TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PUGLIA – Sentenza 06 settembre 2022, n. 1192
Professionisti – Consulenti tributaristi non iscritti ad albo – Abilitazione ad apporre il “visto leggero” – Mancato rilascio – Legittimità
Fatto e diritto
1.- Con ricorso depositato come previsto in rito, l’associazione nazionale di consulenti tributaristi, professionisti “non iscritti ad albo”, ai sensi della legge 14 gennaio 2013 n. 4 (“Disposizioni in materia di professioni non organizzate”), indicata in epigrafe, e la Dottoressa M. N., iscritta alla predetta Associazione, impugnavano il provvedimento di diniego della Direzione Regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate (e tutti gli atti connessi e presupposti, ivi comprese alcune circolari emanate dagli uffici centrali).
Il provvedimento gravato riguardava il mancato rilascio in favore dei professionisti c.d. tributaristi non iscritti ad alcun albo dell’abilitazione ad apporre il c.d. visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali dei contribuenti, ai sensi del D.M. 31 maggio 1999 n. 164 (c.d. “visto leggero”).
Lamentavano le ricorrenti come nella sostanza i professionisti tributaristi “non iscritti ad un albo” verrebbero a ritrovarsi illegittimamente (e ingiustamente) in una situazione deteriore rispetto a quella degli altri professionisti in materia “iscritti ad un albo”, in particolare rispetto ai dottori commercialisti ed esperti contabili e ai revisori contabili.
Dopo ampio excursus circa l’attività di predisposizione delle dichiarazioni dei redditi, esse affidavano il ricorso all’articolazione dei seguenti vizi di legittimità: violazione e falsa applicazione dell’art. 35 d.lgs. n. 241/1997; violazione e falsa applicazione del D.M. 19 aprile 2001; violazione e falsa applicazione d.P.R. n.322/1998; violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990, nonché di tutti i principi generali vigenti in materia anche in relazione ai richiamati articoli della Costituzione; eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità, perplessità, carenza di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, irragionevolezza, errata valutazione dei presupposti, travisamento, sintomi di sviamento di potere.
2.- Si costituiva l’intimata Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, a mezzo dell’Avvocatura erariale, la quale contrastava le tesi sostenute da parte ricorrente, evidenziando la coerenza e logicità della scelta operata dal legislatore di riservare una simile attività di controllo formale di coerenza della dichiarazione fiscale, con apposizione del visto, tra altre categorie previste (es.: C.A.F. – centri di assistenza fiscale), a cura dei soli professionisti iscritti ad un albo.
3.- Scambiati ulteriori documenti, memorie e repliche, alla fissata udienza pubblica, dopo breve discussione, il ricorso veniva trattenuto in decisione.
4.- Il ricorso è infondato.
Può prescindersi dalla disamina puntuale delle eccezioni di controparte, opposte dall’Avvocatura erariale, stante la evidente infondatezza dei vizi formulati nel ricorso.
Rivendica la parte ricorrente come l’apposizione del c.d. visto leggero debba qualificarsi quale attività “liberamente esercitabile”, anche da parte del professionista non iscritto all’albo e/o ordine professionale, al pari di qualsiasi altra generica attività rientrante nell’area dei servizi contabili, fiscali e tributari.
A riprova, il D.M. 18 aprile 2001 avrebbe ricompreso tra i soggetti incaricati della trasmissione delle dichiarazioni indistintamente coloro che esercitano l’attività di consulenza tributaria.
Tuttavia il Collegio ritiene che le disposizioni normative in materia – più correttamente interpretate – non annoverano affatto i tributaristi non iscritti ad albi tra i soggetti abilitati a rilasciare il “visto di conformità” in questione.
Con specifico riferimento alle disposizioni rilevanti la fattispecie in esame, va evidenziato che l’art. 35, comma 3, del d.lgs. 9 luglio 1997 n. 241 stabilisce: “I soggetti indicati alle lettere a) e b), del comma 3 dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, rilasciano, su richiesta dei contribuenti, il visto di conformità e l’asseverazione di cui ai commi 1 e 2, lettera a), del presente articolo relativamente alle dichiarazioni da loro predisposte”.
Per quanto più rileva, ai sensi dell’art. 3, comma 3, lett. a), d.P.R. 22 luglio 1998 n. 332, i soggetti citati alla predetta lett. a) sono soltanto “gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro”. Alla lett. b) sono invece contemplate, in via transitoria, figure residuali, che non rilevano ai fini del decidere.
I decreti ministeriali, fonti secondarie del diritto, vanno interpretati in coerenza con le fonti primarie legislative e, a ben vedere, ineriscono profili strettamente pratici circa la trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali e adempimenti correlati.
Di conseguenza, è chiaro che il legislatore ha ascritto agli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro il rilascio del c.d. visto di conformità e l’asseverazione in ordine alle dichiarazioni fiscali predisposte e suscettive di invio telematico.
Inferire ogni altro significato implicito o, per così dire, traslato a siffatte chiare disposizioni normative primarie, come tenta di fare la parte ricorrente, è scorretto in via ermeneutica.
A tale considerazione non osta la circostanza che la consulenza giuridica e/o contabile, tra cui quella specifica in materia tributaria, sia stata ritenuta dalla giurisprudenza libera e non sottoposta ad obbligo di iscrizione del professionista ad alcun albo professionale, tranne che per esercitare, per l’appunto, talune attività che assumano rilievo di interesse pubblico.
Ciò in quanto l’istituto del visto di conformità, come pure emerge dalla circolare ministeriale n. 134/E del 17 giugno 1999, ha la finalità di attestare da parte del professionista la “correttezza formale” delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, in quanto il professionista dichiara che i dati risultanti dalle dichiarazioni coincidono con la documentazione esibita dai contribuenti o con le scritture contabili obbligatorie, ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto.
Riservare dunque simili attività a taluni professionisti iscritti in albi od ordini e non a professionisti liberi esercenti non iscritti ad alcun albo è opzione prescelta dal legislatore, nella discrezionalità che gli compete in materia, in toto ragionevole e conforme alla necessità di consentire lo svolgimento di una simile “attività collaborativa” nei confronti dei pubblici uffici a professionisti dei quali sia stata comprovata la professionalità e siano oggetto di controllo disciplinare da parte degli ordini o collegi di appartenenza.
Infatti, i professionisti iscritti ad albo, o ordine, o collegio hanno, in primis, superato un esame di Stato o conseguito una laurea abilitante alla professione e, in secundis, per quanto maggiormente rileva, nella misura in cui sono iscritti ad un albo (invero vigilato da uffici ministeriali), sono soggetti a pregnanti obblighi deontologici, al controllo sullo svolgimento corretto e regolare dell’attività professionale e al potere disciplinare esercitato dall’ordine o collegio di appartenenza.
Una siffatta condizione garantisce l’Amministrazione finanziaria circa la professionalità e correttezza dell’operato dei professionisti iscritti, nell’apposizione del c.d. visto leggero.
Non assicurano eguale garanzia – perché ciò è stato ritenuto ex lege – i soggetti che svolgano una “professione non organizzata in ordini o collegi”, per tale intendendosi, ai sensi dell’art. 1, comma 2, legge n. 4 del 2013: “[…] l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile […]”.
Dirimente è la considerazione per cui l’attività di apposizione del visto de quo e di asseverazione è, in base alle disposizioni normative primarie più sopra ricordate, riservato agli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro. Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.
Non si ravvede nella disciplina testé riassunta alcun profilo o dubbio d’illegittimità costituzionale.
Pertanto, va esclusa la possibilità che il Direttore regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate possa autorizzare i professionisti c.d. tributaristi non iscritti ad alcun albo ad apporre alle dichiarazioni fiscali il visto in discussione.
5.- In conclusione, per le sopra esposte motivazioni, il ricorso va respinto.
6.- Le spese seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dell’amministrazione resistente che si liquidano in €. 1.500,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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