegnare un diverso “ordine” all’ esame delle censure formulate in considerazione della necessità di tutelare al meglio la pretesa del ricorrente finalizzata ad ottenere il “bene della vita”, quale risultato conclusivo concreto (riconoscimento della causa di servizio e conseguente equo indennizzo).
L’esame limitato alle sole questioni procedimentali determinerebbe l’omessa trattazione della questione sostanziale, con necessità di eventuale futura riproposizione dell’impugnazione, con aggravi processuali.
1)Il ricorrente lamenta eccesso di potere dell’Amministrazione d’appartenenza (Ministero Giustizia) nelle tipologie delle figure sintomatiche della contraddittorietà, travisamento dei fatti e illogicità.
La censura è fondata.
L’Amministrazione “nel suo complesso” (Ministero della Giustizia, Ministero dell’Interno e Ministero Economia e Finanze) ha agito esprimendo giudizi contraddittori.
Sulla base delle valutazioni operate dal CMO, che in due occasioni (1988 e 2011) accertava l’infermità “-OMISSIS-” come dipendente da causa di servizio, la PA ha ritenuto:
-da un lato, con provvedimento n.559 del 12.7.2012 del MINISTERO DELL’INTERNO, ha riconosciuto al ricorrente lo status di “vittima del dovere” con riconoscimento del diritto a percepire la somma di 88.000 Euro, in applicazione delle leggi 206/2004 e 266/2005; somma successivamente integrato con altro decreto, dello stesso Ministero Interno, del 12.5.2017, con riliquidazione di euro 119.392, per lo stesso titolo (cfr. all. 1 ricorrente, deposito del 13.12.2018);
-dall’altro, successivamente, il COMITATO DI VERIFICA PER LE CAUSE DI SERVIZIO, con parere del 18.12.2013, ha invece negato, con formula stereotipata, tale dipendenza; ed il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA si è ad esso conformato, negando la spettanza , con decreto di rigetto del 27/10/2014.
Da tali elementi emerge l’ evidente discrasia dell’agire amministrativo.
Infatti la tematica dei benefici riconosciuti alle “vittime del dovere” (status che nel nostro caso era già stato effettivamente attribuito), si configura come forma e modello “rafforzato” rispetto al generico riconoscimento della causa di servizio (qui negato), che ne è il presupposto (non autosufficiente).
E’ il riconoscimento dell’ infermità come dipendente da causa di servizio che non può costituire, da sola, elemento sufficiente per l’attribuzione degli <ulteriori> benefici spettanti alle “vittime del dovere“. I quali possono essere riconosciuti solo quando vi sia stato un quid pluris, il riscontro di rischi ulteriori e più gravosi.
Si consideri che in giurisprudenza si rinvengono plurimi contenziosi promossi da lavoratori ai quali la dipendenza da causa di servizio era stata accertata dall’Amministrazione d’appartenenza (e dal CVCS) , mentre veniva rigettata per l’ulteriore e diversa pretesa del riconoscimento (anche) dello status di “vittima del dovere”.
Nel nostro caso, invece, la situazione è opposta:
al ricorrente -OMISSIS- sono stati riconosciuti i benefici quale “vittima del dovere” (dal Ministero interno), cioè con riconoscimento di un vincolo di dipendenza “rinforzato” , mentre è stata (incomprensibilmente) rigettata la domanda “ordinaria” di dipendenza da causa di servizio della patologia (dal Ministero d’appartenenza, della Giustizia).
A fronte del (già) avvenuto riconoscimento, nel 2012, (cioè ante espressione sia del parere CVCS del 2013, che del decreto del 2014 del Ministero giustizia) del quid pluris rispetto alla mera dipendenza dell’infermità da causa di servizio, l’Amministrazione d’appartenenza, Ministero Giustizia- Polizia Penitenziaria- Comitato MEF, ha palesemente agito in modo incoerente e contraddittorio , travisando e omettendo di considerare valutazioni tecniche e giuridiche già compiute e che determinavano, in quanto pienamente operative ed efficaci, un quadro di riferimento “necessitato” nella decisione da assumere.
Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che “vittima del dovere” costituisce una species rientrante nel genus della “causa di servizio” , presentando caratteristiche peculiari ed “ulteriori” rispetto alla categoria generale (cfr. . CS sez. III 16/12/2016 n. 5362 e precedenti ivi citati III n. 3915 e 3916/2015; I sez. n. 1794/2014 e pareri n. 2324/2011 e n. 5011/2010; nonché CS III n. 4259 14/09/2015).
Essendo fondata la censura sostanziale formulata il ricorso va accolto.
Con obbligo del Ministero di riprovvedere alla luce delle circostanze di fatto e di diritto sussistenti ; in particolare l’avvenuto e consolidato riconoscimento dello status di “vittima del dovere”, da parte del Ministero degli Interni, per i medesimi fatti oggetti del presente giudizio (cfr. sia decreto del 2012 che quello integrativo del 2017).
Il Parere del CVCS (testo riportato nella precedente parte in fatto), che ha costituito “fonte” della decisione finale di rigetto assunta dal Ministero, si è rivelato, alla luce dell’ approfondimento compiuto e con considerazione unitaria , omogenea e coerente, del tutto scollegato alla realtà dei fatti, nonché generico e privo di riscontri.
Con fondatezza del vizio di contraddittorietà, di travisamento dei fatti nonché difetto di motivazione di entrambi i provvedimenti impugnati, con violazione dei principi di trasparenza e buon andamento dell’amministrazione dell’art. 97 Cost.
Ultimo cenno alla nota del Ministero della Giustizia depositata in giudizio (difesa amministrativa del 29.1.2015) ove si sostiene che, stante la natura vincolante del Comitato CVCS, il rigetto era sostanzialmente necessitato.
In realtà l’art. 14 1° comma del DPR 461/2001 consente una fase ulteriore di approfondimento, con la richiesta di riesame al Comitato. La norma, infatti, prevede che:
“L’Amministrazione si pronuncia sul solo riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio, su conforme parere del Comitato….entro venti giorni dalla data di ricezione del parere stesso. Entro lo stesso termine l’amministrazione <CHE, PER MOTIVATE RAGIONI, NON RITENGA DI CONFORMARSI A TALE PARERE>, ha l’obbligo di richiedere ulteriore parere al Comitato, che rende il parere entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta; l’Amministrazione adotta il provvedimento nei successivi dieci giorni motivandolo conformemente al parere del Comitato.”
E nel caso di specie tale ulteriore fase istruttoria non è stata nemmeno esperita.
Nonostante l’evidente necessità di approfondimento e rivalutazione del caso, che richiedeva il concretizzarsi di un imprescindibile “coordinamento” fra le diverse decisioni provvedimentali attinenti la medesima infermità.
Con prevalenza del giudizio “aggravato” rispetto a quello “ordinario”.
Restano assorbiti gli ulteriori vizi, squisitamente procedimentali, inerenti la mancata comunicazione dell’inizio del procedimento di cui agli arti. 6-7- 10 bis l. 241/1990, essendo accolta la domanda sostanziale.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono quantificate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie , con annullamento dei provvedimenti impugnati.
Con obbligo del Ministero della Giustizia di riprovvedere alla luce delle circostanze di fatto e di diritto accertata in giudizio e già riscontrate in sede di procedimento di riconoscimento dello status di “vittima del dovere”; con l’avvenuta e consolidata attribuzione di questi benefici da parte del Ministero degli Interni, per i medesimi fatti oggetti del presente contenzioso (cfr. sia il decreto del 2012, che quello integrativo del 2017).
Condanna il Ministero Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, di euro 2.500 per spese ed onorari del giudizio, oltre rimborso del contributo unificato, e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente
Marco Lensi, Consigliere
Grazia Flaim, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Grazia Flaim | Francesco Scano | |
IL SEGRETARIO
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