TRIBUNALE DI ASTI – Ordinanza 07 giugno 2017
Reati tributari – Causa di non punibilità per pagamento del debito tributario – Previsione che, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi, prorogabile una sola volta per non oltre tre mesi, per il pagamento del residuo – Preclusione per il giudice della facoltà di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione
Nel procedimento penale n. 946/16 R.G. Trib. a carico di O. N. pronuncia la seguente ordinanza a seguito di decreto di citazione O.N. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 10-ter del decreto legislativo n. 74/2000 per aver omesso, in qualità di legale rappresentante della società «O.R.S. srl», con sede in P.P.U. ad Alba, di versare nei termini previsti per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta 2013 (ovvero entro il giorno 27 dicembre 2013), l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per il periodo d’imposta 2012, per l’ammontare complessivo pari a € 317.947,00.
In Alba, il 27 dicembre 2013.
All’udienza del 15 dicembre 2016, prima dell’apertura del dibattimento, la difesa dell’imputato depositava documentazione relativa alla rateizzazione del debito d’imposta e n. 7 quietanze di versamento dei ratei ed all’udienza dell’11 aprile 2017 la quietanza di versamento dell’ottava rata; i versamenti erano stati effettuati regolarmente nei termini.
La scadenza dell’ultima rata (la n. 20) era fissata per il 31 gennaio 2020.
Tutto ciò premesso, osserva il Tribunale, in applicazione dell’art. 13 del decreto legislativo n. 74/2000 (così come novellato dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158), che il processo non può essere rinviato ad una data successiva al 31 gennaio 2020, senza aprire il dibattimento e con sospensione del termine di prescrizione, così da consentire all’imputato di completare il pagamento rateale del debito tributario e conseguentemente avvalersi della causa di non punibilità introdotta dalla novella legislativa.
Al riguardo, va rilevato che:
– la previsione del comma 3 dell’art. 13 – per la quale nel caso in cui il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo con facoltà del Giudice di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi – non è coordinata con la normativa riguardante il pagamento concordato in sede di rateizzazione del debito d’imposta, la quale non consente di effettuare pagamenti oltre i termini previsti dall’art. 13, comma 3, decreto legislativo n. 74/2000 novellato, nonostante l’ulteriore proroga;
tale difetto si traduce in un irragionevole trattamento deteriore per coloro che avevano avuto accesso a tale istituto di rateizzazione, sostanzialmente impedendo loro di fruire della causa di non punibilità, con violazione degli articoli 24 e 3 della Carta costituzionale.
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ritiene che vada sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – così come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 – perché tale norma viola gli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice di «prorogare tale temine una sola volta per non oltre tre mesi» e non consente, invece, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione.
In merito alla rilevanza nel presente procedimento della prefigurata questione di legittimità costituzionale, la stessa emerge da quanto sopra esposto e dai documenti allegati dalla difesa dell’imputato.
In particolare, il rinvio del processo ad un’udienza successiva al 31 gennaio 2020 consentirebbe all’imputato di completare il pagamento rateale del debito tributario e, quindi, di avvalersi della causa di non punibilità prevista dall’art. 13.
Senonché tale provvedimento non può essere effettuato perché vi osta la lettera del comma 3, dell’art. 13, decreto legislativo n. 74/2000, il quale sancisce che, per il fine suddetto, può essere concesso solo un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice «di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario».
La circostanza che il legislatore abbia indicato espressamente un primo termine di tre mesi e, soprattutto, abbia sentito la necessità di precisare che lo stesso è prorogabile una sola volta per non oltre tre mesi, rende evidente che non è consentito al Giudice di concedere termini più lunghi, o di prorogare più volte il termine, allo specifico fine di completare il pagamento rateale del debito tributario.
Ragionando diversamente il dettato legislativo sul punto non avrebbe alcun valore.
Ciò significa che, così come avanzata, la richiesta della difesa andrebbe respinta.
Tuttavia, nel caso concreto, la reiezione dell’istanza comporterebbe l’impossibilità per l’imputato di usufruire della causa di non punibilità, atteso che lo stesso non potrebbe, in ogni caso, completare il pagamento del debito tributario nel termine di tre mesi o in quello eventualmente prorogato per ulteriori tre mesi dovendo attenersi al piano di rateizzazione determinato dall’Agenzia delle entrate, con il pagamento a rate da completarsi il 31 gennaio 2020.
Ebbene, è noto che una volta stabilito il piano di rateizzazione il debitore d’imposta deve attenervisi rispettando la scadenza delle rate; se non lo fa, va incontro alla risoluzione della rateizzazione con tutte le conseguenze negative del caso.
Nel caso di specie, il piano di rateizzazione concordato tra l’Agenzia delle entrate ed il contribuente, viene formulato da parte dell’Agenzia delle entrate valutando la concreta possibilità del contribuente di pagare il debito d’imposta, e per il contribuente di assolvere con le modalità ed i tempi stabiliti.
Tutto ciò implica che se il contribuente fosse tenuto a pagare tutto l’importo dovuto all’erario entro il termine di tre mesi, concessogli alla data dell’udienza ed ulteriormente prorogato, ne potrebbe derivare l’impossibilità di assolvere al debito, di non godere del beneficio accordato dalla norma di non punibilità, nonché per l’erario di non conseguire il pagamento del dovuto.
In definitiva, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo n. 74/2000 è rilevante perché, nel caso concreto, tale norma, così come modellata, impedisce all’imputato di avvalersi della causa di non punibilità rappresentata dal pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento.
Ciò posto in merito alla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale non è manifestamente infondata con riferimento ai parametri di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione.
Come già rilevato, il comma 3, dell’art. 13, sancisce che, quando il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione al fine di consentire all’imputato di pagare il debito tributario residuo e, quindi, di usufruire della causa di non punibilità prevista dal comma 1 – può essere concesso solo un termine di tre mesi, con facoltà per il Giudice «di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario».
Ora, come evidenziato dai commenti dottrinali, la disciplina appare di per sé irragionevole se si tiene conto del fatto che, al ricorrere di determinate condizioni, le procedure di adesione consentono una rateizzazione anche quadriennale del debito tributario, ma che, non di rado, i termini di dilazione possono raggiungere anche i dieci anni nei confronti dei concessionari della riscossione; ed è allora chiaro come il termine semestrale non rappresenti una grande agevolazione per il contribuente, sostanzialmente obbligato a rinunciare a quei termini dilatati di pagamento che la disciplina tributaria gli avrebbe altrimenti assicurato.
Ciò, d’altro canto, è pure in parziale contrasto con la ratio della causa di non punibilità – limitata alla fattispecie di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater comma 1 – che, come si legge nella relazione illustrativa, trova «la sua giustificazione politico criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale: in questi casi, infatti, il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito risultando in seguito inadempiente; il successivo adempimento, per non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioni amministrative».
Ma oltre che logicamente irragionevole, la suddetta disciplina è anche giuridicamente irragionevole – con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione – perché, fa dipendere la concreta possibilità di accedere alla causa di non punibilità da variabili che non dipendono dall’imputato.
Così, per esempio, dalla «velocità» con la quale è esercitata l’azione penale: se l’azione penale è esercitata «con ritardo» il reo avrà più tempo per pagare le rate del piano di rateizzazione e, quindi, ben può essere che all’udienza fissata per l’apertura del dibattimento il termine massimo di sei mesi gli sia bastevole per completare il pagamento rateale, senza essere costretto a rinunciare alla dilazione per usufruire della causa di non punibilità; se invece l’azione penale fosse esercitata con particolare rapidità il reo – senza ragione – avrebbe un sostanziale trattamento deteriore, dal momento che avrebbe avuto minor tempo per «sfruttare la rateizzazione» ed il termine di sei mesi potrebbe non essergli sufficiente per completare i ratei, con la conseguenza che per avvantaggiarsi della causa di non punibilità dovrebbe forzatamente rinunciare alla dilazione tributaria e pagare entro sei mesi, ed in un sol colpo, tutto il residuo debito fiscale.
In secondo luogo, ed è ciò che più conta nel giudizio a quo, la norma è irragionevole perché tratta, senza giustificazione, in modo non uguale chi, ammesso al pagamento rateizzato del debito tributario, ha la possibilità di scegliere di rinunciare alla rateizzazione e di adempiere il residuo debito entro il termine di tre mesi fissato dal Giudice (eventualmente prorogato di altri tre mesi), così andando esente dalla sanzione penale, e chi non ha tale facoltà perché il piano di rateizzazione rientra nell’alveo di una situazione finanziaria comportante la necessità di rispettare quanto previsto nel piano di rateizzazione.
In definitiva, quindi, chi – come l’imputato – ha in corso il pagamento rateizzato del debito tributario secondo un piano che rientra negli interessi sia dell’Agenzia delle entrate sia del contribuente, e che prevede delle scadenze di pagamento che, al momento dell’istanza di rinvio proposta al Giudice penale, vanno oltre il temine massimo di sei mesi che il Giudice è autorizzato a concedergli ex art. 13, comma 3, del decreto legislativo n. 74/2000, è obbligato a scegliere di rinunciare ai termini dilatati di pagamento e di pagare il residuo debito tributario ed è privato, quindi, anche della possibilità di usufruire della causa di non punibilità.
Ne consegue che la disciplina legislativa in questione – oltre che violare l’art. 3 della Costituzione perché, come già esposto, tratta in modo uguale chi è in situazioni differenti – viola anche l’art. 24 della Costituzione perché impedisce, senza ragione plausibile, all’imputato di avvalersi di un’opzione difensiva che gli consentirebbe di andare esente da responsabilità penale attraverso quella causa di esclusione di punibilità costituita dal pagamento dell’intero debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
P.Q.M.
Visti gli artt. 134 Cost., 23 e seguenti, legge n. 87/1953, per le ragioni esplicitate in motivazione dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale: dell’art. 13, comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – così come sostituito dall’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 – nella parte in cui prevede che qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il Giudice di «prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi» e non consente, invece, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione.
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Sospende il processo sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti.