TRIBUNALE DI BRINDISI – Ordinanza 27 Dicembre 2006, n. 380
Processo penale – Custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo – Computo anche agli effetti della durata dei termini di fase – Mancata previsione – Disparità di trattamento per tutti gli altri casi di estradizione all’estero – Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 253/2004.
Sentite le parti, osserva quanto segue.
1. – Risulta dagli atti che l’imputato C.C.H.E., nato a Conception (Cile) il 1° agosto 1972 e già residente in Madrid (Spagna) in Strada Recaredo n. 6/31, è stato catturato in Spagna in data 15 giugno 2005, a seguito di procedura di mandato di arresto europeo ex lege n. 69/2005, per essere consegnato all’Italia e tratto formalmente in arresto una volta ivi giunto all’aeroporto di Fiumicino in data 15 luglio 2005, il tutto in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa anche nei suoi confronti dal g.i.p. presso questo Tribunale di Bari in data 4 febbraio 2004.
Ebbene, con l’istanza pervenuta in data 30 agosto 2006, il giudicabile sostenne che il termine di fase della durata massima della custodia cautelare in carcere, cui lo stesso è tuttora soggetto, – termine pari ad un anno ai sensi dell’art. 303, comma 1, lettera a) n. 3, c.p.p. in relazione ai delitti ascritti al C. – sarebbe spirato, facendo riferimento come dies a quo al 15 giugno 2005, data della sua cattura in Spagna (tanto in effetti si evince con certezza sia dallo stralcio del provvedimento dell’Audiencia Nacional, Sala de lo penale, Seccion Segunda, in allegato all’istanza del detenuto pervenuta a questo ufficio in data 30 agosto 2006, sia dal prospetto della Divisione S.I.RE.N.E. Italia in allegato alla nota del direttore della 5a Divisione Interpol in data 16 giugno 2006).
2. – Osserva, però, questo g.u.p. che la fattispecie non è regolata dalla norma di carattere generale di cui all’art. 722 c.p.p., dettata per regolare gli effetti della custodia cautelare all’estero nell’ambito della procedura di estradizione dall’estero.
Tale disposizione del codice di rito penale, in effetti, per come risultante a seguito della sent. n. 253/2004 della Corte costituzionale, stabilisce ora che la custodia cautelare all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata, non solo agli effetti della durata complessiva stabilita dall’art. 303, comma 4, c.p.p., ma anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dallo stesso articolo, ai commi 1, 2 e 3 (fermo sempre quanto previsto dal successivo art. 304, comma 4, c.p.p.).
Invece, l’art. 33, legge 22 aprile 2005, n. 69, recante Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, sotto la rubrica “Computabilità della custodia all’estero”, recita:
“1. Il periodo di custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo è computato ai sensi e per gli effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del c.p.p.”.
Per quanto all’inizio si è precisato, poiché la “procedura attiva di consegna” dalla Spagna all’Italia che ha interessato il Caceres è stata assoggettata al regime della citata legge relativa al c.d. mandato di arresto europeo, è unicamente alla previsione testè riportata che occorre fare riferimento in subjecta materia.
Vero è, infatti, che l’art. 39 legge n. 69/2005, al comma 1, prevede che: “Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili”. Tuttavia, sarebbe improponibile nel caso di specie un’applicazione dell’art. 722 c.p.p. per la sola parte in cui, a seguito del richiamato intervento additivo della Corte costituzionale, estende la valorizzazione della custodia cautelare, sofferta all’estero prima della consegna dello stato richiedente l’estradizione, anche ai fini dei termini indicati ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 303 c.p.p.
L’art. 33, legge n. 69/2005, infatti, si configura come norma speciale rispetto a quella contenuta nell’art. 722 c.p.p. e che – come già risulta dalla sua rubrica – detta una disciplina completa della materia della computabilità della custodia cautelare all’estero, in parte sovrapponibile a quella risultante dal testo dell’art. 722 cit. previgente rispetto alla sentenza costituzionale n. 253/2004, ed in parte più ampia di essa laddove richiama l’art. 657 c.p.p., in tema di computo in fase di esecuzione della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo.
Si tratta, perciò, di norma non suscettibile di integrazioni esogene ad opera della norma di carattere generale sancita dall’art. 722 c.p.p., in quanto nel suo letterale tenore, che non sembra prestarsi ad interpretazioni manipolatorie, richiama esclusivamente il comma 4 dell’art. 303 c.p.p., circa la durata complessiva insuperabile della custodia, e non anche i precedenti commi dello stesso articolo.
3. – D’altro canto, non è neppure sostenibile con certezza che il dettato normativo in esame sia stato il risultato di una mera dimenticanza, da parte del legislatore, di quanto non molto tempo prima dell’entrata in vigore della legge n. 69/2005 aveva statuito la Corte costituzionale nell’intervenire sull’art. 722 c.p.p., onde l’art. 33 cit. potrebbe essere interpretato in modo correttivo, e cioè conforme ai principi delineati dal Giudice delle leggi nella più volte richiamata sent. n. 253/2004.
Infatti, la norma nazionale specifica sembra trarre origine dal disposto di cui al par. 1 dell’art. 26 della decisione quadro 2002/584/gai del Consiglio dell’Unione europea in data 13 giugno 2002, nel punto in cui si riferisce al “periodo complessivo di custodia che risulta dall’esecuzione di un mandato d’arresto europeo”, adottando un modo di esprimersi che, sul piano letterale, meglio si attaglia appunto al nostro istituto interno della durata “complessiva” massima della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 4, c.p.p.
In tal senso, allora, non appare affatto condivisibile l’opinione dottrinale secondo la quale la stessa decisione quadro autorizzerebbe con l’ampia formulazione del disposto testè richiamato una lettura ampia della nozione di deducibilità, idonea a ricomprendere anche il computo dei termini di fase, superando in tal modo le incongruenze del precedente sistema estradizionale che non sempre garantiva la possibilità di dedurre dal totale della pena il periodo trascorso in stato di custodia dovuta all’estradizione.
4. – In definitiva il dettato dell’art. 33 cit. pare insuperabile laddove, nella sua formulazione letterale, esclude la possibilità di computare la custodia cautelare all’estero ai fini dei termini di fase ex art. 303, comma 1, c.p.p.
Se così è, quindi, si pone come non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 cit., nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3 c.p.p. In proposito, non appare fuor di luogo ricordare che la Corte costituzionale, nella richiamata sentenza 21 luglio 2004, n. 253, aveva così fondato la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 722 c.p.p.: “1. La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione ha per oggetto l’art. 722 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la custodia cautelare subita all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato italiano non rileva ai fini del computo dei termini di fase.
La Corte di cassazione rimettente – chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un imputato che, essendo stato detenuto all’estero a fini estradizionali dal 29 marzo 1999 al 9 gennaio 2003, aveva chiesto la scarcerazione per decorrenza del doppio dei termini di fase a seguito del regresso del procedimento, deducendo la violazione degli art. 303, 304 e 722 cod. proc. pen. – rileva che, secondo la sua stessa giurisprudenza, la detenzione subita dal cittadino all’estero è computata ai soli effetti della durata complessiva della custodia cautelare, e non anche dei termini di fase, in base al presupposto che la situazione del soggetto detenuto all’estero in attesa di estradizione non è equiparabile a quella di chi è sottoposto a custodia cautelare in Italia. Alla luce di tale indirizzo giurisprudenziale, secondo la Corte di cassazione il doppio dei termini di fase dovrebbe essere calcolato a far tempo dal momento in cui il detenuto ha “varcato la soglia di un istituto penitenziario italiano”, e pertanto al caso in esame non sarebbe “pacificamente” applicabile la disciplina relativa al computo dei termini di fase in caso di regresso del procedimento, secondo l’interpretazione seguita dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 292 del 1998.
La norma censurata, interpretata nel senso che la detenzione all’estero non rileva ai fini del computo dei termini di fase, si porrebbe quindi in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione.
2. – La questione è fondata.
3. – Il testo attualmente in vigore dell’art. 722 cod. proc. pen. è frutto delle modifiche introdotte dall’art. 10 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. Il testo originario prevedeva che la detenzione all’estero a fini estradizionali fosse computata nella durata della custodia cautelare secondo le regole generali, e quindi anche ai fini della decorrenza dei termini di fase, ferma restando la sospensione nella fase del giudizio durante il tempo in cui il dibattimento fosse sospeso o rinviato per impedimento dell’imputato (tale ritenendosi, secondo la relazione al Progetto preliminare del codice, la carcerazione subita all’estero a seguito di una domanda di estradizione), nonché la proroga prevista dall’art. 305 cod. proc. pen. ove la custodia dell’imputato nel territorio dello Stato fosse necessaria per il compimento di attività probatorie.
Nella relazione al decreto-legge n. 306 del 1992 il computo del periodo di detenzione all’estero solo ai fini della durata complessiva della custodia cautelare è giustificato dal “fatto che le fasi precedenti alla procedura di estradizione sfuggono alla disponibilità dello Stato italiano” e che da vari paesi che offrono all’Italia cooperazione internazionale era “venuta la richiesta di poter usufruire di maggior tempo per lo svolgimento delle procedure estradizionali”.
Sebbene la nuova disciplina sia stata oggetto di critiche perché avrebbe privilegiato le esigenze processuali a scapito della tutela della libertà personale, la giurisprudenza di legittimità ne ha in più occasioni sostenuto la “ragionevolezza”, rilevando che la durata della detenzione non è ricollegabile all’inerzia dell’autorità giudiziaria nazionale, ma deriva da una situazione volontariamente creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque trasferitasi all’estero.
L’art. 15 della legge 8 agosto 1995, n. 332, ha poi integralmente sostituito l’art. 304 cod. proc. pen., nel cui comma 6 è stata collocata la disciplina del termine finale complessivo della custodia cautelare (prima contenuta ne comma 4, oggetto di richiamo nella norma impugnata) e sono stati introdotti i termini finali di fase. La giurisprudenza di legittimità non ha peraltro modificato l’interpretazione dell’art. 722 cod. proc. pen., giungendo in un caso ad affermare espressamente (Cass., sez. VI, sentenza n. 555 del 22 settembre 2000) che il richiamo operato da tale norma al comma 4 (ora 6) dell’art. 304 cod. proc. pen. si sostanzia in un rinvio ricettizio (o materiale) al contenuto del comma vigente al momento della modifica dell’art. 722; con la conseguenza che, ai fini della durata della custodia cautelare all’estero, non solo non sarebbe rilevante la distinzione tra termini finali di fase e termine finale complessivo, ma quest’ultimo dovrebbe essere ancora calcolato esclusivamente con riferimento ai due terzi della pena massima prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza (e non, come da ultimo stabilito, con riferimento ai termini di durata complessiva previsti dall’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. aumentati della metà ovvero, solo se più favorevole, al limite dei due terzi del massimo della pena prevista per il reato contestato).
4. – Le vicende legislative degli artt. 722 e 304, comma 6, cod. proc. pen.; la decisione di questa Corte che, con riferimento all’art. 3 Cost., ha affermato, al fine di ritenere sussistente il legittimo impedimento a comparire, che la detenzione dell’imputato all’estero, concretando comunque “un fatto materiale di impossibilità a comparire”, non può essere “assunta a ragionevole presupposto di una diversità di trattamento” rispetto alla detenzione in Italia (sentenza n. 212 del 1974); la recente pronuncia (n. 21035 del 2003) con cui le sezioni unite della Corte di cassazione, conformemente a precedenti relativi alla piena fungibilità tra la custodia cautelare sofferta in Italia e quella subita all’estero, hanno affermato che anche la detenzione all’estero a fini di estradizione costituisce legittimo impedimento a comparire, in quanto a nulla rileva che l’imputato non abbia prestato il consenso all’estradizione, sono tutti elementi che concorrono a dimostrare l’illegittimità costituzionale della disciplina censurata.
In effetti, una volta affermata l’equivalenza tra detenzione cautelare all’estero in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia, evidenti motivi di razionalità e coerenza interna del sistema impongono di applicare alla custodia cautelare all’estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini di custodia cautelare in Italia. In particolare, rientrando anche la detenzione all’estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire che determinano la sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare previsti dall’art. 304, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non vi è alcuna ragione che possa giustificare per la detenzione all’estero una disciplina diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, comma 6, cod. proc. pen. per la durata dei termini massimi della custodia cautelare in Italia. L’irragionevole disparità di trattamento dell’imputato detenuto all’estero in attesa di estradizione rispetto all’imputato in custodia cautelare in Italia determina quindi, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 722 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, dello stesso codice.
Tale essendo la ratio decidendi della pronuncia presa dal Giudice delle leggi in relazione alla disciplina dell’art. 722 c.p.p., pare allora a questo g.u.p. che il testo di quest’ultima disposizione, così come risultante a seguito di quella decisione, ben possa fungere adesso da tertium comparationis per sostenere che l’analoga, ma non identica previsione contenuta nell’art. 33, legge n. 69/2005 non appaia conforme all’art. 3 Cost., laddove non prevede la possibilità di valorizzare la custodia cautelare all’estero anche ai fini del computo dei termini di fase della custodia stessa, come invece ora sancisce l’art. 722 c.p.p. per tutti gli altri casi di estradizione dall’estero.
E in ogni caso le ragioni poste a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 722 c.p.p., sopra riportate e da intendersi fatte proprie da questo giudice, paiono dover valere anche rispetto all’art. 33 della ridetta legge, non sembrando sufficiente l’origine comunitaria della previsione a giustificare un differente trattamento sotto il profilo in esame dei casi di estradizione assoggettati alla disciplina di cui alla legge n. 69/2005.
5. – Ciò detto circa la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale postasi, scontata è la rilevanza della stessa in relazione alla fattispecie concreta, visto che, se fosse considerata anche la pur breve custodia patita in Spagna ove fu catturato, il Caceres, che oramai è ristretto in Italia solo per questa causa, dovrebbe essere liberato, essendo decorso alla data del 14 giugno 2006 il termine di fase di un anno nella specie applicabile a far data dalla cattura in Spagna in data 15 giugno 2005 (dagli atti, infatti, risulta che, prima che il fascicolo del procedimento giungesse alla cognizione di questo g.u.p. era stato preso, invece, in considerazione anche nell’apposito modello in atti come dies a quo di decorrenza della custodia quello dell’arresto in Italia, avvenuto il 15 luglio 2006, e di conseguenza reputandosi in scadenza il termine in questione alla data del 14 luglio 2006).
6. – Tuttavia, poiché la questione di cui sopra si è concretamente posta solo dopo l’esercizio dell’azione penale ed il procedimento è ormai giunto in fase di cognizione di merito (a seguito di ammissione dell’imputato al giudizio abbreviato da lui richiesto), la sospensione obbligatoria del procedimento dettata dall’art. 23, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87, può essere circoscritta alla parte di esso che riguarda la decisione sullo status libertatis dell’imputato sotto il profilo cautelare, che configura in questa chiave un subprocedimento relativamente autonomo rispetto a quello di merito, nel quale non rileva direttamente detta questione incidentale (circa la reciproca indipendenza tra procedimento di merito e procedimento cautelare in sede penale è lecito argomentare in tal senso da quanto deciso in Cass., sez. un., 17 aprile 1996, n. 8, Vernengo).
Invero, è solamente l’aspetto del giudizio relativo alla decorrenza o meno del termine di durata della custodia, applicabile alla fase anteriore a quella in corso, che non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale di cui sopra ed è perciò unicamente su questo profilo che è paralizzata la potestas judicandi di questo giudice che procede.
P.Q.M.
Visti l’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 e l’art. 1, decr. Pres. Corte cost., 21 luglio 2004;
Ritiene, d’ufficio, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, legge 22 aprile 2005, n. 69, Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero in esecuzione del mandato d’arresto europeo è computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3, c.p.p.;
Sospende il giudizio in corso limitatamente alla decisione sulla decorrenza o meno del termine di fase di cui all’art. 303, comma 1, c.p.p. in relazione alla posizione dell’imputato C.C.H.E., come sopra generalizzato;
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati e dispone l’immediata trasmissione di copia degli atti alla Corte costituzionale, insieme con la prova della notificazione e delle comunicazioni di cui sopra.
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