TRIBUNALE DI FIRENZE – Sentenza 18 marzo 2019
Stranieri – Soggiorno regolare nel territorio nazionale – Protezione internazionale – Iscrizione nel registro anagrafico della popolazione residente
Osserva
1. A fondamento della propria pretesa il ricorrente ha dedotto:
– di essere regolarmente soggiornante in Italia sin dal settembre 2018, a titolo di richiedente la protezione internazionale e/o umanitaria;
– di essere stato ammesso a godere delle previste misure di accoglienza ed inserito presso il centro gestito dalla Diaconia Valdese Fiorentina, in Scandicci (FI), Piazza C., n. (…).
– di aver presentato al Comune di Scandicci, in data 11.10.2018, istanza di iscrizione anagrafica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, c. 7 d.lgs. 286/1998;
– che, in data 13.11.2018, il responsabile dell’ufficio demografico ha comunicato, via mail, all’operatore del Centro ove il richiedente è accolto, di non poter «accettare la richiesta di residenza del sopra citato in base al DL 4 ottobre 2018 decorrenza 05.10.2018 lettera C»;
– che “Il provvedimento è illegittimo ed ingiusto, oltre che gravemente lesivo dei diritti del ricorrente”;
– che nella specie l’amministrazione resistente ha emanato il provvedimento di rigetto in questione ritenendo che l’art. 13 del d.l. n. 113/2018 (convertito in I. 132/2018) “vieti” ai richiedenti la protezione internazionale – benché regolarmente soggiornanti sul territorio – l’accesso alla residenza;
– che tale disposizione ha introdotto il comma 1 -bis all’art. 4 d.lgs. 142/2015, stabilendo che: “Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 (per richiesta asilo) non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”.
– che “il tenore letterale della disposizione riportata non nega il diritto alla residenza del richiedente la protezione internazionale, ma afferma che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non è più documento utile per la detta iscrizione, fermo restando che ai sensi dell’art. 6, comma 7, d.lgs. 286/1998, testo vigente, le “iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani”;
– che la modifica normativa pertanto “né letteralmente, né sistematicamente interpretata comporta un divieto di iscrizione anagrafica”;
– che occorre tener conto che nel contempo “per i richiedenti la protezione internazionale la regolarità del soggiorno è realizzata con la richiesta di riconoscimento del diritto alla protezione internazionale e/o umanitaria, e dunque – a prescindere dalla manifestazione di volontà anch’essa rilevante ai fini della regolarità del soggiorno ma non documentale – con la compilazione del cd. modello C3”;
– che, in ogni caso, la modifica legislativa de qua, “se diversamente interpretata non potrebbe comunque trovare applicazione nel nostro ordinamento giuridico per contrasto con le norme europee di diretta applicazione e/o attuate in Italia”, con particolare riguardo all’articolo 7 della direttiva 33/2013/UE, rubricato Residenza e libera circolazione, il quale presuppone il riconoscimento del diritto alla residenza; che, nel caso in cui si ritenga che l’articolo 7 dir. 2013/33/UE non abbia un contenuto “chiaro, preciso ed incondizionato”, tale da imporre direttamente la disapplicazione della norma nazionale contrastante, si renderebbe necessario procedere, con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, al fine di ottenere l’interpretazione autentica della normativa comunitaria;
– che, in via ulteriormente subordinata, dovrebbe essere valutata la necessità di sollevare la questione di costituzionalità della norma posta a fondamento del provvedimento amministrativo de quo, ovvero dell’articolo 4 d.lgs n. 142/2015 come modificato dall’art. 13 del DL. n. 113/2018 convertito dalla legge n. 132/2018, sotto molteplici profili: insussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza richiesti dall’articolo 77 Cost.; “violazione del principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. dell’art. 16 Cost., primo comma, art. 10 commi 1 e 2, art. 117 comma 1, art. 2, par. 1, del Protocollo n. 4 allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 12 Patto internazionale sui diritti civili e politici, in ragione dell’irragionevole discriminazione nei confronti dell’intera categoria dei richiedenti asilo quanto al diritto alla residenza”; irragionevole discriminazione nell’accesso ai diritti fondamentali ai sensi dell’art. 3 Cost., con particolare riguardo alla violazione del diritto al lavoro, di cui all’articolo 4 Cost., del diritto alla difesa ed all’accesso al gratuito patrocinio, ex art. 24 Cost. del diritto alla salute ex art. 32 Cost. nonché del diritto all’assistenza e alla previdenza sociale di cui all’art. 38 Cost.;
– che, ferme restando le considerazioni che precedono sotto il profilo del fumus boni iuris, in punto di periculum in mora va evidenziato che il rifiuto dell’amministrazione d’iscrivere il ricorrente alle liste anagrafiche del comune di residenza, oltre a rappresentare una gravissima lesione di un diritto soggettivo immediatamente esigibile, si frappone al godimento ed all’esercizio effettivo dei sopra menzionati diritti di rilievo costituzionale, la cui fruizione necessariamente presuppone detta iscrizione;
– che “La situazione che discende da tale rifiuto, com’è del tutto evidente, ha ripercussioni gravissime sotto ogni profilo della dignità umana del ricorrente: dall’identità personale, alla salute e alla professionalità dello stesso”.
Il Comune di Scandicci costituendosi in giudizio ha chiesto il rigetto della domanda cautelare avversaria sulla base dei seguenti argomenti:
a) con l’entrata in vigore dell’art. 13 del d.l. n. 113/2018, il permesso di soggiorno per richiesta di asilo, per espressa previsione normativa, non consente più di provare la regolarità del soggiorno ai fini dell’iscrizione anagrafica, del richiedente asilo che dimori in un centro di accoglienza, in situazione, quindi, di convivenza anagrafica;
b) tale interpretazione trova conferma nelle circolari del Ministero dell’Interno n. 15/2018 del 18/10/2018 e n. 83744 del 18/12/2018;
c) l’ufficio anagrafe a fronte della presentazione, da parte di (…) di dichiarazione di residenza con iscrizione in convivenza anagrafica, con allegata la ricevuta rilasciata dalla Questura di Firenze, attestante la presentazione dell’istanza di permesso di soggiorno per richiesta asilo, “non ha potuto che comunicare al ricorrente di non poter procedere alla sua iscrizione nel registro dell’anagrafe della popolazione residente del Comune di Scandicci, in adempimento della novella legislativa”;
d) non appare accoglibile “la tesi di controparte secondo cui, a fronte del venir meno del permesso di soggiorno per richiesta asilo quale titolo per procedere all’iscrizione anagrafica, la regolarità del soggiorno può essere dimostrata per mezzo di documenti meramente prodromici al provvedimento conclusivo del procedimento (qual è appunto il permesso di soggiorno per richiesta asilo), come il modello C3 di richiesta asilo presentato in Questura, la ricevuta rilasciata da quest’ultima per attestare il deposito della richiesta di soggiorno o la scheda di identificazione redatta dalla Questura”;
e) l’art. 13 del d.l. n. 113/2018 non si pone in contrasto con l’art. 7 della Direttiva 2013/33/UE, atteso che “Tanto l’individuazione di un luogo di residenza quanto il riconoscimento della residenza quale condizione per l’attribuzione di condizioni materiali di effettiva accoglienza per il richiedente asilo, costituisce una mera facoltà rimessa alla discrezionalità del legislatore nazionale, anche alla luce del Considerato 24 richiamato dal ricorrente. Sotto questo profilo, pertanto, il decreto legge n. 113/2018 non contravviene ad alcun precetto normativo europeo, ma rappresenta, al contrario, esercizio di quella discrezionalità che proprio la direttiva europea 2013/33/UE riconosce, in materia di attribuzione della residenza, agli Stati membri”.
Nel contempo l’amministrazione resistente ha dato atto di aver sostenuto l’iniziativa intrapresa in relazione al decreto legge n. 113/2018 dalla Giunta della Regione Toscana – la quale con delibera n. 91/2018 ha autorizzato il Presidente della Regione a proporre ricorso alla Corte costituzionale avverso tale decreto, anche nell’interesse dei Comuni che ne hanno fatto esplicita richiesta – ed ha rappresentato la necessità che nel presente procedimento venga sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale in relazione all’art. 13 della normativa appena menzionata, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 16, 77, 97, 117 e 118 Cost.
2. E’ pacifico (oltre che documentato) che:
i. in data 4-12-2017 abbia presentato alla Questura di Firenze istanza volta al riconoscimento della protezione internazionale;
ii. dal 10-1-2018 sia ospite, in qualità di richiedente asilo, di C.D.S. Diaconia Valdese Fiorentina, in Piazza C. n.(…) Scandicci (Firenze);
iii. il giorno 6-9-2018 abbia richiesto il rilascio del premesso di soggiorno per richiedente asilo;
iv. in data 11-10-2018 abbia avanzato all’Anagrafe del Comune di Scandicci domanda di iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente, nella forma della dichiarazione di residenza con iscrizione in convivenza.
L’istanza da ultimo menzionata è stata respinta dal Comune di Scandicci con provvedimento comunicato il 13-11-2018, nel quale viene richiamato il d.l. 4-8- 2018 n.113, poi convertito in legge 132-2018.
In particolare, secondo l’amministrazione odierna resistente l’art. 13 del decreto legge de quo, avendo inserito dopo il comma 1 dell’art.4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 il seguente: «1 -bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», avrebbe posto un divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente la protezione internazionale.
Prima di misurarsi con l’interpretazione della disposizione appena menzionata, va evidenziato che parte ricorrente, dando atto del seguente passaggio esplicitato nella relazione introduttiva al disegno di legge di conversione del DL di cui trattasi “L’esclusione dall’iscrizione anagrafica si giustifica per la precarietà del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessità di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente”, ha sostenuto che attribuire preminenza alla volontà dei soggetti che hanno materialmente prodotto la norma finirebbe per compromettere “la possibilità per l’interprete di procedere alla sua esatta comprensione secondo i canoni ermeneutici legali previsti all’art. 12 ss. delle preleggi..”.
L’assunto del ricorrente è senz’altro condivisibile, considerato che:
a) la norma che deve essere seguita in sede di interpretazione di disposizione di legge è l’art. 12 delle preleggi, secondo la quale “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”;
b) in tale disposizione si rinvengono indicazioni a favore dell’interpretazione letterale, sistematica e teleologica;
c) “I’intenzione del legislatore”, secondo l’orientamento prevalente in dottrina, va intesa come intenzione del legislatore obiettivata nella norma: l’interprete non può, dunque, ritenersi vincolato a cercare un significato conforme alla “volontà politica” di cui la norma è, storicamente, un prodotto; la legge, una volta approvata, “si stacca” dall’organo che l’ha prodotta e non viene più in rilievo come una “decisione” legata a ragioni e fini di chi l’ha voluta, ma come un testo legislativo inserito nell’insieme dell’ordinamento giuridico;
d) anche la giurisprudenza della Suprema Corte tende a rifarsi ad una concezione oggettiva in chiave di ratio legis: “Ai lavori preparatori può riconoscersi valore unicamente sussidiario nell’interpretazione di una legge, trovando un limite nel fatto che la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della norma (voluntas legis), da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa” (vd. Cass. n. 3550/1988, nonché Cass. n. 2454/1983 e Cass. n. 3276/1979).
Le considerazioni appena svolte sub c) e d) consentono, peraltro, di richiamare l’attenzione sulla necessità dell’interpretazione dei testi di legge in modo conforme al canone della coerenza con l’intero sistema normativo, coerenza che andrà evidentemente ricercata anche sul piano costituzionale.
In questa prospettiva l’argomento dell’interpretazione in modo conforme alla Costituzione finisce in sostanza per essere una declinazione di quello logicosistematico, per il semplice fatto che la legislazione ordinaria – come rimarcato dalla dottrina costituzionalistica – “non fa sistema in sé medesima, bensì con la normativa costituzionale”.
Ciò posto, la prima conclusione che si può trarre analizzando il nuovo comma 1-bis dell’art. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 è che tale disposizione non prevede in modo espresso alcun divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo.
Soffermandosi sulle singole espressioni linguistiche, si può osservare come la norma in esame sia incentrata sul riferimento al permesso di soggiorno per richiedente la protezione come “titolo per l’iscrizione anagrafica” e sul richiamo al Regolamento anagrafico della popolazione residente di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 ed all’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Nessuna delle predette disposizioni fa menzione di “titoli per l’iscrizione anagrafica”.
Invero, non si rinviene nel Regolamento anagrafico della popolazione residente alcun richiamo a titoli che si rendono necessari per l’iscrizione all’anagrafe e ciò neppure all’articolo 14, che regola l’iscrizione di persone trasferitesi dall’estero.
Ai fini del corretto inquadramento del tema dell’iscrizione anagrafica, è opportuno ricordare che essa è un atto meramente ricognitivo nel quale l’autorità amministrativa che vi provvede non ha alcuna sfera di discrezionalità, ma solo compiti di mero accertamento.
A fronte di tale attività vincolata la posizione di chi manifesta all’ufficiale d’anagrafe l’intenzione di fissare la propria residenza nel territorio di un determinato comune è da qualificare in termini di diritto soggettivo (Sez. U, Sentenza n. 449 del 19/06/2000:”Le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo, e non di mero interesse legittimo, attesa la natura vincolata dell’attività amministrativa ad essa inerente, con la conseguenza che la cognizione delle stesse è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario”). Oltre che un diritto soggettivo, l’iscrizione anagrafica costituisce un “dovere”, considerato che ai sensi dell’art. 2 della legge 1228/1954 “E’ fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale..” L’anagrafe viene definita all’art. 1 Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 come “la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio”.
Da tale disposizione si evince, quindi, che l’iscrizione anagrafica non avviene in base a “titoli”, ma a “dichiarazioni degli interessati” (art. 13 Dichiarazioni anagrafiche), “accertamenti d’ufficio” (Art. 15. Accertamenti di ufficio in caso di omessa dichiarazione delle parti; Art. 18-bis Accertamenti sulle dichiarazioni rese e ripristino delle posizioni anagrafiche precedenti e Art. 19. Accertamenti richiesti dall’ufficiale di anagrafe) e “comunicazioni degli uffici di stato civile”.
In generale si può affermare che l’iscrizione anagrafica registra la volontà delle persone che, avendo una dimora, hanno fissato in un determinato comune la residenza oppure, non avendo una dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio domicilio.
Alla stregua dei motivi appena esposti non è, dunque, chiaro il significato del riferimento al Regolamento anagrafico della popolazione residente operato dal nuovo comma 1 -bis dell’art. 4, D.lgs. 142/2015.
Lo stesso si deve dire per quanto riguarda il richiamo all’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il quale, anzi, sembra escludere la possibilità che si possa negare l’iscrizione anagrafica a uno straniero regolarmente soggiornante ospitato in un centro di accoglienza, prevedendo che “Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell’avvenuta iscrizione o variazione l’ufficio dà comunicazione alla questura territorialmente competente.”
Sulla base di tale norma, il cittadino italiano e lo straniero ai fini dell’iscrizione anagrafica sono, dunque, sullo stesso piano dovendo, per un verso, dimostrare la stabile permanenza in un luogo (c.d. elemento oggettivo) e, per altro verso, manifestare la volontà di rimanervi (c.d. elemento soggettivo; cfr. Cass. n. 1738/1986:”La residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali).
Lo straniero, in aggiunta, dovrà solo dimostrare di essere regolarmente soggiornante in Italia (come previsto dal “regolamento anagrafico” DPR n. 223/1989).
Tirando le fila di quest’analisi sul significato delle parole utilizzate e delle norme richiamate nel nuovo comma 1-bis dell’art.4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, si deve giungere alla conclusione che il testo della disposizione in esame non consente di enucleare alcun divieto di iscrizione alla anagrafe per lo straniero, e ciò neppure “in forma implicita”, stante l’evidente contrasto con gli stessi principi generali in materia di immigrazione che trattano di iscrizioni anagrafiche e che non sono stati modificati dal cd. decreto sicurezza.
In questa prospettiva appare ragionevole sostenere che, per sancire tale divieto, il legislatore avrebbe dovuto modificare il comma 7 dell’art. 6 T.U.I., prevedendo un’esplicita eccezione per i richiedenti asilo.
Inoltre, probabilmente, il legislatore avrebbe dovuto introdurre per i richiedenti asilo un’ulteriore eccezione anche alla previsione secondo la quale si considera “dimora abituale” di uno straniero il centro di accoglienza presso ilo quale è “documentato” che egli sia ospitato da più di tre mesi.
Invero, ribadendo la previsione del secondo comma dell’art. 43 del Codice Civile, secondo il quale “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, il primo comma dell’art. 3 del Regolamento anagrafico della popolazione residente statuisce che “Per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune”.
Ne consegue che, se dopo tre mesi un centro di accoglienza deve essere considerato, per legge, dimora abituale, dopo lo stesso lasso di tempo il richiedente asilo accolto nel centro ha diritto all’iscrizione anagrafica in quanto persona residente.
Il d.l. 113/2018 convertito in legge 132/2018 non ha modificato questa disposizione, che continua a regolare l’iscrizione anagrafica degli stranieri regolarmente soggiornanti “dimoranti” presso i centri di accoglienza.
Né è stato modificato il D.Lgs. 142/2015, nella parte (art. 5, comma 1, del D.lgs. 142/2015) in cui impone al richiedente asilo di comunicare alla Questura il proprio domicilio o la propria residenza e tutte le successive mutazioni: il che, evidentemente, presuppone che lo stesso richiedente possa avere residenza nel territorio dello Stato.
In dottrina si è evidenziato come l’esclusione della possibilità di iscrizione anagrafica appaia, poi, in contrasto con il combinato disposto dei primi tre commi dell’art. 5 del D.lgs. 142/2015, così come modificato dal decreto legge appena menzionato, e dei già ricordati art. 6, comma 7 T.U.I. e art. 1, comma 1 del Regolamento anagrafico della popolazione residente.
Si consideri l’art. 5 del D.lgs. 142/2015 nel testo risultante dalla riformulazione di cui al decreto legge 113-2018:
1. Salvo quanto previsto al comma 2, l’obbligo di comunicare alla questura il proprio domicilio o residenza è assolto dal richiedente tramite dichiarazione da riportare nella domanda di protezione internazionale. Ogni eventuale successivo mutamento del domicilio o residenza è comunicato dal richiedente alla medesima questura e alla questura competente per il nuovo domicilio o residenza ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno di cui all’art. 4, comma 1.
2. Per il richiedente trattenuto o accolto nei centri o strutture di cui agli articoli 6, 9 e 11, l’indirizzo del centro costituisce il luogo di domicilio valevole agli effetti della notifica e delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento di esame della domanda, nonché di ogni altro atto relativo alle procedure di trattenimento o di accoglienza di cui al presente decreto. L’indirizzo del centro ovvero il diverso domicilio di cui al comma 1 è comunicato dalla questura alla Commissione territoriale.
3. L’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.
Da questi tre commi appare evidente che il centro di accoglienza costituisce, nei primi tre mesi, prima di diventare luogo di dimora abituale, il domicilio del titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo.
Questo dato va connesso con la previsione dell’art. 1, comma 1, del Regolamento anagrafico della popolazione residente secondo il quale, come sopra ricordato, “L’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio”, tenendo presente che, in forza dell’art. 7 comma 6 del T.U.I., tale disposizione vale anche per gli stranieri regolarmente soggiornanti.
Dal quadro di queste disposizioni consegue che:
1) il titolare di un permesso come richiedente asilo ha diritto all’immediata iscrizione anagrafica come senza fissa dimora, dato che il D.lgs 142/2015, così come modificato dal decreto legge 113/2018, gli attribuisce il domicilio presso il centro;
2) trascorsi tre mesi al centro, in virtù della seconda parte dello stesso comma 6 dell’art. 7 T.U.I. (“In ogni caso la dimora dello straniero si considera abitualmente anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza”), il richiedente asilo ha diritto all’iscrizione come “dimorante” presso il centro.
Nella ricerca del significato da attribuire al comma 1 -bis dell’art.4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 è necessario altresì dar conto della posizione espressa nella memoria di costituzione dal Comune di Scandicci, secondo il quale “con l’entrata in vigore dell’art. 13 del d.l. n. 113/2018, il permesso di soggiorno per richiesta di asilo, per espressa previsione normativa, non consente più di provare la regolarità del soggiorno ai fini dell’iscrizione anagrafica del richiedente asilo..”.
Tale assunto, ad avviso dell’amministrazione resistente, troverebbe conferma nella Circolare del Ministero dell’Interno n. 15/2018, nella parte in cui si afferma che “dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all’art. 4, comma 1 del citato d.lgs. n. 142/2015, non potrà consentire l’iscrizione anagrafica”, nonché nella Circolare del Ministero dell’Interno n. 83744/2018, con riferimento al seguente passaggio “ai richiedenti asilo – che peraltro non saranno più iscritti nell’anagrafe dei residenti (art. 13) – vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA E CAS)”.
La ricostruzione ermeneutica proposta dal Comune di Scandicci non può essere condivisa.
In primo luogo va osservato come la stessa costituisca una forzatura della lettera del testo della disposizione in esame, la quale non reca alcun riferimento al profilo della regolarità del soggiorno.
In secondo luogo, anche a voler prescindere da tale considerazione, va, in ogni caso, evidenziato che non appare giuridicamente sostenibile la premessa da cui muove tale ricostruzione, ovvero quella della equivalenza tra il possesso del permesso di soggiorno per richiesta asilo e la condizione giuridica di regolarità del soggiorno, ragione per cui, in sostanza, in tanto il permesso in questione non sarebbe “titolo” per l’iscrizione anagrafica in quanto non costituirebbe “titolo” idoneo a comprovare la regolarità del soggiorno.
Come è noto, nel linguaggio giuridico il “titolo” di una situazione giuridica soggettiva è il fatto o l’atto giuridico dal quale deriva l’acquisto della stessa da parte del soggetto giuridico. Solo per estensione, costituisce “titolo” anche il documento che comprova tale fatto o atto e, quindi, l’appartenenza della situazione giuridica soggettiva al titolare.
Orbene, posto che ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante, in quanto ha il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda di asilo ai sensi dell’art. 9 della direttiva 2013/32/UE, attuato dall’art. 7 D. Igs. n. 25/2008 (il quale così statuisce: “Il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale ai sensi dell’articolo 32), si deve ritenere che il “titolo” necessario per l’acquisizione della condizione di regolare soggiorno sia, dunque, rappresentato dall’avvenuta presentazione della domanda in questione.
Non v’è dubbio, allora, che per i richiedenti la protezione internazionale la regolarità del soggiorno sul piano documentale ben possa essere comprovata attraverso gli atti inerenti l’avvio del procedimento volto al riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione ed in particolare attraverso il cd. “modello C3”, e/o mediante il documento nel quale la questura attesta che il richiedente ha formalizzato l’istanza di protezione internazionale.
L’uno o entrambi i documenti certificano la regolarità del soggiorno in Italia. Prima dell’intervento normativo di cui al d.l. 113-2018, il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non era, d’altra parte, considerato, anche a livello di prassi amministrativa, l’unico documento necessario ai fini della dimostrazione del soggiorno regolare, essendo ritenuto sufficiente a tale scopo l’atto che certificava la presentazione della domanda di protezione internazionale e ciò proprio alla luce dell’art. 9 della direttiva 2013/32/UE e dell’art. 7 D. Igs. n. 25/2008 sopra citati (cfr. le Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale, emanate nel 2014 dal Ministero dell’Interno in collaborazione con UNHCR, ASGI, ANUSCA e Servizio Centrale SPRAR, pag.35).
Dall’inidoneità del permesso di soggiorno quale “titolo” atto a comprovare la regolarità del soggiorno non potrebbe, dunque, essere desunto sic et simpliciter alcun divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo, il quale – giova ribadirlo – può fornire prova di tale condizione giuridica attraverso i citati documenti relativi alla presentazione della domanda di asilo.
In definitiva, alla stregua delle suesposte considerazioni, applicando i criteri di interpretazione letterale e sistematica, si ritiene che debba essere escluso che il comma 1 -bis dell’art. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 abbia stabilito un divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente.
3. Mette conto osservare, in linea con un orientamento dottrinario sensibile al canone interpretativo secondo il quale una norma deve essere letta nel senso che consenta di dare ad essa un significato, che il fatto che dall’art. 13 del d.l. 113-2018 non si possa ricavare una norma che impedisce l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo non implica che il comma 1 -bis dell’art. 4 del D.lgs. 142/2015, da esso introdotto, sia una disposizione priva di effetti.
Il suo significato appare chiaro se questa disposizione viene riconnessa a un’altra, contenuta alla lettera c) dello stesso art. 13 appena menzionato. Quest’ultima disposizione ha abrogato la previsione dell’utilizzo per i richiedenti asilo dell’istituto della convivenza anagrafica contenuta nell’art. 5- bis dello stesso D.lgs. 142/2015, introdotto dalla legge 13 aprile 2017, n. 46 che ha convertito il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13.
Il testo dell’articolo abrogato era il seguente:
1. Il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente.
2. E’ fatto obbligo al responsabile della convivenza di dare comunicazione della variazione della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti.
3. La comunicazione, da parte del responsabile della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza o dell’allontanamento non giustificato del richiedente protezione internazionale costituisce motivo di cancellazione anagrafica con effetto immediato, fermo restando il diritto di essere nuovamente iscritto ai sensi del comma 1.
Questo articolo, disponendo che fosse utilizzato l’istituto della convivenza anagrafica, aveva introdotto una procedura semplificata e accelerata per il titolare di permesso di soggiorno per richiesta asilo ospitato in un centro di accoglienza non ancora iscritto all’anagrafe.
Detta disposizione, infatti, prevedeva una iscrizione d’ufficio, basata esclusivamente sulla comunicazione del responsabile della struttura di accoglienza, per chi non era già iscritto all’anagrafe secondo la procedura ordinaria prevista dall’art. 5.
Un tale automatismo, che tra l’altro prescindeva dal trascorrere dei tre mesi ospitati in un centro, come previsto dall’art. 6 comma 7 T.U.I., si può sostenere avesse trasformato, per coloro che erano accolti nei centri indicati, il permesso di soggiorno per richiesta asilo in “un titolo per l’iscrizione anagrafica”. Questa, infatti, stando al testo dell’abrogato art. 5-bis doveva avvenire senza “dichiarazioni degli interessati”, prevista dall’art. 13 del Regolamento anagrafico della popolazione residente, e senza i susseguenti “accertamenti d’ufficio” previsti dagli articoli 18-bis (Accertamenti sulle dichiarazioni rese e ripristino delle posizioni anagrafiche precedenti) e 19 (Accertamenti richiesti dall’ufficiale di anagrafe) dello stesso regolamento.
In particolare, esso svincolava l’iscrizione anagrafica dalla verifica che l’Ufficiale d’anagrafe ha l’obbligo di compiere (art. 18-bis primo comma) sulla “effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legislazione vigente per la registrazione”, servendosi delle informazioni che raccoglie invitando “le persone aventi obblighi anagrafici a presentarsi all’ufficio per fornire le notizie ed i chiarimenti necessari alla regolare tenuta della anagrafe”, interpellando “gli enti, amministrazioni ed uffici pubblici e privati” (poteri conferitigli dall’art. 4, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228), e verificando “la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l’iscrizione o la mutazione anagrafica […] a mezzo degli appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato, utilizzando un modello conforme all’apposito esemplare predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (art. 19 Regolamento anagrafico).
Quindi la norma da ricavare dall’art. 13 nel suo complesso, vale a dire tanto dalla disposizione, lettera a) 2), che introduce il comma 1 -bis dell’art. 4 del D.lgs. 142/2015, quanto da quella, lettera c), che abroga l’art. 5-bis dello stesso D.lgs., sancisce l’abrogazione, non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani. Eliminando questa procedura il legislatore ha in qualche modo ripristinato il sistema di assoluta parità tra diversi tipologie di stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani previsto dal T.U.I.
4. La ricostruzione ermeneutica sviluppata in relazione all’art. 13 d.l. 113-2018 nei paragrafi 2 e 3 che precedono – volta, per un verso, ad escludere la sussistenza di un divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo e, per altro verso, ad attribuire rilevanza all’intervento normativo (unicamente) sotto il profilo della modifica della disciplina delle modalità dell’iscrizione anagrafica consente di soddisfare le esigenze di coerenza interna dell’ordinamento giuridico, unitariamente inteso, che vengono in rilievo, non solo in relazione alle discipline settoriali in tema di iscrizione anagrafica ed immigrazione sopra esaminate, ma anche e soprattutto con riferimento alla necessità di interpretare le norme di legge in conformità alle disposizioni della Costituzione.
Sotto questo profilo, in primo luogo mette conto evidenziare che il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica del residente ha rilievo costituzionale in quanto trova il suo riferimento nell’art. 16 Cost., relativo alla libertà di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, dovendosi ritenere che l’espressione “cittadino” utilizzata dal Costituente sia riferibile a tutti i membri della comunità dei residenti (rectius: regolarmente – e stabilmente – soggiornanti) nel Paese.
In secondo luogo va rilevato che l’iscrizione anagrafica costituisce una posizione per certi versi assimilabile ad uno status, da cui promana una molteplicità di diritti.
Invero, l’iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente è necessaria:
1) per poter accedere ai servizi ed alle misure di politica attiva del lavoro ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c), d. Igs. 150/2015;
2) per poter richiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A. ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. a), d. Igs 633/1972;
3) ai fini della determinazione del valore ISEE richiesto per poter accedere alle prestazioni sociali agevolate (ad esempio l’assegno di natalità di cui all’art. 1, comma 125, l. 190/2014);
4) ai fini della decorrenza del termine di 9 anni per ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), I. 91/1992;
5) per poter ottenere il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’art. 9, comma 1 -ter, d. Igs. 286/1998;
6) ai fini del rilascio della patente di guida ai sensi dell’art. 118 bis, comma 1, codice della strada.
Non v’è dubbio, quindi, che il divieto di iscrizione anagrafica per richiedente asilo finirebbe per compromettere il godimento di diritti di rilevanza costituzionale ai sensi degli art. 2, 3, 4 e 38 Cost.
Né sembra che possa operare come garanzia di accesso alle prestazioni sociali ed ai diritti I’art. 5, comma 3, d.lgs. 142/2015, come modificato dalla legge di cui n. 132/2018 di conversione del decreto n. 118/2018, il quale stabilisce che “l’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio….”
Tale disposizione, invero, in ragione della sua generica ed indeterminata formulazione, sembra presentare un tratto meramente declamatorio e non consentire comunque di coprire tutte le facoltà e le possibilità che in vari campi vengono ricondotte alla residenza, anche al di fuori dei servizi pubblici.
Appare ragionevole, allo stato, ipotizzare la sua soccombenza di fronte alle disposizioni di pari rango che, invece, continuano a richiedere il requisito della residenza anagrafica per l’accesso ai benefici di volta in volta previsti.
In terzo luogo, sul versante del principio di eguaglianza, mette conto ricordare che la parità di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini è considerata fondamentale dalla Corte Costituzionale, la quale ha affermato (C. Cost. 306/2008, par. 10) che: “una volta che il diritto a soggiornare (…) non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini“.
Del resto la negazione del diritto all’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo sarebbe di dubbia costituzionalità anche ex art. 117 Costituzione, perché in contrasto con l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale, per costante giurisprudenza della Corte EDU, fissa il principio dell’inammissibilità di ogni discriminazione tra cittadini degli stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti (cfr. in questo senso anche Corte Costituzionale Sentenza n. 40 del 2013).
In conclusione, si ritiene, dunque, che in relazione all’incerto ed ambiguo contenuto dell’art.4, comma 1 bis d.lgs 142-2015 debba essere adottata la soluzione esegetica sopra prospettata, volta ad escludere che tale norma abbia previsto un divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti la protezione internazionale, e ciò in quanto la stessa, oltre a presentarsi adeguata rispetto ai criteri ermeneutici letterale e sistematico, è idonea a rendere la disposizione de qua conforme alla Costituzione (cfr. Corte Cost. 113/2000 in tema di principio di supremazia costituzionale).
Al riguardo è il caso di ricordare – anche in relazione alla richiesta di parte resistente di sollevare la questione di legittimità costituzionale – che interpretare nel segno della Costituzione non è compito esclusivo della Corte Costituzionale ma obbligo che s’impone a diversi livelli, ed in particolare nei confronti del giudice (oltre che dell’amministrazione e, prima ancora, del legislatore, nella sua opera di svolgimento e attuazione della Costituzione), con l’unico limite rappresentato dal divieto di disapplicazione.
5. Tornando alla fattispecie in esame, esclusa la sussistenza di un divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti la protezione internazionale, devono ritenersi integrati i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare ex art.700 cpc..
In punto di fumus boni iuris la pretesa azionata dal ricorrente appare fondata, considerato che quest’ultimo:
a) dal 10-1-2018 è ospite, in qualità di richiedente asilo, del centro di accoglienza C.D.S. Diaconia Valdese Fiorentina, in Piazza C. n. (…) Scandicci (Firenze), il quale, dunque, costituisce dimora abituale ai sensi dell’art.6, comma 7, d.lgs 286/1998;
b) con dichiarazione in data 11-10-2018 ha manifestato la volontà di stabilire ivi la propria residenza;
c) è regolarmente soggiornante in Italia, avendo presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale in data 4-12-2017, come comprovato dall’attestazione rilasciata dalla Questura di Firenze in pari data, modello C3.
In punto di periculum in mora, va evidenziato che il rifiuto dell’amministrazione resistente di iscrivere il ricorrente alle liste anagrafiche del comune di residenza, oltre a costituire una lesione di un diritto soggettivo, impedisce il godimento e l’esercizio effettivo dei diritti di rilievo costituzionale menzionati al paragrafo che precede.
Trattasi, in tutta evidenza, di diritti che, non essendo suscettibili di un’adeguata tutela nella forma dell’equivalente monetario, nelle more del giudizio di merito possono subire un pregiudizio irreparabile.
In conclusione deve essere ordinata al Comune di Scandicci l’immediata iscrizione di (…) nel registro anagrafico della popolazione residente.
6. In ragione della novità delle questioni giuridiche trattate, le spese di lite del procedimento vengono integralmente compensate tra le parti.
P.T.M.
Ordina al Comune di Scandicci l’immediata iscrizione di (…) nel registro anagrafico della popolazione residente; dichiara le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
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