Tribunale di Civitavecchia sentenza n. 53 depositata il 1° febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – AMIANTO – PRESCRIZIONE DEI DIRITTI DERIVANTI DAL CONTRATTO DI ARRUOLAMENTO SU NAVE DI NAZIONALITA’ STRANIERA – PRESCRIIZONE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 02.04.2013 G.T., assumendo che durante il rapporto di lavoro intercorso con la R.L. S.P.A. dal 19.05.1967 al 30.06.1999 è stato esposto all’amianto, esposizione che gli ha causato la malattia di asbestosi, chiedeva al Tribunale di:
– accertare l’esposizione all’amianto;
– accertare che a seguito di tale esposizione ha contratto la patologia di asbestosi con grado di invalidità pari o superiore alla percentuale di 30 punti;
– accertare la responsabilità del datore di lavoro per non avere messo in atto tutte le misure necessarie a salvaguardare l’incolumità del dipendente dal rischio amianto;
– ritenuta la natura professionale della patologia, condannare la convenuta a risarcire l’istante dei danni a costui causati e, pertanto, del danno biologico e morale causatogli, nonché al rimborso delle spese mediche sostenute e da sostenersi, il tutto quantificato nella complessiva somma di € 153.000,00, con interessi e rivalutazione;
– con vittoria delle spese del giudizio.
La R.L. S.P.A. si costituiva in giudizio, eccependo la prescrizione del diritto vantato e, nel merito, contestando in toto le avverse pretese e chiedendone il rigetto; domandava altresì la chiamata in causa di INAIL per essere tenuta indenne dell’eventuale condanna al pagamento di somme a titolo di danno biologico.
Autorizzata la chiamata in causa, l’INAIL si costituiva in giudizio resistendo alla domanda.
La causa, istruita documentalmente, con la prova testimoniale e tramite l’espletamento di consulenza tecnica, previa concessione di un termine per il deposito di note difensive, veniva discussa e decisa all’udienza odierna come da dispositivo.
Va, innanzitutto, esaminata l’eccezione di prescrizione avanzata dalla R.L. S.P.A. sulla scorta del disposto dell’art. 373 cod. nav. secondo cui “I diritti derivanti dal contratto di arruolamento si prescrivono col decorso di due anni dal giorno dello sbarco nel porto di arruolamento successivamente alla cessazione o alla risoluzione del contratto”.
Ebbene, si osserva che l’applicabilità di tale ridotto termine prescrizionale alla domanda di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c. è stata affermata dal Suprema Corte di Cassazione proprio in ipotesi di risarcimento del danno da asbestosi (Cassazione civile, sez. lav., 12/08/2009, n. 18246). Nella specie, la S.C. ha affermato “La Corte nella sentenza impugnata perviene ad escludere che sia maturata la prescrizione sulla base di due passaggi: il termine decorre dalla conoscenza della patologia; il termine breve ex art. 373 cod. nav., non si applica alla fattispecie. Questa seconda affermazione non è fondata. Il termine di cui all’art. 373 cod. nav., si applica anche ad una fattispecie del tipo di quella in esame (cfr. Cass. Sez. Lav., 1^ giugno 2006, n. 13053). La motivazione pertanto sul punto deve essere corretta”.
Applicando tali principi al caso di specie, non può dunque esservi dubbio circa l’applicabilità del termine biennale di prescrizione stabilito dall’art. 373 cod. nav. alla domanda risarcitoria avanzata dal T..
Quanto al dies a quo di decorrenza di tale termine, Cassazione civile, sez. lav., 01/06/2006, n. 13053 ha precisato che ” coerentemente – con la lettera, appunto, e con la ratio della disposizione in esame (articolo 373 c.n., cit.) – la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro – ove questa sia successiva allo sbarco nel porto di arruolamento (vedi Cass. n. 8524/1991, 5014/1988, cit., anche in motivazione) – ed, in ogni caso, dal “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” – a norma del principio (di cui all’art. 2935 c.c.), da applicare, in via residuale, anche al lavoro marittimo – ove il diritto stesso sorga – o, comunque, possa essere fatto valere – da data successiva sia alla cessazione del rapporto di lavoro che allo sbarco nel porto di arruolamento”.
In adesione a tale orientamento, la sentenza n. 18246 del 2009, ha ritenuto che correttamente la Corte d’Appello avesse “individuato come dies a quo il momento della conoscenza della patologia che rappresenta anche il momento della azionabilità della pretesa, momento che si identifica con la prima diagnosi della asbestosi pleuro – polmonare”.
Nel caso di specie, dunque, il termine biennale non può farsi decorrere dal momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma occorre guardare al momento in cui il T. è venuto a conoscenza della patologia unitamente alla sua derivazione da esposizione all’amianto.
Ebbene, sul punto, osserva il Giudice che le divergenti posizioni delle parti in ordine al momento temporale in cui è avvenuta la prima diagnosi discendono da un equivoco di fondo in ordine alla coincidenza dalla patologia della asbestosi (unica patologia ad essere stata denunciata nel ricorso introduttivo del giudizio al vaglio ed in relazione alla quale è stata avanzata la domanda attorea) con le così dette placche pleuriche (che, come noto, consistono in cicatrici circoscritte della pleura, visibili alla radiografia anche grazie alle calcificazioni, che solo in taluni casi possono associarsi ad asbestosi, una malattia cronica e progressiva del tessuto polmonare).
Chiarita la profonda differenza tra le due condizioni cliniche, risultano inconferenti le deduzioni di parte resistente volte ad evidenziare che già nel corso degli accertamenti effettuati dal ricorrente presso la struttura ospedaliera di Perugia nel 2010 sono state diagnosticate “placche pleuriche in paziente con riferita esposizione ad amianto”.
Poiché la domanda attorea ha ad oggetto la, più grave, patologia dell’asbestosi, il dies a quo del termine biennale di prescrizione non può che essere individuato alla data della prima diagnosi di asbestosi in atti (certificato medico del 19.12.2011, all. 6 di parte ric.).
Pertanto, la notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio (avvenuta, secondo quanto ammesso dalla stessa società resistente, il 21 maggio 2013) ha tempestivamente interrotto il decorso del termine di prescrizione.
Non risultando prescritta la pretesa risarcitoria azionata con il ricorso la vaglio, è stata esperita attività istruttoria ed è stato conferito incarico ad un c.t.u. medico al fine di accertare le patologia da cui risulta affetto di ricorrente, la sua evoluzione clinica e la riconducibilità eziologica della stessa all’attività lavorativa svolta dal T. alle dipendenze della società resistente, così come emersa dall’istruttoria.
Ebbene, il c.t.u. ha puntualmente decritto le patologie che affliggono il ricorrente (diabete mellito, poliartrosi, placche pleuriche bilaterali, broncopatia cronica con insufficienza respiratoria lieve mista, sindrome ansiosa residuale, statosi epatica, cardiopatia sclerotica, esiti adenocarcinoma della prostata) rilevando che il T. non risulta affetto da asbestosi (in particolare si legge a pagina 17 che “in assenza di una attualità diagnosi di asbestosi” la potenzialità menomativa delle placche pleuriche è “da ascrivere ad un parvo potere limitativo alla fisiologica espansibilità del complesso toraco polmonare”).
Da tale accertamento discende, immediatamente, il rigetto della domanda avanzata nel presente giudizio (risarcimento del danno derivante da asbestosi), senza che possa assumere alcun rilievo la circostanza che il c.t.u. abbia rilevato che le placche pleuriche e la broncopatia da cui è affetto il T. determinano la compromissione del complesso antomico funzionale toracopolmonare nell’ambito della prima classe disfunzionale, da quantificare nella misura del 4%.
Ed, infatti, il principio della domanda impone di limitare l’oggetto del giudizio al solo risarcimento del danno derivante dalla patologia in relazione alla quale la domanda giudiziale è stata avanzata (asbestosi). In ogni caso, vale rilevare che la domanda di risarcimento del danno derivante da placche pleuriche risulterebbe prescritta ex art. 373 cod. nav. in ragione delle considerazioni sopra svolte in ordine alla decorrenza del termine biennale di prescrizione della prima diagnosi e risultando in atti che le placche pleuriche e la loro derivazione dell’esposizione all’amianto sono state riscontrate già nel 2010.
Per completezza occorre aggiungere che le conclusioni alle quali si è giunti non risultano scalfite dal riconoscimento da parte di INAIL della esistenza di una malattia professionale e del conseguente diritto all’indennizzo in capitale del danno biologico accertato nella misura del 10% (cfr. nota del 10.12.2014 prodotta in corso di causa), ma anzi tale accertamento non fa che confermare quanto emerso in giudizio: risulta dal citato documento, infatti, che l’Inail ha accertato l’esistenza di placche pleuriche e non di asbestosi.
Da ultimo, vale rilevare, con riferimento alle considerazione svolte da parte attrice nelle note conclusionali in ordine alla patologia prostatica, che il principio della domanda preclude – ovviamente – di procedere in questo giudizio all’esame del nesso di causalità tra tale patologia e l’attività lavorativa svolta dal T. e di procedere ad una eventuale condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (ferma restando la facoltà del ricorrente di promuovere altro giudizio per richiedere tale accertamento).
Il rigetto della domanda avanzata dal ricorrente nei confronti della società resistente assorbe la necessità di esaminare la domanda di manleva avanzata dalla R.L. s.p.a. nei confronti di IN..
La peculiarità e novità delle questioni esaminate rendono equa la compensazione tra le parti delle spese di lite.
Le spese della c.t.u., liquidate con separato decreto, sono poste carico di parte ricorrente, atteso l’esito del giudizio.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Pone a carico del ricorrente le spese della consulenza tecnica, liquidate con separato decreto.
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