TRIBUNALE DI BOLOGNA – Sentenza 26 marzo 2013, n. 127
Lavoro subordinato – Licenziamento per giusta causa – Svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia – Configurabilità – Condizioni
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 9 novembre 2010, il ricorrente S.G. conveniva in giudizio il datore di lavoro, P. S.p.A. chiedendo che fosse dichiarata la nullità/inefficacia/illegittimità del licenziamento, con decorrenza dal 13 luglio 2009, per assenza di giusta causa e/o giustificato motivo, argomentando le domande sulla base di una insussistenza ed infondatezza degli addebiti disciplinari contestati, nonché, in ogni caso, perché intimato in violazione del principio di proporzionalità. Il ricorrente chiedeva, inoltre, la condanna della convenuta al pagamento di una somma dovuta a titolo di risarcimento del danno pari alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento a quello della effettiva reintegra.
Si premette che il ricorrente veniva assunto dalla convenuta il 16 luglio 1981, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, in qualità di portalettere con inquadramento nel livello D del CCNL di settore, presso l’ufficio postale di Casalecchio di Reno (BO).
In data 7 gennaio 2009 G., durante lo svolgimento dell’ordinaria prestazione lavorativa, scivolava con il motorino, a causa del terreno nevoso, procurandosi uno strappo muscolare alla gamba destra con prognosi di assenza dal lavoro fino al 10 gennaio, prorogato più volte, come da certificati medici prodotti.
In data 8 maggio 2009 veniva recapitata al ricorrente una lettera contenente una contestazione disciplinare, riguardante fatti avvenuti in varie giornate di aprile 2009, che anticipava il licenziamento in tronco per giusta causa del 13 luglio 2009. In particolare, la convenuta rilevava come questi avesse svolto un’attività lavorativa del tutto incompatibile con il quadro clinico dichiarato nella denuncia di infortunio: G., infatti, a seguito di accertamenti svolti dalla Funzione di Tutela Aziendale, era stato avvistato in una palestra del luogo a svolgere esercizi fisici, in qualità di istruttore di Judo di bambini, in posizione supina, sollevando gli allievi con le gambe flesse.
Contestava tali conclusioni il ricorrente, specificando, sia nell’audizione orale con P. S.p.A. (7 luglio 2009) che nel ricorso impugnativo del licenziamento, che l’esercizio oggetto di discussione prevedeva che i piedi fossero saldi a terra, senza sforzare il bicipite femorale leso, non andando, quindi, a compromettere né a ritardarne la guarigione.
Si costituiva ritualmente P. S.p.A. contestando le pretese del ricorrente, perché infondate sia in fatto che in diritto, chiedendone l’integrale rigetto. Fallito il tentativo di conciliazione, la controversia veniva istruita mediante l’esame della documentazione prodotta dalle parti e delle prove orali ammesse; si procedeva, successivamente, alla discussione della stessa e alla decisione con sentenza.
Motivi della decisione
Il ricorrente fonda la richiesta di illegittimità del licenziamento su diversi motivi, primo, fra tutti, l’insussistenza, nel merito, degli addebiti disciplinari, rilevando, innanzitutto, che gli esercizi da lui posti in essere in qualità di istruttore di judo per bambini, sono del tutto inidonei a ritardare e a compromettere il processo di ripresa dell’attività lavorativa ordinaria, in quanto non gravanti sull’arto infortunato. A tale proposito, egli evidenzia, infatti, come l’inabilità al lavoro, così come risultante dai certificati medici prodotti, non deve essere intesa quale semplice stato di infermità assoluta del lavoratore, ma di perdita, seppur temporanea, dell’attitudine al lavoro, nel senso di incapacità dell’infortunato di eseguire la propria attività lavorativa con l’efficienza richiesta dal datore di lavoro. In base a tali premesse, G. afferma, che ben può svolgere, nel caso di specie, l’attività di istruttore, avendo riguardo alla propria condizione di salute fisica, senza violare i principi di correttezza e buona fede del rapporto di lavoro con la convenuta, trattandosi di attività che il ricorrente, già da vent’anni, pratica con i bambini nell’ambito di un contesto amatoriale e volontario, svincolato da qualsiasi obbligo di orario e da subalternità gerarchica. P. S.p.A. contesta al lavoratore di avere ignorato le dovute cautele volte a salvaguardare il suo stato di salute durante il periodo di convalescenza, ritardandone la guarigione attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativo – sportiva incompatibile con la malattia dichiarata. La difesa evidenzia, infatti, quanto risulti inverosimile la versione dei fatti, fornita dal ricorrente, laddove afferma che l’attività di istruttore abbia carattere meramente passivo: appare improbabile al datore di lavoro, dalla ricostruzione dei fatti, così come delineati dalle relazioni degli Ispettori Z. e N. (2/4/2009) e degli Ispettori S. e B.(9/4/2009), che G. svolgesse esercizi in maniera statica, senza partecipare attivamente nell’esecuzione degli stessi insieme agli allievi; secondo P., emerge chiaramente un ruolo propositivo di parte ricorrente che svela indubbiamente una partecipazione attiva dello stesso all’attività d’istruttore di judo, come tale incompatibile con i principi di correttezza e buona fede posti alla base del rapporto di lavoro.
Il ricorrente, in via subordinata, qualora venisse provata dalla convenuta una sua responsabilità, rileva, in ogni modo, l’illegittimità del provvedimento datoriale sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità tra la sanzione irrogata e l’infrazione commessa. Il lavoratore evidenzia, infatti, l’assenza del requisito, ormai consolidato in giurisprudenza, del notevole inadempimento degli obblighi contrattuali che devono essere tali da non consentire in alcun modo la prosecuzione del rapporto, unico presupposto in grado di giustificare l’irrogazione della massima sanzione, venendo meno l’elemento fiduciario.
L’attore, al fine di qualificare come non grave la condotta oggetto di contestazione, precisa, inoltre, che lo stesso CCNL di settore, in tema di licenziamento disciplinare, ipotizza comportamenti ben più critici di quello da lui posto in essere, il cui elemento centrale risiede nella presenza di una cosciente volontarietà della condotta stessa, assente, invece, nel caso in esame.
Controparte, viceversa, asserisce che l’aver svolto l’attività di istruttore di judo durante il periodo di malattia è elemento di per sé sufficiente, ai fini della proporzionalità, oltre che della legittimità, per erogare la sanzione disciplinare del licenziamento. Secondo il datore di lavoro, tale asserzione trova fondamento nel costante orientamento della giurisprudenza di merito, secondo cui lo svolgimento di altra attività da parte del lavoratore assente per malattia, che sia in grado di far anche solo presumere l’inesistenza della stessa (attraverso un mero giudizio ex ante volto a verificarne la potenzialità del pregiudizio), ipotizzandone una fraudolenta simulazione, può far ricadere la condotta del lavoratore tra quelle che violano i doveri generali di correttezza e buona fede, nonché gli obblighi contrattuali specifici di diligenza e fedeltà, che legittimano lo scioglimento del rapporto lavorativo, non rilevando la natura dell’attività oggetto di contestazione, in quanto ancorché ricreativa o non remunerata, dovendo il lavoratore comunque astenersi dal praticarla, in ossequio alle prescrizioni imposte sia dal CCNL di settore (art. 54, “Doveri del dipendente”) che dal Codice Etico di P. S.p.A.
In tema di svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per malattia la giurisprudenza di legittimità è pervenuta a risultati sostanzialmente conformi. In linea di principio, si è affermato che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia. Tale comportamento può, tuttavia, costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, con violazione di un’obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto (cfr. ex plurimis Cass. n. 9474/2009, Cass. n. 14046/2005).
La Suprema Corte ha precisato che “la valutazione del giudice di merito, in ordine all’incidenza del lavoro sulla guarigione, ha per oggetto il comportamento del dipendente nel momento in cui egli, pur essendo malato e (per tale causa) assente dal lavoro cui è contrattualmente obbligato, svolge per conto di terzi un’attività che può recare pregiudizio al futuro tempestivo svolgimento di tale lavoro; in tal modo, la predetta valutazione è costituita da un giudizio ex ante, ed ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio”, con l’ulteriore conseguenza che “ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante” (Cass. n. 14046/2005 cit.). Ha ribadito, inoltre, che lo svolgimento da parte del dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che, valutata in relazione alla natura della infermità e delle mansioni svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, che giustifica il recesso del datore di lavoro (Cass. n. 17128/2002). Con riferimento al caso in esame, in merito alla fondatezza degli addebiti disciplinari mossi all’attore, in base al costante principio di diritto espresso dalla Suprema Corte sopra esposto, che il giudicante condivide, né ha ragione di disattendere, occorre stabilire se, in concreto, l’attività sportiva svolta dal ricorrente, quale istruttore di judo secondo le modalità emerse dall’istruttoria orale, sia compatibile con la patologia da cui il ricorrente risulta affetto in conseguenza dell’infortunio occorsogli in data 7/1/2009; occorre, inoltre, accertare se sussista o meno pericolo di ritardo o di compromissione della guarigione con lo svolgimento della suddetta attività extralavorativa e se l’attività stessa rechi eventuale giovamento alla salute del malato. Ciò premesso, il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
Gli esiti dell’istruttoria orale svolta nel presente processo ed in quello penale, che si è concluso con il proscioglimento del ricorrente con la formula “perché il fatto non sussiste”, hanno confermato che questi svolgeva l’attività di istruttore, presso la palestra P., ove è stato colto dagli ispettori della resistente, impartendo comandi orali agli allievi, illustrando loro il sollevamento e la caduta a terra in condizione statica, senza partecipare attivamente al combattimento, in posizione sdraiata, a terra, con le gambe flesse, come ha riferito il dipendente di P., S., incaricato dell’ispezione presso la palestra, e da P., frequentatrice della palestra.
Si ritiene che l’attività d’istruttore descritta dai testimoni fosse compatibile con il quadro clinico della patologia da cui era affetto il ricorrente (contusione/distrazione della muscolatura della gamba destra) e non comportasse pericolo di ritardo o compromissione della guarigione, in quanto non poneva sotto sforzo la muscolatura della coscia destra interessata dall’infortunio: il lavoratore, infatti, si limitava ad illustrare agli allievi, con movimenti minimi e in posizione statica, le mosse di judo che venivano realizzate dagli stessi sotto il suo controllo visivo e non attivo. Il ricorso di SG. viene pertanto accolto; per l’effetto, viene ordinato a, P. S.p.A. di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro; la convenuta è condannata a versare, in suo favore, tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegra, detratto l’aliunde perceptum.
Le spese del processo, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1) Dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente in data 13/7/2009; per l’effetto, ordina alla resistente di reintegrarlo nel posto di lavoro precedentemente occupato, con riserva di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra; condanna la convenuta a versare al ricorrente tutte le retribuzioni dovute dalla data del licenziamento a quello della effettiva reintegra da calcolarsi sulla base di una retribuzione globale di fatto, ex art. 2121 c.c., pari a Euro 1.949,89, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo;
2) Condanna altresì la parte resistente a rimborsare alla parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano in Euro 4.500,00, oltre i.v.a., c.p.a.
Assegna il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione della sentenza.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- TRIBUNALE di FOGGIA - Ordinanza del 3 aprile 2023 - La giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti - al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo - le previsioni dei contratti…
- IVA - Trattamento, in termini di aliquota, applicabile alla realizzazione, nonché per eventuali interventi di recupero,dei Centri di accoglienza destinati alle persone migranti. Tabella A, parte terza, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, numeri…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 giugno 2019, n. 16598 - Licenziamento per giusta causa per ripetitività delle condotte irregolari poste in essere dal lavoratore comportante la lesione del vincolo fiduciario - La giusta causa di licenziamento deve…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 19621 depositata l' 11 luglio 2023 - Il diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro deve rispettare i limiti di continenza formale, il cui superamento integra comportamento idoneo a ledere…
- CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 88 depositata il 3 gennaio 2023 - In tema di licenziamento per giusta causa, nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della conservazione del…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 30464 depositata il 2 novembre 2023 - In tema di licenziamento del dirigente, la nozione di “giustificatezza” non coincide con quelle di “giusta causa” e di “giustificato motivo” proprie dei rapporti di lavoro delle…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore in pensione ha diritto alla reintegr
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n . 32522 depositata il 23 novembre…
- Il dolo per il reato di bancarotta documentale non
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 42856 depositata il 1…
- La prescrizione in materia tributariava eccepita d
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27933 depositata il 4 ottobre 20…
- Il giudice penale per i reati di cui al d.lgs. n.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44170 depositata il 3…
- E’ legittimo il licenziamento per mancata es
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30427 depositata il 2 novembre 2…