TRIBUNALE DI BERGAMO – Ordinanza 02 marzo 2018, n. 1056
Assegno di natalità ex art. 1, co. 125, L. n. 190/2014 – Titolari di permesso unico di lavoro – Spettanza – Condotta discriminatoria
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 13 dicembre 2017, i ricorrenti in epigrafe proponevano ricorso ex art. 702 bis c.p.c. avanti a questo Tribunale per:
a) accertare il carattere discriminatorio della condotta dell’INPS, consistita nell’avere negato ai ricorrenti l’assegno di natalità ex art. 1 c. 125 l. 190/2014;
b) ordinare all’INPS di cessare la condotta discriminatoria, riconoscendo il diritto all’assegno sin dal dovuto, con condanna al pagamento delle somme maturate e maturande;
c) adottare ogni provvedimento opportuno a evitare il reiterarsi della discriminazione.
Si costituiva l’INPS, eccependo l’inammissibilità della domanda e comunque contestandone la fondatezza.
Il Giudice si riservava la decisione.
Motivi della decisione
La domanda è fondata e va, pertanto, accolta.
Si osserva che:
a) a mente dell’art. 1 c. 125 l. 190/2014, “al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 è riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o di adozione”; tale assegno “è corrisposto fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’UE o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno [UE per i soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 d.lgs. 286/1998], residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) … non superiore a 25.000 euro annui”;
b) i ricorrenti, genitori di figli nati entro il 31 dicembre 2017 e titolari di permesso unico di lavoro, ma non di permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 d.lgs. 286/1998, non hanno potuto presentare domanda per il riconoscimento della prestazione di cui all’art. 1 c. 125 l. 190/2014 (c.d. bonus bebé) in via telematica (atteso che la modulistica on-line non consente l’inserimento del permesso di soggiorno in loro possesso), bensì via PEC; l’INPS ha ritenuto le domande inammissibili, in quanto non presentate nelle modalità prescritte;
c) va invece affermata l’ammissibilità della presentazione della domanda via PEC (e quindi l’ammissibilità della presente domanda giudiziale), tenuto conto del riferito impedimento nella procedura telematica (sulla cui illegittimità nell’individuazione dei titoli, cfr. infra) e dell’idoneità del mezzo di richiesta effettivamente adottato dai ricorrenti (come riconosciuto dallo stesso INPS nella memoria di costituzione nel giudizio n. 6019/17 innanzi al Tribunale di Milano);
d) sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di una domanda relativa a un diritto soggettivo (il diritto alla percezione del c.d. bonus bebé di cui all’art. 1 c. 125 l. 190/2014), con potere di disapplicare ogni atto amministrativo non conforme alla legge;
e) la domanda ex art. 44 d.lgs. 286/1998, esperita nelle forme ex art. 28 d.lgs. 150/2011, è ammissibile: si tratta di azione tipica, specificamente prevista per dare ampia e flessibile tutela nei confronti di qualunque atto discriminatorio pregiudizievole, con potere giudiziale di adottare, “anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni … provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti”;
f) l’art. 12 dir. 2011/98/UE, non recepito nel nostro ordinamento nonostante l’emanazione del d.lgs. 40/2014 e la scadenza dei termini, stabilisce che i soggetti di cui all’art. 3 § 1 lett. b) e c) (cioè “i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento CE 1030/2002” e “i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale”) “beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne … e) i settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento CE 883/2004”, tra i quali certamente rientra la prestazione ex art. 1 c. 125 l. 190/2014, riconducibile alle “prestazioni familiari” di cui all’art. 3 c. 1 lett. j) e 1 lett. z) reg. 883/04/CE; sul punto, si rileva che l’art. 1 lett. z) reg. 883/04/CE, da un lato, definisce la “prestazione familiare” quale categoria generale (comprensiva di “tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari”), dall’altro, esclude da tale categoria generale non già una più ridotta categoria generale (quella degli “gli assegni speciali di nascita o di adozione”, suscettibile di ricomprendere qualsiasi prestazione di tale natura, anche se non disciplinata alla data di entrata in vigore del regolamento), bensì, espressamente e specificamente, “gli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I”, tra i quali non è menzionata alcuna prestazione italiana;
g) tale disposizione ha efficacia diretta nell’ordinamento interno, in quanto chiara e incondizionata (di immediata applicabilità); ne consegue che tutti gli organi dello Stato, comprese le PP.AA., hanno l’obbligo di applicarla direttamente e la disposizione nazionale contrastante, gerarchicamente subordinata, deve essere disapplicata;
h) in particolare, l’art. 1 c. 125 l. 190/2014, nella parte in cui riconosce il c.d. bonus bebé ai figli di cittadini di stati extracomunitari titolari di permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 d.lgs. 286/1998 contrasta con quanto disposto dalla dir. 2011/98/UE, che riconosce la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro di soggiorno in materia di sicurezza sociale ai cittadini di paesi terzi “lavoratori” (secondo la definizione di cui art. 3 § 1 lett. b) e c);
i) i ricorrenti hanno sufficientemente documentato di essere in possesso di un permesso di soggiorno per motivi lavorativi e di svolgere stabilmente un’attività lavorativa da numerosi anni; gli stessi, pertanto, rientrano tra i soggetti ex art. 3 § 1 lett. b) e c) cui l’art. 12 garantisce la parità di trattamento in materia di sicurezza sociale; non è contestato (e risulta comunque sufficientemente documentato) il possesso degli ulteriori presupposti per l’erogazione del sostegno richiesto.
Per questi motivi, il Tribunale ordina all’INPS di cessare la condotta discriminatoria, riconoscendo ai ricorrenti la prestazione richiesta dal dovuto, con condanna al pagamento delle somme maturate (come calcolate dai ricorrenti a pag. 20 del ricorso e non specificamente contestate dall’INPS) e maturande, oltre agli accessori dal dovuto al saldo.
Tenuto conto della reiterazione della condotta discriminatoria da parte dell’INPS, è necessario ordinare all’Istituto di dare adeguata pubblicità alla corretta individuazione dei soggetti legittimati alla richiesta della prestazione in oggetto, mediante pubblicazione di una nota informativa sulla home page del sito internet istituzionale, e di adeguare i moduli on line per la domanda amministrativa, consentendo ai legittimati di indicare ogni rilevante titolo di soggiorno.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate ex d.m. 55/2014 come da dispositivo, con distrazione in favore degli avv. A. G. e I. T..
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro: 1) ordina all’INPS di cessare la condotta discriminatoria, riconoscendo ai ricorrenti la prestazione richiesta dal dovuto, con condanna al pagamento delle somme non corrisposte, oltre agli accessori dal dovuto al saldo; 2) ordina all’INPS di dare adeguata pubblicità alla corretta individuazione dei soggetti legittimati alla richiesta della prestazione in oggetto e di adeguare i moduli on line di richiesta della prestazione, nei termini; 3) condanna l’INPS a pagare ai ricorrenti la somma di € 3.000,00, oltre a contributo forfetario ex art. 2 c. 2 d.m. 55/2014, IVA e CPA, a titolo di spese e compensi professionali, con distrazione in favore degli avv. A. G. e I. T..
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