Tribunale di Busto Arstizio sentenza n. 57 depositata il 12 febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – MOBBING – CONFIGURABILITA’ DELLA CONDOTTA LESIVA DEL DATORE DI LAVORO – COMPORTAMENTI DI CARATTERE PERSECUTORIO
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., ritualmente notificato alla convenuta, la signora V.K.C. conveniva A.I. Limited avanti al Giudice del lavoro per sentire accogliere le seguenti conclusioni di merito:
“1. – accertare e dichiarare il diritto della ricorrente al riconoscimento della qualifica di funzionario di prima classe e, conseguentemente, all’inquadramento nel livello 1 (F1) così come previsto dal vigente CCNL FAIRO, a far data dal 27/05/2014;
– condannare, per l’effetto, la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente dell’importo complessivo di € 11.820,78 a titolo di differenze retributive tra quanto corrisposto e quanto in realtà dovuto in relazione alla qualifica superiore cui avrebbe avuto diritto, per il periodo dal 27/05/2014 al 31 /10/2016, oltre alle ulteriori somme maturate e/ o maturande, ovvero quella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi di legge;
– condannare altresì la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 5.000,00, a titolo di risarcimento del danno subito e/ o subendo per effetto dell’illegittimo e arbitrario comportamento della convenuta relativo al mancato inquadramento nella qualifica spettante in virtù delle mansioni effettivamente svolte;
2. – accertare e dichiarare che la ricorrente, per le ragioni di cui in atti descritte e documentate, ha maturato in ogni caso competenze e differenze retributive per straordinari, permessi non goduti, lavoro notturno e mancate compensazioni, e per l’effetto condannare la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente dell’importo complessivo di € 6.214,95 a titolo di competenze e differenze retributive non percepite, ovvero quella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi di legge;
3. – accertare e dichiarare, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2087,2103 e 1218 c.c., e 32 della Costituzione, la responsabilità per inadempimento della società A.I. Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore, per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dalla signora V.C. a causa e per effetto delle vicende e dei comportamenti descritti in premessa, stante il nesso causale tra le denunciate illecite condotte datoriali ed i danni subiti e subendi dalla lavoratrice, e conseguentemente condannare la società resistente al risarcimento del danno subito e subendo, che allo stato si quantifica in € 15.000,00, con riserva di migliore quantificazione in corso di causa, ovvero nella diversa somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia”.
Si costituiva in giudizio A.I. Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore contestando le allegazioni di parte ricorrente e chiedendo il rigetto delle domande avanzate in ricorso.
Senza svolgimento di istruttoria orale dal momento che le richieste istruttoria formulate dalla parte ricorrente venivano giudicate inammissibili, la causa veniva discussa e decisa all’udienza del 12.2.2018.
Le domande di parte ricorrente non possono trovare accoglimento non avendo la stessa assolto gli oneri di allegazione e di prova che su di lei incombevano. I capitoli di prova orale non sono stati ammessi in quanto relativi non a circostanze di fatto rilevanti ma contenenti piuttosto valutazioni e giudizi non demandabili ai testimoni. La documentazione prodotta in giudizio in allegato al ricorso è per lo più inconferente rispetto a quanto dedotto in ricorso.
In particolare, per quanto riguarda l’asserito mobbing, secondo l’insegnamento della costante giurisprudenza, esso viene integrato in presenza di una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio.
Più specificamente, la stessa Suprema Corte, stabilisce che “per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:
• a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
• b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
• c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
• d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio” (Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio 2009, n. 3785).
In altre parole, non rilevano, sotto il profilo qui considerato, situazioni di conflitto solo “temporaneo”, pure non infrequenti nelle relazioni interpersonali che si intrecciano nei luoghi di lavoro, ma solo quelle particolari situazioni con riguardo alle quali la frequenza, la durata e l’intensità delle condotte vessatorie poste in essere nei confronti della vittima determinano un'”insostenibilità” psicologica che può portare – come in effetti spesso avviene – ad un crollo dell’equilibrio psicofisico del soggetto mobbizzato, con la comparsa di vere e proprie patologie di carattere psichiatrico o psicosomatico.
Costituisce opinione comune diffusa, ma sostenuta anche dalla prevalente dottrina giuslavoristica, che non esista l’obbligo da parte del datore di lavoro di creare un ambiente sereno del tutto avulso dalla conflittualità che è insita in qualsiasi tipo di convivenza.
Non si può confondere il mobbing con lo stress, sia pur di genesi lavorativa, che ben può dare i medesimi effetti sulla salute del lavoratore; così come va tenuto distinto dal sovraffaticamento che normalmente può caratterizzare la vita lavorativa di questo o quel lavoratore e dal complesso di difficoltà che normalmente si incontrano negli ambienti di lavoro e che sono, però, aspetti fisiologici e non patologici dello stesso.
Non si intende mettere in dubbio la sussistenza in capo alla ricorrente di una condizione di disagio psicologico, tuttavia nel caso in esame non vi sono elementi per porre tale condizione in relazione causale con una condotta datoriale illecita per violazione dell’art. 2087 c.c.; del resto, la ferma, per quanto fallace, convinzione di essere vittima di una persecuzione può anch’essa ingenerare conseguenze fisiopsichiche negative. Si rammenta come l’ambiente lavorativo aziendale, essendo un luogo di aggregazione e di interazione fra esseri umani, sia inevitabilmente anche luogo di conflitti e tensioni.
L’episodio del 20.6.2016 (descritto al cap.25 del ricorso) anche qualora si fosse verificato nei termini esatti riferiti dalla ricorrente non è sufficiente ad integrare la fattispecie complessa del mobbing.
Quanto riferito dalla ricorrente in relazione all’episodio del 23.4.2016 è invece documentalmente smentito dal doc. 27 (e mail) prodotto dalla ricorrente stessa.
Per mero scrupolo di completezza si rileva come la ricorrente non abbia fornito neppure la prova del danno non patrimoniale asseritamente subito: viene prodotto solamente il resoconto di una psicologa, dottoressa M. che dichiara si essersi basata solo sul racconto della ricorrente e che giunge a conclusioni inevitabilmente dubitative.
Per quanto riguarda l’inquadramento contrattuale nella determinazione della categoria o qualifica da attribuirsi al lavoratore, il giudice deve osservare un procedimento logico che si articola in tre fasi: (i) la prima rivolta all’individuazione delle categorie, qualifiche e gradi previsti dalla normativa di legge e collettiva applicabile al caso di specie, (ii) la seconda diretta all’accertamento dell’attività lavorativa concretamente svolta dal lavoratore, e (iii) la terza consistente nella determinazione, attraverso il raffronto tra (i) e (ii), della qualifica applicabile alle mansioni nel caso specifico.
Ai fini di tale analisi assume particolare rilievo l’effettivo grado di autonomia assunto nello svolgimento concreto della prestazione. Grava sulla parte ricorrente che agisce in giudizio deducendo lo svolgimento di mansioni superiori l’onere di allegare in punto di fatto e di provare compiutamente le mansioni svolte in concreto, in modo tale consentire al giudice il confronto tra le mansioni superiori asseritamente svolte e le mansioni che connotano l’inquadramento di appartenenza, anche ai fini della formulazione del giudizio di prevalenza, indicando esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica raffrontandoli con quelli concernenti le mansioni che deduce di aver concretamente svolto.
Parte ricorrente non ha soddisfatto l’onere di allegazione e la convenuta ha invece chiarito come le mansioni elencate in ricorso fossero assolutamente compatibili con l’inquadramento della lavoratrice.
Per quanto riguarda, infine, il lavoro straordinario e notturno è principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale è onere del lavoratore, in caso di richiesta di corresponsione di importi per differenze retributive per lo svolgimento di lavoro straordinario, fornire la necessaria prova dell’attività espletata oltre il normale orario di lavoro e, in assenza di detta dimostrazione, neppure può supplire una valutazione equitativa del Giudice (Cass. n. 8006/1998; Cass. n. 6623/2001; Cass. n. 12695/2001, Cass. n. 1389/2003; Cass. n. 12434/2006). Da ultimo, tale principio risulta confermato, e meglio precisato, dalla Suprema Corte nella sentenza n. 3194 del 2009 in cui si afferma che “è onere del lavoratore, che pretenda un compenso per lavoro straordinario, provare la relativa prestazione e, quando egli ammetta bensì di esserne stato remunerato ma assuma l’insufficienza della remunerazione, anche di provare la quantità di lavoro effettivamente svolto”.
La ricorrente non ha fornito la suddetta prova.
Per le ragioni sopra esposte il ricorso va respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
PQM
• Rigetta il ricorso.
• Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte convenuta delle spese di lite che si liquidano in complessivi € 2.000 per compensi, oltre accessori.