Tribunale di Forlì sentenza n. 145 depositata il 11 aprile 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SCUOLA – RAPPORTO A TEMPO DETERMINATO – RICONOSCIMENTO DI ANZIANITA’ DI SERVIZIO MATURATA AL PERSONALE DEL COMPARTO SCUOLA – TRATTAMENTO ECONOMICO
Fatto/Diritto
osserva quanto segue:
1. La docente ricorrente denuncia l’abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato che hanno intrattenuto con l’amministrazione scolastica nei periodi meglio indicati in ricorso. Denuncia in particolare la violazione delle disposizioni del d.lgs_ n. 368/2001 che vietano il ricorso a rapporti a termine di durata superiore al triennio. Invoca, per l’effetto, in sintesi, la conversione del rapporto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, oltre al pagamento delle differenze retributive spettanti in forza della ricostruzione della carriera e dell’indennità di cui all’art. 32 della l. n. 183/2010.
2. Le questioni controverse trovano soluzione nelle recenti pronunce della Cassazione in tema di supplenze affidate mediante contratti a termine al personale scolastico statale (sentenze nn. da 22552 a 22558 del 2016).
A tali pronunce e alle sottese motivazioni è dunque sufficiente fare rimando ai sensi dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c. per accogliere in parte le domande dei ricorrenti.
3. Ora, considerando che gli incarichi hanno riguardato (non estendendosi dall’ 1 settembre al successivo 31 agosto) l’organico di fatto, si nota che (punto n. 125, lett. H, della sentenza n. 22552 cit.) “non è in sé configurabile alcun abuso ai sensi dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva, fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a sfatta tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima”.
Tali sintomatiche condizioni tuttavia difettano, posto che non è stato specificamente dedotto in ricorso, come sarebbe stato necessario fare (v. il punto 102 della sentenza in questione), che vi sia stato il susseguirsi delle assegnazioni non soltanto presso lo stesso Istituto ma con riguardo alla stessa cattedra.
4. Va invece accordato il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata per effetto dei rapporti di lavoro a termine intercorsi con l’amministrazione scolastica e il conseguente differenziale retributivo maturato. La pretesa creditoria della ricorrente – si nota superando, re melius perpensa, quanto in contrario osservato in precedenti pronunce assunte in materia – è infatti fondata, secondo la sentenza n. 22558 del 2016 della Cassazione, perché la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini dell’attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai C.C.N.L. succedutisi nel tempo(1). Nulla spetta a titolo di scatti biennali nel senso chiarito da quella stessa pronuncia, trattandosi di voci previste per i soli insegnanti di religione.
4.1. Le differenze retributive maturate devono essere contenute nei limiti della prescrizione quinquennale, sicché vanno riconosciute le differenze retributive maturate per effetto dell’anzianità conseguita nei singoli rapporti di lavoro a termine a ritroso di cinque anni (28.6.2011) a partire dalla data di notificazione del ricorso (28.6.2016), secondo la progressione stipendiale che è prevista dai contratti collettivi nazionali di comparto per il personale di ruolo.
Ora, il termine quinquennale rilevante ai fini dell’art. 2948 n. 4 c.c. è iniziato a decorrere dal momento in cui, dopo il primo biennio di insegnamento (maturato anteriormente al 28.6.2011), la docente ha maturato il diritto di credito al primo “scatto” retributivo. Invero, in base al C.C.N.L. per il quadriennio 1998/2001, il dipendente dell’amministrazione scolastica matura un primo “scatto” di anzianità a partire dal terzo anno di servizio, conseguendo un livello retributivo superiore per poi ottenerne uno ulteriore al superamento della soglia di otto anni e via proseguendo alle cadenze stabilite dai contratti. Il C.C.N.L. 4.8.2011 ha rimodulato la sequenza delle posizioni stipendiali, accorpando nella prima fascia l’anzianità di servizio fino a otto anni.
4.2. Gli importi dovuti dovranno essere maggiorati nei limiti del divieto di cumulo degli accessori previsto dall’art. 22, comma 36, della i. n. 724/1994.
4.3. Nessuna pronuncia può essere resa in ordine alle eventuali ricadute contributive dell’attribuzione economica riconosciuta alla appellante, stante l’estraneità al giudizio dell’ente che è parte del rapporto previdenziale(2).
5. Il consolidamento solo in corso di giudizio dei principi giurisprudenziali posti a base della decisione induce a compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, in parziale accoglimento del ricorso:
dichiara il diritto della ricorrente alla progressione retributiva corrispondente all’anzianità di servizio maturata nei periodi di lavoro effettivamente prestato con contratti di lavoro a tempo determinato e, per l’effetto, condanna il M.LU.R. al pagamento delle relative differenze tra la retribuzione percepita e quella dovuta, maturate, in ragione della posizione stipendiale prevista dal C.C.N.L. applicabile in base alla riconosciuta anzianità di servizio, a far data dal 28.6.2011, il tutto oltre al maggior importo tra interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo;
compensa le spese del giudizio.
Forlì, lì 11/4/2018
Note:
(1) Così al paragrafo 3.8 della motivazione.
(2) V. Cass., n. 19398/14: “l’interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il pagamento integra un diritto soggettivo alla posizione assicurativa, che non si identifica con il diritto spettante all’istituto previdenziale di riscuotere il proprio credito, ma è tutelabile mediante la regolarizzazione della propria posizione. Ne consegue che il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell’ente previdenziale, purché entrambi siano stati convenuti in giudizio, atteso il carattere eccezionale della condanna a favore di terzo, che postula una espressa previsione, restando altrimenti preclusa la possibilità della condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali a favore dell’ente previdenziale che non sia stato chiamato in causa”.