TRIBUNALE di FOGGIA – Ordinanza del 3 aprile 2023
Lavoro – Contratto di inserimento – Licenziamento disciplinare – Violazione del cd. “minimo etico” – Utilizzo della tessera fidelity in relazione alla spesa di clienti sprovvisti di tale tessera – Immediatezza della contestazione disciplinare – Rigetto
Con ricorso depositato in data 11.6.2022 la ricorrente in epigrafe, premesso di aver lavorato alle dipendenze della M. srl con qualifica di operaia e con mansioni di ausiliaria di vendita, inquadrata nel quarto livello del C.C.N.L. di settore, con assunzione formale dal 9.11.2012 al 28.12.2021, data dell’impugnato licenziamento, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tempo parziale al 63,150% e turni disposti dalla controparte per ventiquattro ore settimanali; di possedere un’anzianità convenzionale dall’1.08.2008, in quanto il rapporto di lavoro aveva avuto continuità sin da tale data, allorquando aveva sottoscritto un contratto di lavoro subordinato, di inserimento ex art. 54 del D. Lgvo. n. 276/2003, a tempo determinato e parziale di quinto livello dal 01.08.2008 al 31.01.2010, con la datrice di lavoro B. S.r.l. Supermercato (società che poi si fuse con l’odierna controparte), con sede legale in Barletta (BT), via (…), contratto poi convertito a tempo indeterminato in data 25.01.2010; che in data 20.10.2012 la B. S.r.l. comunicava ad ella ricorrente che il rapporto di lavoro sarebbe proseguito con la I. Sud S.p.A., con sede in Barletta (BT) alla via (…), per la restituzione del ramo d’azienda, ex art. 2112 c.c., come confermato dalla cessionaria in pari data e con decorrenza dal 23.10.2012; che nell’ambito del concordato preventivo “I. Sud S.p.A”, aperto in data 07.05.2013, presso il Tribunale Ordinario di Trani, Sezione Fallimentare, con numero 12/2012 R.G., la M. srl acquistava il ramo di azienda relativo all’unità produttiva della ricorrente e quindi il rapporto di lavoro proseguiva, ex art. 2112 c.c., in capo a quest’ultima società; che ella ricorrente, dopo avere lavorato sin dal 01.08.2008 presso l’unità produttiva di Foggia, viale (…), in data 25.08.2015 veniva trasferita, ex art. 2103 c.c., presso l’unità produttiva in Cerignola (FG), via (….), con decorrenza dal 14.09.2015; che detto provvedimento veniva contestato e successivamente revocato; che in data 29.02.2016 veniva invece trasferita, ex art. 2103 c.c., presso l’unità produttiva in San Severo (FG), via (…) s.n.c. (esercente commercio all’ingrosso e al dettaglio di alimentari e altri beni) con decorrenza dal 01.03.2016, presso cui aveva operato fino al licenziamento; che in data 22.07.2016 veniva composta in sede sindacale una controversia insorta con la parte datoriale, avente ad oggetto differenze retributive e superiore inquadramento contrattuale, con l’accettazione da parte dell’odierna ricorrente della somma complessiva di € 300,00 e con il riconoscimento del quarto livello contrattuale, a decorrere dal 01.01.2017, da parte dell’azienda; che ella ricorrente, al momento del licenziamento, lavorava presso l’unità produttiva in San Severo (FG), via (…) s.n.c., dalle 08:30 alle 13:30 oppure dalle 16:30 alle 20:30 oppure dalle 17:00 alle 21:00 d’estate, dal lunedì al sabato, e talvolta anche la domenica da quando aveva cominciato a lavorare anche alle casse “(senza tuttavia avere ricevuto una formazione in tal senso, ma per mero senso del dovere, viste le necessità impellenti dell’unità produttiva)”; che la paga lorda mensile stabilita dal datore di lavoro era pari ad € 1.229,41 per il mese di novembre 2021, con un netto a pagare di € 845,00 per 26 giorni lavorativi; che la retribuzione relativa al mese di dicembre 2021 non era stata pagata per sospensione disciplinare; che con contestazione disciplinare, ex art. 7 della Legge n. 300/1970, del 30.11.2021 (consegnatale in data 01.12.2021), con contestuale sospensione cautelativa dal servizio, la controparte aveva asserito quanto segue: “le contestiamo quanto emerso a seguito della verifica operata sulle carte fedeltà D., relativamente al terzo trimestre del corrente anno 2021. Più precisamente, le contestiamo di aver utilizzato, in spregio al regolamento ed alle procedure aziendali, nonché ai generali doveri di buona fede e correttezza ed agli obblighi di diligenza e fedeltà, la carta fedeltà n. 0403300867562, a Lei intestata, sugli acquisti effettuati dalla clientela per ben 53 volte in 21 giorni, anche fino ad 11 volte nella medesima giornata, nel mentre prestava servizio in cassa, presso il punto vendita Sua sede di lavoro, sito in San Severo (FG), via (…) s.n.c. Siffatta condotta Le ha consentito, nei predetti 21 giorni, l’accumulo di ben 1.793 punti, corrispondenti a ben 1.793,00 euro di acquisti, e in data 17 agosto u.s. Lei fruiva, mediante l’utilizzo di 2.500 punti, di un buono spesa del valore di 5,00 euro. La invitiamo, pertanto, a fornirci eventuali giustificazioni entro 5 giorni dal ricevimento della presente, anche a mezzo fax al n. 0803720312, ed inoltre, stante la gravità degli addebiti mossi, la sospendiamo cautelativamente dal servizio con effetto immediato e per tutta la durata del procedimento disciplinare”; che in seguito alla tempestiva richiesta di audizione personale del 02.12.2021, in data 13.12.2021 la stessa, alla presenza di T.M. e C.N., nonché alla presenza del rappresentante sindacale E.D., ella ricorrente aveva dichiarato che: “premesso che sono tanti anni che lavoro con questa azienda e non ho mai avuto una tessera fidelity e sono da circa due o tre anni, non ricordo bene, da quando sono alle casse che la utilizzo per passare la spesa dei clienti che non vogliono fare la tessera fidelity per far passare gli sconti e se non glielo facevo lasciavano tutta la merce. Io, nel mio buon senso, gli continuavo a passare questa tessera ai clienti, facendoli ritirare anche i buoni spesa quando ritornavano a consumare gli stessi buoni spesa ricevuti. Io, con la mia superficialità, usavo questa tessera, a volte chiedevo al mio responsabile sig. F.D.M. se a volte potevo passare la tessera per i clienti che non l’avevano ed il sig. D.M. diceva che non bisognava usarla, ma il cliente voleva il prodotto e non farsi la tessera, perché non voleva perdere tempo, con il rischio di perdere tutta la spesa. Io ammetto di aver sbagliato, ma l’ho fatto in buona fede e l’ho fatto per il punto vendita. Non voglio che l’azienda abbia dubbi sulla mia onestà e correttezza nei confronti della stessa, tant’è che vi è stato un episodio con cui ho parlato con il sig. S.S. e il sig. C., dicendogli quello che accadeva ed io controllavo. Chiedo scusa se ho sbagliato, ma l’ho fatto in buona fede”; che con nota comunicata in data 28.12.2021, la controparte irrogava ad ella ricorrente licenziamento per giusta causa del seguente tenore: “sono risultate del tutto inadeguate ad esimerLa dalle gravi responsabilità ascritte le giustificazioni da Lei rese in sede di audizione personale tenutasi lo scorso 13 dicembre con l’assistenza della O.S. Uiltucs Uil, provvediamo con la presente con la presente ad irrogarle licenziamento per giusta causa, con effetto dal giorno di avvio del procedimento disciplinare (01.12.2021), essendo integralmente confermati tutti gli addebiti su richiamati, che costituiscono i motivi del comminato licenziamento e non consentono l’ulteriore prosecuzione del rapporto di lavoro, in quanto irreparabilmente leso il vincolo fiduciario”; che in data 25.01.2022 impugnava, ex art. 6 della Legge n. 604 del 15.07.1966, la sanzione espulsiva con una nota del seguente tenore: “in quanto sproporzionato rispetto al fatto contestato e, quindi, illegittimo. La sig.ra M.C. impugna, inoltre, ex art. 2113 c.c., ogni eventuale atto di quietanza, di rinuncia o transazione sottoscritto, riguardante diritti spettanti alla stessa ed aventi titolo nel rapporto di lavoro in questione, e mette a disposizione ancora le proprie energie lavorative per la prosecuzione immediata del rapporto di lavoro in questione. La predetta ha sin da subito tenuto una condotta resipiscente, che la dice lunga sulla serietà della persona, che non meritava affatto una sanzione espulsiva, a fronte della lievità del fatto, del suo curriculum lavorativo privo di qualsivoglia contestazione disciplinare, della sua grande disponibilità per tutte le esigenze lavorative, anche se impreviste, e tenuto conto che le erano state anche consegnate le chiavi per l’apertura del punto vendita, cosicchè se ne deve dedurre che la stessa era, al contrario, pienamente meritevole di fiducia da parte Vs. La suddetta ha chiesto di essere ascoltata personalmente, per meglio rappresentare il suo rammarico e per meglio chiarire di avere agito in buona fede, per cercare di fidelizzare maggiormente i clienti che non avevano con sè la tessera e che le avevano chiesto se fosse stato possibile ottenere, comunque, lo sconto previsto, con l’intesa che, poi, avrebbero fatto anche loro la tessera stessa ovvero con l’intesa che non l’avrebbero più dimenticata a casa, tanto che il buono di cinque euro in questione lo ha utilizzato un cliente facendo dell’altra spesa presso lo stesso punto vendita, non certo la predetta. La sua buona fede si sarebbe potuta rinvenire anche nel fatto che la tessera l’aveva sottoscritta circa due anni fa, utilizzandola in maniera impropria soltanto in tale occasione e nonostante fosse a lei intestata. Si rammenta, inoltre, che, in passato, la sig.ra M.C. si è esposta personalmente, fino a subire delle minacce e un’aggressione, per tutelare il patrimonio del punto vendita, entrando anche in contrasto con dei colleghi, come potranno confermare a sua difesa in Tribunale i Vs. dirigenti S.S. e N. C.: tale coraggiosa condotta è paradigmatica della sua correttezza sul luogo di lavoro e del suo senso di giustizia e rende ancor più incomprensibile la Vs. decisione, che, si spera, vogliate rivedere, riassumendola. Va, inoltre, rimarcato che è stata assunta prima del 07.03.2015 e che, quindi, la condotta contestata deve essere tutt’al più oggetto di una sanzione conservativa alla luce del C.C.N.L di settore, non essendo stato, peraltro, affisso nel punto vendita un codice disciplinare che richiamasse l’attenzione sulla condotta contestata, considerato, inoltre, che la stessa non era addetta alla cassa e quindi non era a conoscenza delle prassi al riguardo. Si intima, quindi, di reintegrare la predetta nel suo posto di lavoro entro quindici giorni dal ricevimento della presente. In difetto, si adirà nei Vs. confronti il Magistrato competente”; tutto ciò premesso, adiva il Tribunale di Foggia, in funzione di Giudice del Lavoro, al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: “ACCERTARE e DICHIARARE la nullità ovvero l’inefficacia del licenziamento impugnato e sopra descritto e, per l’effetto, ORDINARE alla parte convenuta la reintegrazione nel posto di lavoro della ricorrente, con eventuale rideterminazione della sanzione disciplinare inflitta con altra conservativa, e meno afflittiva, ritenuta di Giustizia e, per l’effetto, CONDANNARE la parte convenuta al pagamento, in favore della ricorrente, delle spettanze retributive a titolo di risarcimento del danno, per le causali esposte in premessa, maturate dall’atto di licenziamento impugnato sino alla effettiva reintegrazione per la complessiva somma lorda ritenuta di Giustizia, commisurata all’ultima retribuzione lorda globale di fatto di € 1.229,41 ovvero eventualmente da liquidarsi in via di equità, oltre rivalutazione monetaria dal giorno della maturazione sino al soddisfo ex artt. 429 e 150 disp. att. c.p.c. e interessi legali sulle somme rivalutate. CONDANNARE, in subordine, la parte convenuta al pagamento dell’indennità risarcitoria di ventiquattro mensilità, ovvero della misura ritenuta di Giustizia, commisurata all’ultima retribuzione lorda globale di fatto di € 1.229,41 ovvero eventualmente da liquidarsi in via di equità, oltre rivalutazione monetaria dal giorno della maturazione sino al soddisfo ex artt. 429 e 150 disp. att. c.p.c. e interessi legali sulle somme rivalutate”. Il tutto con vittoria di spese di lite.
Integrato il contraddittorio, parte convenuta contestava, sotto tutti i profili, la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto, con vittoria di spese e competenze di giudizio.
All’udienza del 28.2.2023, lette le note di trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato e va integralmente rigettato, per le ragioni di seguito esposte.
L’esame delle plurime doglianze articolate dalla ricorrente postula la preliminare ricognizione della contestazione disciplinare.
A tal proposito, il datore di lavoro, nel comminare il recesso per giusta causa, ha motivato la sanzione espulsiva nel seguente modo: “le contestiamo quanto emerso a seguito della verifica operata sulle carte fedeltà D., relativamente al terzo trimestre del corrente anno 2021. Più precisamente, le contestiamo di aver utilizzato, in spregio al regolamento ed alle procedure aziendali, nonché ai generali doveri di buona fede e correttezza ed agli obblighi di diligenza e fedeltà, la carta fedeltà n. 0403300867562, a Lei intestata, sugli acquisti effettuati dalla clientela per ben 53 volte in 21 giorni, anche fino ad 11 volte nella medesima giornata, nel mentre prestava servizio in cassa, presso il punto vendita Sua sede di lavoro, sito in San Severo (FG), via (…) s.n.c. Siffatta condotta Le ha consentito, nei predetti 21 giorni, l’accumulo di ben 1.793 punti, corrispondenti a ben 1.793,00 euro di acquisti, e in data 17 agosto u.s. Lei fruiva, mediante l’utilizzo di 2.500 punti, di un buono spesa del valore di 5,00 euro” (v., doc. 1, fascicolo di parte ricorrente).
Così riassunto il nucleo essenziale della contestazione, giova evidenziare come “in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro” (Cass., 18.9.2009, n. 20270) e, ancora, “in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico”, mentre deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali” (Cass., 3.10.2013, n. 22626).
Nel caso di specie, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la condotta tenuta dalla stessa deve essere considerata una violazione del cd. “minimo etico” ordinariamente esigibile: infatti, l’aver utilizzato la propria tessera fidelity in relazione alla spesa di clienti sprovvisti di tale tessera integra un comportamento contrario ai doveri fondamentali dell’accorta cassiera.
Del resto, indipendentemente dalla mancata partecipazione ad un corso di formazione relativo allo svolgimento delle mansioni di cassiera, nel modulo di assegnazione della carta fedeltà rilasciato alla M. (doc. 7 fascicolo di parte resistente), che prevede l’accettazione del relativo regolamento, è espressamente indicato che la carta fedeltà D. “è personale e non cedibile. … Per ottenere i punti e gli eventuali sconti è necessario presentare la CARTA FEDELTÀ D.. La mancata presentazione della Carta prima del pagamento non permette’ l’accredito dei punti ed il calcolo degli sconti, nemmeno in tempi successivi”.
La procedura di gestione della carta fedeltà (doc. 8 fascicolo di parte resistente) dispone, poi:
“OBIETTIVO Fidelizzare il cliente Garantire la corretta gestione dei punti elettronici e dei premi Garantire la corretta gestione dei dati personali del cliente.
PREMESSA
La carta fedeltà ha lo scopo di fidelizzare i clienti dei supermercati D., E. e I.. L’azienda investe ingenti risorse economiche per questo scopo.
Qualsiasi utilizzo diverso da quello indicato in questa procedura, comporta dei costi senza ricevere un beneficio.
SI ESORTA AD UNA SCRUPOLOSA ATTENZIONE PER NON DISPERDERE RISORSE ECONOMICHE AZIENDALI.
E’ vietato:
1. Rilasciare la carta fedeltà senza che ci sia stata la registrazione del cliente in anagrafica e senza che lo stesso abbia firmato il modulo di adesione ed abbia autorizzato il trattamento dei dati personali;
2. Utilizzare la carta fedeltà in transazioni di vendita che non siano del reale titolare, anche dietro il consenso del titolare;
3. Movimentare manualmente punti;
4. Trasferire punti da una carta ad un’altra
… Gli operatori di cassa devono sempre chiedere la Carta Fedeltà prima che si cominci la registrazione della merce in cassa.
L’addetto alla barriera casse:
1. Non può utilizzare la carta fedeltà di una persona diversa dal cliente che sta effettuando la transazione di vendita.
2. Non può utilizzare la carta fedeltà personale né effettuare la spesa durante il turno di lavoro.
3. Non può effettuare operazioni di vendita consecutive utilizzando la medesima carta fedeltà”.
Ne deriva che la ricorrente ben avrebbe potuto – e dovuto – comprendere il divieto di utilizzare la propria tessera personale per gli acquisti dei clienti sprovvisti di tessera, a prescindere dal non aver ricevuto una specifica formazione in proposito.
E’ poi inconfutabile che la condotta addebitata alla M. sia stata tenuta da quest’ultima nell’esercizio della sua attività di cassiera (dunque, non in veste di cliente del supermercato) e che la tessera abbia rappresentato uno strumento del quale la lavoratrice si è avvalso- in ambito aziendale ed in stretta connessione con le mansioni ordinariamente esplicate – per perseguire interessi da lei ritenuti, colpevolmente, a favore dell’azienda.
Quanto all’eccepita mancata previsione della condotta nel C.C.N.L. di settore, pacificamente applicato al rapporto in questione, è invece sufficiente rammentare che “La giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo – le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite (nella specie, non superato: n.d.e.) che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione” (Cass., 24.10.2018, n. 27004).
Ad ogni buon conto, il C.C.N.L. di settore, prodotto in estratto da entrambe le parti, prevede, all’art. 222, la sanzione disciplinare del licenziamento nel caso di grave violazione degli obblighi di cui all’art. 217, commi 1° e 2°, ossia dell’obbligo di “osservare nel modo più scrupoloso i doveri ed i segreti d’ufficio”. Soccorre, altresì, la norma del codice civile, ossia l’art. 2106 che prevede le sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione, nel caso di violazione degli obblighi di fedeltà (art. 2105) e di diligenza (art. 2104). Vertendosi, pertanto, in ipotesi di condotta astrattamente passibile di licenziamento, il provvedimento espulsivo si sottrae, sotto tale profilo, alle censure sollevate dalla ricorrente. Non miglior sorte merita il motivo attinente alla pretesa tardività della contestazione.
Deve, anzitutto, richiamarsi il principio consolidato secondo cui “in tema di procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente di datore di lavoro privato, la regola desumibile dall’art. 7 della L. n. 300 del 1970, secondo cui l’addebito deve essere contestato immediatamente, va intesa in un’accezione relativa, ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati (da effettuarsi in modo ponderato e responsabile anche nell’interesse del lavoratore a non vedersi colpito da incolpazioni avventate), soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione unitaria, sicché l’intimazione del licenziamento può seguire l’ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale da quelli precedenti” (v. Cass., 17.9.2008, n. 23739)
Ne consegue che il rispetto di tale principio va verificato:
a) avendo riguardo al momento in cui il datore di lavoro ha avuto adeguata conoscenza dei fatti contestati, “non potendo, nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno strumento di lavoro, ritorcersi a danno del datore di lavoro l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente, o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell’illecito, ovvero supporsi una tolleranza dell’azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente” (v. Cass., 8.3.2010, n. 5546; Cass., 15.10.2007, n. 21546; Cass., 17.5.2016, n. 10069, ove si precisa che “il datore di lavoro ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione ove avesse controllato assiduamente l’operato del dipendente, ma con riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza”);
b) tenendo conto della complessità dell’organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica, ove comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere, sicché risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti (v. Cass., 22.10.2007, n. 22066);
c) nel caso di illecito continuato, “con riferimento al momento di cessazione della continuazione, dovendosi ritenere che in tale momento il datore di lavoro abbia la possibilità di valutare i fatti nel loro insieme e stabilire la congrua sanzione da infliggere” (v. Cass., 1.2.2010, n. 2283).
Applicando i principi anzidetti al caso di specie, ritiene il Tribunale che la conclusione cui è pervenuta la società resistente sia del tutto corretta, atteso che il terzo trimestre dell’anno 2021 è terminato il 30.9.2021 e la contestazione è stata elevata il 1°.12.2021, a distanza di soli tre mesi dai fatti e la sottesa verifica ha riguardato ventuno giorni (per cinquantatre utilizzi impropri della carta).
Si tratta di un lasso di tempo del tutto congruo sia in considerazione dei controlli che (doverosamente) la resistente dovette esperire con riferimento alle risultanze del report effettuato nel mese di ottobre 2021, fornito dall’ufficio IT, sia perché il lamentato ritardo non ha minimamente pregiudicato il diritto di difesa della lavoratrice, la quale nulla di specifico ha lamentato in tal senso.
Passando al merito della contestazione, occorre affermare la sussistenza del fatto materiale e, ad un tempo, la sua riconducibilità, anche sul piano psicologico, all’odierna ricorrente.
Da una parte, infatti, l’addebito contestato è stato confermato dalla ricorrente in sede di procedimento disciplinare (tanto all’atto dell’audizione, tanto sottoscrivendo la lettera di impugnazione del licenziamento), così determinando una confessione stragiudiziale.
Infatti, “una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito che aveva attribuito valore confessorio alla frase con cui un lavoratore, dopo aver ricevuto una contestazione disciplinare per la sottrazione di un bene costituente corpo di reato e detenuto dall’azienda per la distruzione, aveva ammesso il fatto al legale del datore di lavoro)” (Cass., Sez. L -Sentenza n. 12798 del 23/05/2018).
Dall’altra, trattasi di palese violazione delle direttive datoriali impartite in ordine all’utilizzo della tessera ed esplicitate sia nell’ambito del regolamento aziendale, sia personalmente alla ricorrente da parte del suo responsabile, F.D.M..
Ella poi non ha allegato o chiesto di provare che la pratica, pur oggetto di uno specifico divieto, fosse – invece – tollerata dai vertici dell’azienda o costituisse prassi consolidata.
E’ poi evidente che le politiche aziendali non sono di competenza dei dipendenti e la ricorrente, che ha dedotto di non essere stata istruita specificamente, esercitava i compiti di cassiera comune, avendo a suo tempo rivendicato ed ottenuto, in sede di conciliazione raggiunta in sede sindacale, proprio il IV livello del ccnl di settore.
Per inciso, il ccnl Distribuzione Moderna Organizzata, pacificamente applicabile al caso di specie, prevede espressamente che “al quarto livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari, nonché i lavoratori adibiti ai lavori che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico pratiche comunque acquisite”, tra le quali rientra quella di “di cassiere comune”.
Per inciso, poi, ritiene il Tribunale che il consentire ai consumatori di ottenere sconti pur senza il possesso della tessera fedeltà può anche comportare una mancanza di fidelizzazione, perché soltanto nella misura in cui il cliente saprà che non potrà ottenere lo sconto in assenza della tessera sarà maggiormente invogliato a farne richiesta, soprattutto nell’ipotesi di clientela – divenuta – abituale per le più svariate ragioni (vicinanza dal luogo di abitazione, apprezzamento dei prodotti commercializzati dal punto vendita, attrazione nei riguardi di scontistiche praticate in larga misura). Inoltre, l’accredito di punti in favore del titolare a prescindere da ogni acquisto sostenuto dal medesimo, si pone nell’ottica di una quantomeno irregolare modalità di acquisizione dei vantaggi conseguenti all’accumulo dei punti.
La sanzione è, altresì, proporzionata al fatto medesimo, dovendosi in proposito rammentare che nel licenziamento disciplinare la gravità dell’inadempimento deve essere valutata secondo il parametro più rigoroso dell’inadempimento notevole degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c. (ex plurimis, Cass. Sez. Lav. 25 maggio 2016 n. 10842; Cass. Sez. Lav. 16 ottobre 2015 n. 21017; Cass. Sez. Lav. 25 giugno 2015 n. 13162). Tale parametro è stato correttamente applicato dalla società resistente, avuto riguardo alla intensità del vincolo fiduciario sotteso alle mansioni di cassiera ed alla gravità, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, di una condotta reiterata e rimproverabile sotto il profilo della colpa grave, di trasgressione del regolamento aziendale. Tali condotte vanno ricondotte alla previsione di cui all’art. 2015 c.p.c., norma che, nel prescrivere un dovere di fedeltà a cui è assoggettato il lavoratore, enuncia solo alcune manifestazioni di obblighi negativi come mere ipotesi esemplificative di più vasta gamma di comportamenti, anche positivi ma pur sempre riconducibili, in senso ampio ed in collegamento ai doveri di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., all’obbligo di fedeltà (cfr. Cass. n. 8711/2017). Né, d’altro canto, può assumere rilievo la speciale tenuità del danno patrimoniale, posto che, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, ciò che viene in considerazione è – come nella specie – la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica dell’atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti (Cass. n. 16260 del 19/08/2004, Cass. n. 5434 del 07/04/2003).
Per tutte le ragioni sopra illustrate, il licenziamento intimato, nell’ambito della cognizione della presente fase del cd. “rito Fornero”, deve ritenersi legittimo e, pertanto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite – liquidate secondo dispositivo – seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.
Pronunciando nella causa iscritta al n. 4635/2022 R.G.L., vertente tra le parti in epigrafe indicate, disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
a) rigetta il ricorso;
b) condanna la ricorrente alla refusione delle spese processuali, liquidate in euro 2.108,00, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso forfettario per spese generali, come per legge;
c) manda alla Cancelleria per le comunicazioni.