TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PIEMONTE – Ordinanza 14 febbraio 2013
Gioco e scommesse – Limitazione dell’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza) – Mancata previsione di principi normativi nella disciplina dell’ordinamento degli enti locali e del potere dei Comuni di adottare atti normativi o provvedimenti volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco sopra menzionati per contrastare la cosiddetta “ludopatia” – Violazione del principio della tutela del diritto alla salute – Lesione delle funzioni amministrative dei Comuni.
– Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 50, comma 7; decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 31, comma 1.
– Costituzione, artt. 32 e 118.
Fatto e Diritto
1. – La società ricorrente opera nel settore degli apparecchi da gioco lecito di cui all’art. 110, comma 6, lettere a) e b), del r.d. n. 773 del 1931 (slot machine e videolotterie) in qualità di concessionaria del servizio pubblico inerente l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi, per effetto di atto concessorio stipulato con l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato. Nello svolgimento della propria funzione di concessionario la società ricorrente ha collocato apparecchi da gioco lecito presso alcuni esercizi situati nel territorio del Comune di Rivoli (TO).
Con ordinanza n. 263/2012, del 23 maggio 2012, il Sindaco del Comune di Rivoli ha disposto limitazioni orarie all’utilizzo ed al funzionamento dei predetti apparecchi da gioco autorizzato, disponendo, in particolare, al punto n. 2, che gli “esercenti autorivati dal Comune ai sensi dell’art. 86 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.) alla detenzione degli apparecchi automatici da intrattenimento e da gioco di cui all’art. 110 del T.U.L.P.S. (titolari di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, legali rappresentanti di circoli privati con attività di somministrazione, altri esercizi autorizzati per effetto di specifica segnalazione certificata di inizio attività presentata in Comune) possono attivare i predetti apparecchi esclusivamente in orario compreso tra le h. 12.00 e le h. 23.00. Al di fuori di dettatasela oraria di apparecchi devono essere spenti e disattivati».
Come si evince dal preambolo dell’ordinanza sindacale, la ragione delle limitazioni risiede: a) nella “tutela della fasce deboli della popolazione”; b) nel “porre un argine alla disponibilità illimitata, o quasi, delle affida di gioco, soprattutto per quanto riguarda l’orario notturno e il mattino, ovvero i periodi della giornata in cui si manifestano con più evidenza i fenomeni di devianza e emarginazione sociale legati alla tossicodipendenza, all’alcolismo, all’isolamento relazionale da parte di soggetti appartenenti ai ceti più disagiati e privi delle ordinarie occupazioni legate al lavoro o allo studio”.
L’ordinanza fa applicazione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 e del Regolamento comunale per le sale giochi e per l’installazione di apparecchi elettronici da intrattenimento o da gioco approvato con delibera del Consiglio comunale del 21 dicembre 2011, n. 124 (in particolare, l’art. 11, rubricato “Orari”, per il quale “L’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del T.U.L.P.S. in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso testo di legge, è consentito tra le 12.00 e l’orario di chiusura degli esercizi e comunque non oltre le h. 23.00. Oltre tale orario gli apparecchi devono essere disattivati”; nonché il precedente art. 9, rubricato “Orari di apertura”, il cui comma 2 dispone che “Gli apparecchi automatici di intrattenimento di cui all’art. 110 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza possono essere messi in esercizio tra le h. 12.00 e le h. 23.00; al di fuori di tale fascia oraria devono essere spenti e disattivati”).
Con il ricorso quest’ultimo regolamento viene impugnato unitamente alla predetta ordinanza (nonché insieme alla comunicazione prot. n. 44632/2012, del 29 maggio 2012, con la quale il Comune informava dell’avvenuta approvazione del predetto regolamento).
Agli atti impugnati vengono mosse le seguenti censure:
“violazione della riserva di legge prevista nella materia dei giochi pubblici”: si tratterebbe, infatti, di una materia la cui disciplina, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. h, Cost., spetterebbe “allo Stato e ad altri enti espressamente indicati dalla legge tra i quali non sono inclusi gli enti locali”;
“violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 50, comma 7, TUEL 267/2000) – violazione art. 97 Cost. – Eccesso di potere per sviamento e/o per arbitrio”; qui si argomenta, in particolare, anche l’inapplicabilità, al caso di specie, dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, la ricorrente non ravvisandone i presupposti;
“incompetenza del Comune e competenza del Questore ai sensi dell’art. 88 TULPS”: ciò con riferimento alla fissazione degli orari per l’attivazione degli apparecchi ex art. 110, comma 6, lett. b, del r.d. n. 773 del 1931 (le c.d. VLT- videolotterie) la cui installazione ed utilizzo “è legato al rilascio di apposita licenza ex art. 88 TULPS che «…] è appunto di competenza del Questore”, così come stabilito dall’art. 2, comma 2- quater, del decreto-legge n. 40 del 2010, convertito in legge n. 73 del 2010;
“violazione di legge, eccesso di potere, illogicità, manifesta irragionevolezza e travisamento dei fatti, difetto di motivazione e di istruttoria. Mancanza di un’idonea giustificazione del sacrificio imposto al privato”.
Il Comune di Rivoli si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 30 gennaio 2013 sono state sentite le parti in sede di esame della domanda cautelare.
Con ordinanza cautelare n. 56 del 2013 questo Tribunale amministrativo regionale, nelle more dell’esame della questione di costituzionalità, che si solleva con la presente ordinanza, ha respinto “la domanda cautelare sino alla camera di consiglio successiva alla data di restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale” così motivando “ritenuto che con separata ordinanza viene sollevata questione di legittimità costituzionale in relazione alla disciplina normativa primaria vigente in materia di apertura di esercizi in cui si pratica il gioco d’azzardo per contrasto con le norme costituzionali in materia di tutela della autonomia degli enti locali e della salute delle classi più deboli della cittadinanza, fini perseguiti dagli atti impugnati”:
2. – Ciò premesso il Collegio ritiene che sussiste la rilevanza della questione di costituzionalità, in quanto questa coinvolge i presupposti normativi su cui si reggono gli atti impugnati, dal momento che il petitum sostanziale consiste nella negazione della competenza in capo agli Enti locali del potere di limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del r.d. n. 773 del 1931 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso testo di legge. Detta censura ha carattere preliminare ed assorbente rispetto alle altre; infatti il giudice deve affrontare, in tema di vizi dell’atto amministrativo, con priorità, la censura riguardante l’incompetenza dell’autorità che ha emanato l’atto impugnato, in quanto la sua eventuale fondatezza determina unicamente la rimessione dell’affare all’autorità competente e impedisce l’esame degli altri motivi, l’esame dei quali finirebbe altrimenti per risolversi in un giudizio anticipato sui futuri provvedimenti dell’organo riconosciuto competente e in un vincolo anomalo sull’attività dello stesso (Cons. Stato, sez. V, n. 398 del 2005).
3. – Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità il Collegio osserva quanto segue.
Con l’art. 31, comma 1 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214 e, successivamente, dall’art. 1, comma 4-ter, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si dispone che “secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti; limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012».
A seguito delle modifiche introdotte con tale disposizione normativa, l’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, recita come dì seguito: «Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 manzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni[…] d- bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio […]»
L’impugnata ordinanza è stata adottata dal Sindaco del Comune di Rivoli in applicazione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), secondo cui “ll sindaco, altresì, coordina e organizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici […] al fine di armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti”. L’ordinanza dà esecuzione all’art. 11 del Regolamento comunale per le sale giochi e per l’installazione di apparecchi elettronici da
intrattenimento o da gioco approvato con delibera del Consiglio comunale del 21 dicembre 2011, n. 124, il quale dispone che “L’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del T. U.L. PS.. in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso testo di legge, è consentito tra le 12.00 e l’orario di chiusura degli esercizi e comunque non oltre le h. 23.00. Oltre tale orario gli apparecchi devono essere disattivato”.
Da una lettura coordinata della predetta disciplina ed alla luce della pressochè univoca giurisprudenza sulla problematica, ad avviso del Collegio, difettano i presupposti di cui all’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 per l’adozione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui dispone che gli esercenti autorizzati dal Comune ai sensi dell’art. 86 del r.d. n. 773 del 1931 alla detenzione degli apparecchi automatici da intrattenimento e da gioco di cui all’art. 110 medesimo r.d. possono attivare i predetti apparecchi esclusivamente in un orario limitato: ciò perché il Sindaco non si è limitato ad esercitare la potestà di coordinamento e riorganizzazione del commercio al medesimo demandata dalle ridette disposizioni, ma ha invece proceduto ad apportare limitazioni non già degli orari degli esercizi pubblici e/o degli esercizi commerciali, bensì all’utilizzo degli apparecchi da gioco lecito dai medesimi ospitati.
Nell’attuale disciplina al Comune è sottratta la funzione di limitare la localizzazione e la fascia oraria di utilizzo e funzionamento degli apparecchi da gioco (tra le tante ordinanza T.A.R Lombardia, Milano, Sez. III, 13 ottobre 2011,n. 1566). Dal predetto quadro normativo e giurisprudenziale si evince che gli atti e provvedimenti impugnati sono stati adottati al di fuori di una competenza comunale, impingendo in una materia disciplinata da atti adottati dall’Amministrazione statale in quanto il luogo o il locale in cui si sono realizzati certi comportamenti (installazione ed uso di apparecchi da gioco) è solo un elemento fattuale che non può spostare l’ordine delle competenze (TAR Piemonte, sez. II, ord. 9 febbraio 2012, n. 107; cfr., altresì, TAR Lombardia, Milano, sez. I, ord. 12 luglio 2012, n. 998).
Non ignora il Collegio che a seguito della sentenza n. 115 del 2011 della Corte Costituzionale in materia di “sicurezza urbana”, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, così come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge n. 92 del 2008 (“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”), convertito con modificazioni nella legge n. 125 del 2008, nella parte in cui comprende la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti», per il legittimo esercizio da parte del Sindaco del potere di cui all’art. 54 d.lgs. n. 267 del 2000, è indispensabile che ricorrano effettivamente, nell’ambito del territorio comunale interessato, i presupposti di “urgenza” postulati dalla medesima disposizione, a fronte del verificarsi di eventi di danno o di pericolo non fronteggiabili con le misure o gli strumenti ordinari.
Pur tuttavia nella fattispecie il Comune resistente non ha fatto applicazione della norma dichiarata in parte incostituzionale bensì di un potere di disciplina limitativa in via ordinaria di attività che possono pregiudicare categorie della popolazione meritevoli di specifica tutela; norma individuata nell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000.
A tal proposito la giurisprudenza ha osservato che il Sindaco non può introdurre una disciplina del gioco lecito che si sovrapponga, innovandola, a quella dettata dalla normativa statale, senza indicare alcuna situazione di grave pericolo potenziale o reale che minaccia la sicurezza pubblica ovvero che giustifichi in altro modo la necessità di ricorrere ai poteri extra ordine ai medesimi attribuiti dal richiamato art. 54, anche perché “la diffusione degli apparecchi da gioco leciti non costituisce di per sé una motivazione sufficiente per intervenire al di fuori dell’ordinaria distribuzione delle competenze” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 15 febbraio 2011, n. 952; cfr., altresì, in fattispecie analoghe a quella di specie, TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 15 gennaio 2010, n. 19; ordinanza TAR Veneto, sez. III, 30 luglio 2010, n. 557; TAR Toscana, sez. II, 24 novembre 2010, n. 6600; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 6 aprile 2010, n. 981).
Né si rinviene nell’ordinamento una norma che attribuisca il potere di adottare da parte dei Comuni, non soltanto mediante ordinanza sindacale emessa ai sensi dell’art. 50 d.lgs. n. 267 del 2000, ma anche con l’ordinario strumento del Regolamento, di competenza consiliare una disciplina valida per il territorio comunale dell’orario di accensione e spegnimento degli apparecchi da gioco che distribuiscono vincite in denaro di cui all’art. 110, comma 6, del r.d. n. 773 del 1931. Si riscontra ad avviso del Collegio la carenza di una adeguata base normativa per l’esercizio del relativo potere da parte dell’Ente locale (TAR Piemonte, sez. II, 20 maggio 2011, n. 513; Id., 9 febbraio 2012, ordinanza n. 107).
3.1. – Pur tuttavia il Collegio ritiene che la disciplina contenuta nell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 e nell’art. 31, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, determinano una situazione di assenza dì principi normativi in contrasto della patologia ormai riconosciuta e denominata “ludopatia” (art. 7 del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito in legge n. 189 del 2012, su cui si tornerà).
Soltanto attraverso una declaratoria di incostituzionalità della disciplina sopra richiamata ed, in particolare, riconoscendo una specifica funzione di contrasto del fenomeno patologico agli Enti locali, in applicazione dei principi di prossimità con la collettività locale e di sussidiarietà tra Amministrazioni pubbliche, si doterebbe l’ordinamento giuridico vigente di strumenti di esercizio di una azione amministrativa funzionale a porre un argine alla disponibilità illimitata delle offerta di gioco. Funzione quest’ultima che, in particolare, va riconosciuta per la fissazione dei periodi della giornata in cui si manifestano con più evidenza i fenomeni di devianza ed emarginazione sociale di soggetti appartenenti ai ceti più deboli e per conseguire l’obiettivo di garantire che la diffusione dei locali nei quali si pratica il gioco lecito garantisca i limiti di sostenibilità con l’ambiente circostante, oltre al corretto rapporto con l’utenza, la tutela dei minori e delle fasce più a rischio ed incentivi un accesso responsabile al gioco che non porti a fenomeni di dipendenza.
L’esigenza di porre un freno alla diffusione del fenomeno, limitandone gli ingenti costi sociali, è, peraltro, alla base delle recenti istanze rivolte al legislatore, affinché approvi una legge quadro sul gioco d’azzardo che, attraverso il potenziamento delle funzioni e delle competenze dei Comuni e superando i confini della materia sicurezza-ordine pubblico, consenta di approntare un’efficace tutela dei diritti personali e patrimoniali dei soggetti più vulnerabili (“Indagine conoscitiva relativa agli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d’azzardo”, 24 aprile 2012 – XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati).
L’intento che costituisce criterio ispiratore delle disposizioni lette nell’ottica dei principi costituzionali è quello di contribuire, per quanto possibile all’Amministrazione, al contrasto dei fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, dal momento che la moltiplicazione incontrollata delle possibilità di accesso al gioco con denaro costituisce di per sé un obiettivo accrescimento del rischio di diffusione dei fenomeni di dipendenza. Il fatto che si tratti di gioco lecito e non certo di gioco d’azzardo emerge, peraltro, dall’art. 1, comma 497, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con cui è stato disposto che la raccolta di giocate con apparecchi costituisce attività riservata allo Stato; ciò, pur tuttavia, non esclude che viola i principi contenuti negli ara. 118 e 32 della Costituzione la mancata attribuzione agli Enti locali del potere di disciplina sussidiaria con funzione di tutela dei cittadini in rapporto alle condizione socio-economiche del territorio, anche al di fuori di una situazione di emergenza ovvero di grave pericolo per i beni dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana prevista dall’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Né appare sufficiente a garantire la tutela di rango costituzionale delle categorie deboli la disciplina dell’art. 1, comma 70, della legge n. 220 del 2010, in vigore dal 1° gennaio 2011, che demanda non già ai Comuni bensì all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), di concerto con il Ministero della salute, la predisposizione di “linee d’azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo».
La disciplina di cui all’art. 1, comma 497, della legge n. 311 del 2004 ha trovato peraltro attuazione nella circolare dell’Agenzia delle Entrate- Direzione centrale normativa e contenzioso, n. 21 del 13 maggio 2005, con ciò però – per quanto qui interessa – in violazione dei principi costituzionali contenuti negli artt. 118 e 32 della Costituzione perché si è trattato di un’azione volta a salvaguardare esclusivamente la stabilità del gettito tributario anche a sacrificio di interessi di rango superiore.
Il vuoto normativo emerge dalla osservazione che al momento dell’adozione degli atti impugnati difetta un atto normativo dedicato alla materia del gioco d’azzardo sul presupposto di verifiche e di studi volti a stabilire gli esatti confini dell’incidenza del mercato del gioco sulla popolazione locale, con particolare riferimento ai giovani e agli anziani e, più in generale, agli indigenti; ciò al fine di evidenziare l’esistenza dei presupposti per approvare criteri di programmazione territoriale utili a contenere la diffusione indiscriminata di attività che presentano profili di rischio non indifferenti.
In questo contesto le limitazioni relative agli orari di esercizio o alla localizzazione degli apparecchi da gioco, introdotte dall’azione amministrativa riconosciuta agli Enti locali a seguito di una lettura costituzionalmente orientata o dichiarata in page qua incostituzionale della normativa vigente sopra richiamata, si prefiggerebbero l’obiettivo di arginare la disponibilità illimitata delle occasioni di gioco in ambiti territoriali ed in fasce della giornata in cui frequenti sono i fenomeni di devianza sociale.
Va a tal proposito ricordato che dei riflessi, sul territorio, del gioco d’azzardo, si è recentemente espressa la Corte costituzionale (sentenza n. 300 del 9 novembre 2011), che ha escluso la violazione della riserva di legge a favore dello Stato in tema di ordine pubblico, tutte le volte in cui lo scopo delle norme impugnate non sia quello di evitare che dall’esercizio delle attività in questione possano derivare conseguenze penalmente rilevanti, ma invece esclusivamente quello di “preservare dalle implicazioni negative del gioco, anche se lecito, determinate categorie di persone, non in grado, per le loro condizioni personali, di gestire in modo adeguato l’accesso a tale forma di intrattenimento”. Nella sentenza si legge: “Nella specie, le disposizioni oggetto del giudizio – le quali si inseriscono in corpi normativi volti alla regolamentazione degli spettacoli e degli esercizi commerciali, dettando precipuamente limiti alla collocazione nel territorio delle sale da gioco e di attrazione e delle apparecchiature per giochi leciti – sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica. Le caratteristiche ora evidenziate valgono a differenziare le disposizioni impugnate dal contesto normativo, in materia di gioco, dì cui si è già occupata questa Corte (sentenze n.. 72 del 2010 e n. 237 del 2006), rendendo la normativa provinciale in esame non riconducibile alla competenza legislativa statale in materia di «ordine pubblico e sicurezza»; materia che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, attiene alla «prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico», inteso questo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2011). Al riguardo, non può condividersi l’assunto del ricorrente, secondo il quale, proprio alla luce dei principi ora ricordati, la tutela dei minori – cui le norme regionali censurate sono (tra l’altro) preordinate – non potrebbe che spettare alla legislazione esclusiva statale, essendo incontestabile che detta tutela si traduca in un «interesse pubblico primario». Gli «interessi pubblici primari» che vengono in rilievo ai fini considerati sono, infatti, per quanto detto, unicamente gli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile: risultando evidente come, diversamente opinando, si produrrebbe una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, tale da porre in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con l’affermazione di una preminente competenza statale potenzialmente riferibile a ogni tipo di attività. La semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale. Nel caso in esame, le disposizioni censurate hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell’ordine pubblico, inteso nei termini dianzi evidenziati, preoccupandosi, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti. Le disposizioni impugnate, infatti, non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre , al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate”.
Il recente decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (in vigore dal 14 settembre 2012, quindi in data successiva all’adozione degli atti impugnati), convertito in legge n. 189 del 2012, introduce tra l’altro disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.
Nel preambolo si legge “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di procedere al n’assetto dell’organizzazione sanitaria, tenuto conto della contrazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale a seguito delle varie manovre di contenimento della .mesa pubblica, attraverso la riorganizzazione ed il miglioramento dell’efficienza di alcuni fondamentali elementi del Servizio stesso, allo scopo di garantire e promuovere in tale ottica un più alto livello di tutela della salute, adottando misure finalizzate all’assistenza territoriale, alla professione e responsabilità dei medici, alla dirigenza sanitaria e governo clinico, alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza per le persone affette da malattie croniche e rare e da dipendenza da gioco con vincita di denaro, all’adozione di norme tecniche per le strutture ospedaliere, nonché alla sicurezza alimentare, al trattamento di emergenze veterinarie, ai farmaci, alla sperimentazione clinica dei medicinali, alla razionalizzazione di alcuni enti sanitari e al trasferimento alle regioni delle funzioni di assistenza sanitaria al personale navigante».
L’art. 7 qualifica “ludopatia” i fenomeni patologici connessi all’uso di apparecchiature automatizzate per il gioco, attribuendo alla relativa normativa di contrasto la valenza di una disciplina della salute pubblica ai sensi dell’art. 32 della Costituzione. Ai commi da 4 a 9 si introducono norme innovative in materia di contrasto di comportamenti idonei a configurare abuso del gioco (sono vietati messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro nel corso di trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; sono altresì vietati messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via Internet; è prevista la evidenziazione di formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro; viene rafforzato il divieto di ingresso ai minori di anni diciotto nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale bingo, nonché nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati i videoterminali; si prevede la pianificazione di controlli, specificamente destinati al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi presso i quali sono installati gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a, del r.d. n. 773 del 1931). La legge di conversione n. 189 del 2012 ha ulteriormente rafforzato le misure previste. Pur tuttavia il convincimento in ordine alla incostituzionale assenza di una disciplina regolatrice a livello locale del fenomeno risulta rafforzato dalla circostanza che, a norma dell’art. 7, comma 10, del decreto-legge n. 158 del 2012, quale modificato dalla legge di conversione n. 189 del 2012, le Regioni e i Comuni sono espressamente esclusi dall’esercizio di funzioni nella materia che occupa, se si eccettuano solo marginali compiti di “proposta motivata” o di partecipazione all’apposito osservatorio istituito presso l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato. Così, infatti, recita questa disposizione: “L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Ai fini di tale pianificazione si tiene conto dei risultati conseguiti all’esito dei controlli di cui al comma 9, nonché di ogni altra qualificata informazione acquisita nel frattempo ivi incluse proposte motivate dei comuni ovvero di loro rappresentanze regionali o nazionali. Presso l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, presso ‘Agenzia delle dogane e dei monopoli, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonché rappresentanti dei comuni, per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell’osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso di spese”.
La predetta norma non trova applicazione alla fattispecie all’esame del Collegio perché le pianificazioni in funzione limitativa operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Non si tiene, invece, conto nella predetta disciplina delle autorizzazioni già rilasciate fuori da ogni pianificazione e che hanno determinato il grave pregiudizio per la salute pubblica riconosciuto dallo stesso legislatore e che rende viepiù evidente che le norme previgenti violano i precetti costituzionali degli artt. 32 ed, in particolare, 118 della Costituzione secondo cui “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Per un diretto riconoscimento costituzionale del ruolo dei Comuni la Corte costituzionale si è pronunciata con la recente sentenza 26 gennaio 2012, n, 14. Il Comune, infatti, nell’esercizio della propria potestà di pianificazione del territorio e delle attività economiche che possono interferire con la salute e gli interessi ad un equilibrato ambiente urbano, può individuare limitazioni e destinazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle predefinite dalla legislazione nazionale e regionale, risultando detta facoltà in linea con l’autonomia riconosciuta anche ai Comuni nel nuovo assetto delle competenze conseguente alla modifica del Titolo V della Costituzione, e segnatamente con la potestà regolamentare loro riconosciuta dall’art. 117, comma 6, della Costituzione. Quanto alla potenziale violazione dell’art. 32 della Costituzione, la normativa vigente non tutela la salute pubblica, pur volendo contrastare la “ludopatia”, dal momento che la funzione pubblica relativa non tiene conto delle autorizzazioni all’uso di apparecchiature per il gioco d’azzardo rilasciate in data anteriore alla disciplina di conversione del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158.
4. Il Collegio ritiene, pertanto, non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione del gravame la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e dell’art. 31, comma 1 decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, nella parte in cui determinano una situazione di assenza di principi normativi a contrasto della patologia, ormai riconosciuta dallo stesso legislatore statale, della “ludopatia” ed escludono la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del r.d. n. 773 del 1931 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso testo di legge, per violazione degli artt. 118 e 32 della Costituzione.
In applicazione dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, e riservata ogni altra decisione all’esito del giudizio di costituzionalità, va pertanto rimessa alla Corte costituzionale la soluzione dell’incidente di costituzionalità.
P.Q.M.
Dichiara rilevante per la decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e dell’art. 31, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, nella parte in cui determinano una situazione di assenza di principi normativi a contrasto della patologia ormai riconosciuta della “ludopatia” ed escludono la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 del r.d. n. 773 del 1931 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) in ogni esercizio a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 86 dello stesso testo di legge, per violazione degli artt. 118 e 32 della Costituzione.
Sospende il giudizio in corso.
Dà atto che, con separata ordinanza n. 56 del 2013, è stata rinviata la trattazione della domanda cautelare alla prima camera di consiglio utile successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
Dispone la immediata trasmissione degli atti, a cura della stessa Segreteria, alla Corte costituzionale.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 29 maggio 2013, n. 22.
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