Tribunale di Gela sentenza n. 102 depositata il 13 febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – AMIANTO – CALCOLO DELLA CONTRIBUZIONE PER LA DETERMINAZIONE DELLA PENSIONE – ONERE DELLA PROVA – DOMANDA AMMINISTRATIVA
Fatto/Diritto
Con ricorso iscritto al ruolo generale il 21 aprile 2016 C.A.R., quale coniuge superstite di G.C., deceduto il (omissis…)/2015, ha convenuto in giudizio I.N.P.S. deducendo che il de cuius ha lavorato presso lo stabilimento petrolchimico di Gela come operatore esterno polivalente, nonché. Da ultimo, come consollisto, affermando che nell’espletamento della mansione assegnata, G.C. sarebbe stato esposto per un periodo superiore al decennio all’amianto, in maniera qualificata. Ha rappresentato di aver proposto domanda il 21 ottobre 2015 per la rivalutazione dei versamenti contributivi ai sensi dell’art. 13 c. 8 L. n. 257 del 1992 e successive modifiche.
L’INPS si è costituito in giudizio contestando la fondatezza della domanda e chiedendone pertanto la reiezione; in particolare ha ritenuto la domanda giudiziale inammissibile per intervenuta decadenza poiché il ricorrente non avrebbe presentato domanda all’I.N.A.I.L. entro il termine di 180 giorni di cui all’art. 47 c. 5 D.L. n. 269 del 2003, decorrente dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.M. 27 ottobre 2004 (pubblicato il 17/12/2004). Nel merito ha rilevato che l’esposizione qualificata può essere presa in considerazione solo sino all’anno 1992. Infine, ha eccepito la prescrizione quinquennale di eventuali ratei arretrati; in caso di accoglimento della domanda, ha specificato gli interessi legali potrebbero decorrere solo dal 121 giorno successivo al ricevimento della domanda amministrativa.
La domanda non può trovare accoglimento.
Il presente giudizio può esser definito con applicazione del principio della cd. ragione più liquida (in base al quale la domanda può essere respinta o accolta sulla base della soluzione di una questione assorbente, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre: Cass. civ., Sez. Un., sentenza 8 maggio 2014 n. 9936; Cass. Sez. 6 – L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014). Tale approccio comporta l’esame delle questioni accordando priorità alla soluzione di maggior impatto operativo e consente di derogare all’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost. In particolare, significato decisivo assume l’eccezione di prescrizione; l’esame delle ulteriori eccezioni di parte resistente può essere quindi omesso poiché, anche ove fondate, non potrebbero condurre ad un esito diverso del presente giudizio.
È ormai consolidata la giurisprudenza di legittimità sulla configurabilità del beneficio della rivalutazione contributiva come un diritto autonomo rispetto al diritto a pensione (solo questo primario ed intangibile – Cass., SU, 9219/2003) che sorge in conseguenza del “fatto” dell’esposizione ad amianto e determina una maggiorazione pensionistica, e ciò perché nel sistema assicurativo-previdenziale la posizione assicurativa, nonostante la sua indubbia strumentalità, costituisce una situazione giuridica dotata di una sua precisa individualità, potendo spiegare effetti molteplici, anche successivamente alla data del pensionamento, e costituire oggetto di autonomo accertamento (v. da ultimo Cass. sezione lavoro, sent. nn. 2852 e 2853 /2017).
L’INPS ha tempestivamente eccepito “la prescrizione quinquennale degli eventuali ratei di pensione arretrati, ai sensi dell’art. 47-bis D.P.R. n. 639 del 1970” (p. 5 memoria difensiva depositata il 26 maggio 2016). La giurisprudenza di legittimità ha già da tempo chiarito il potere-dovere del giudice di qualificare l’eccezione di prescrizione proposta. In particolare la Suprema Corte, proprio nell’ambito di giudizi per il riconoscimento della rivalutazione dei benefici contributivi derivanti dall’esposizione ad amianto in cui la difesa dell’Istituto previdenziale aveva avanzato eccezione di prescrizione dei ratei (e non del diritto, autonomamente enucleato) nei termini di prescrizione “quinquennale ovvero decennale dei ratei”, ha ritenuto pienamente corretta l’interpretazione secondo cui il giudice di merito ha interpretato l’eccezione come riferita al diritto autonomamente inteso e lo ha ritenuto prescritto.
Infatti, nell’ottica di una considerazione autonoma del diritto alla rivalutazione, come più sopra già illustrata, la Corte di cassazione ha affermato che “in tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una “quaestio iuris” concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge” (Cass. 15555/2015; Cass. 10980/2015; Cass. 2351/2015; Cass. 15965/2015; Cass. Ordinanza n. 10883 del 2016). Condividendosi appieno tale interpretazione del compito ermeneutico del giudicante chiamato a valutare l’eccezione di prescrizione, si osserva che nel caso di specie l’Istituto convenuto, invocando la prescrizione dei ratei, ha manifestato la volontà di volersi avvalere della circostanza fattuale dell’inerzia del titolare del diritto, investendo quindi il giudicante di detto tema e dell’enucleazione degli effetti giuridici derivanti. Poiché, come già detto, il diritto alla rivalutazione contributiva è distinto ed autonomo rispetto al diritto a pensione, e poiché solo questo può dirsi imprescrittibile, è chiaro che in relazione alla rivalutazione dei contributi versati anche il diritto al beneficio della rivalutazione è soggetto a prescrizione, e non solo i singoli ratei maggiorati che ne deriverebbero. Ne discende che, avanzando eccezione di prescrizione, il convenuto ha lamentato l’inerzia a lungo protratta dal titolare del diritto; tale doglianza non potrà che essere interpretata dal giudicante anche in relazione all’autonomo diritto alla rivalutazione. Questa conclusione trova esplicito riscontro nella giurisprudenza di legittimità che in casi del tutto analoghi ha riconosciuto: “Ne consegue che la riserva, alla parte, del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere – dovere del giudice” (cfr. Cass. 15555/2015; Cass. 10980/2015; Cass. 2351/2015; Cass. 15965/2015; Cass. ordinanza n. 10883 del 2016).
Preme sottolineare come, per il vero, la Corte di legittimità non si è limitata ad affermare che spetta al giudicante individuare il regime prescrizionale: le pronunce richiamate infatti non si sono espresse in casi in cui si è posta semplicemente la questione della durata del termine di prescrizione – quinquennale o decennale – ma precisamente in casi in cui, a fronte di una eccezione di prescrizione dei ratei (formulata in termini alternativi, quinquennale o decennale) è stato ritenuto corretto vagliare l’ipotesi di prescrizione del diritto (v. sent. Cass. n. 15555/2015: nel giudizio a quo Inps aveva formulato eccezione “quinquennale ovvero decennale dei ratei” e la Corte ha convalidato la decisione del giudice di merito che aveva riconosciuto la prescrizione del diritto alla rivalutazione dei contributi; negli stessi termini era formulata eccezione di prescrizione “quinquennale ovvero decennale dei ratei” nel giudizio a quo la cui impugnazione è stata in ultimo definita con sent. Cass. 15965/2015, che ha riconosciuto corretta la statuizione di prescrizione del diritto; pari circostanze e pari esito si evidenziano nelle sent. Cass. 10980/2015 e n. 2351/2015; tra le pronunce di merito vedi sent. Tribunale di Venezia nel procedimento r.g. 1575/2014).
La adesione a questa impostazione interpretativa non si deve certamente alla sola autorevolezza della Corte che l’ha affermata. Essa è condivisile per intrinseca razionalità. Si osserva infatti che la prescrizione estintiva si fonda in ogni caso sul fatto costitutivo rappresentato dall’inerzia del titolare del diritto; tale circostanza fattuale è stata ritualmente e tempestivamente allegata in giudizio unitamente alla manifestazione della volontà di avvalersene e le conseguenze giuridiche che ne discendono devono essere quindi vagliate dal giudicante. Del tutto conforme a quanto esposto è il più recente indirizzo espresso anche dalla giurisprudenza di merito (v. sent. corte di Appello di Caltanissetta n. 381/2017 del 11 dicembre 2017)
Chiarito quindi che si intende tempestivamente proposta eccezione di prescrizione, occorre specificare che, in assenza di disposizioni in senso derogatorio, il termine prescrizionale deve intendersi di dieci anni, secondo l’ordinanza previsione di cui all’art. 2946 c.c.
Si pone quindi il problema di individuare il dies a quo della decorrenza di tale termine. L’art. 2935 c.c. dispone: “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere”. Come è noto, la disposizione deve essere intesa come riferita alla “possibilità legale” di far valere il diritto, a nulla rilevando eventuali ragioni di impossibilità di fatto, tra cui deve certamente annoverarsi l’ignoranza degli elementi costitutivi del diritto (in materia previdenziale, Cass. civ. Sez. lavoro, 26-05-2015, n. 10828, così massimata: “L’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 cod. civ. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento”). Diversamente opinando si finirebbe per attribuire rilevanza dirimente all’attitudine, più o meno consapevole, più o meno attenta alla cura dei propri interessi, del singolo lavoratore, svilendo la funzione di un istituto essenziale alla certezza dei rapporti giuridici. D’altra parte, risulta inconferente la pretesa del ricorrente di far decorrere la prescrizione dalla “consapevolezza” dell’esposizione (o addirittura dalla consapevolezza dell’esposizione oltre una certa soglia). In giurisprudenza la necessità della consapevolezza della possibilità di far valere in giudizio un diritto è stata riconosciuta nel caso del diritto al risarcimento del danno e, in particolare, dal risarcimento del danno da malattia professionale o infortunio sul lavoro, proprio perché il diritto può prescriversi dal momento in cui il danno si è verificato e non da quello in cui è stato realizzato l’atto illecito. Infatti, a seguito delle sentenza della Corte cost. 206/1988, il dies a quo in tali casi va individuato nel momento in cui le emergenze fattuali diano certezza dello stato morboso o della normale conoscibilità di esso da parte dell’assicurato, attribuendo pur sempre valore fondante alla manifestazione oggettiva del danno, conoscibile attraverso l’ordinaria diligenza (così, ad esempio, anche nel caso di indennizzo del danno da emotrasfusioni ex L. n. 210 del 1992).
Un tale ragionamento non può essere applicato nel caso di specie, ove certamente non si controverte del diritto al risarcimento di un danno, ma di una prestazione previdenziale (esclude la natura indennitario-risarcitoria della prestazione in discorso Corte cost. sent. 434/2002). Si tratta infatti di una situazione giuridica soggettiva attiva che può essere latamente intesa come un diritto di credito (nel senso che nell’ambito del rapporto obbligatorio con l’ente previdenziale il lavoratore vanterebbe un credito consistente nella rivalutazione della contribuzione), riconosciuta dalla legge anche ai lavoratori ancora in attività. Non vi è, in altre parole, nessun “danno” di cui occorra essere consci, perché non si tratta, con la prestazione in esame, di riconoscere un risarcimento.
Così chiarito che non risulta rilevante rispetto alla presente domanda giudiziale il momento di insorgenza della soggettiva consapevolezza degli elementi costitutivi del diritto, occorre ora verificare da quale momento può farsi decorrere il termine di prescrizione per via della “possibilità legale” di esigerlo. A tal proposito si rileva che il diritto alla rivalutazione può esser fatto valere certamente anche dal lavoratore ancora in attività, proprio al fine di ottenere, mediante la rivalutazione, un anticipato accesso al trattamento pensionistico (questa la ratio della disciplina di cui all’art. 13 co. 8 L. 27 marzo 1992, n. 257, come sostituito dall’art. 1 c.I D.L. 5 giugno 1993, n. 169; vedi sent. Corte cost. n. 434/2002). In altre parole la possibilità legale di domandare la rivalutazione deve essere riconosciuta sin dalla adozione della disciplina legislativa per i lavoratori ancora in attività all’epoca. Ovviamente ciò non può significare che il lavoratore sia tenuto a domandare l’accesso al beneficio entro il termine di prescrizione calcolato a decorrere dall’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, poiché il diritto alla rivalutazione dei contributi matura di giorno in giorno, cumulandosi progressivamente in relazione al periodo di tempo in cui il lavoratore sia effettivamente esposto all’amianto, sino alla cessazione dell’esposizione. Allo stesso tempo, non può essere il lavoratore obbligato a domandare il beneficio in epoca anteriore alla cessazione dell’esposizione: ciò perché sino all’ultimo giorno di attività lavorativa potrà far valere un vantaggio incrementale, rappresentando il numero di settimane contributive il coefficiente della moltiplicazione prevista dalla legge (pertanto il lavoratore ben potrebbe mirare, pur avendo già maturato dieci anni di esposizione, ad accumulare un maggior numero di contributi). Il termine ultimo della maturazione del diritto è quello della cessazione dell’esposizione: da allora nessuna altra giornata potrà esser sommata al periodo oggetto di rivalutazione contributiva e pertanto da allora si può ritenere determinata (anche sotto l’aspetto della quantificazione delle settimane contributive di cui è possibile chiedere la rivalutazione) la situazione giuridica soggettiva di vantaggio che dovrà essere esercitata entro il termine prescrizionale. In assenza di ulteriori elementi di rilievo, il più delle volte tale momento di cessazione dell’esposizione ad amianto coinciderà con il collocamento in pensione.
È consapevole lo scrivente giudice che la Corte di legittimità ha recentemente definito un giudizio esprimendosi in maniera apparentemente difforme (Cass. n. 2856/2017, richiamata da parte ricorrente all’udienza del 13 luglio 2017). In particolare, la Corte ha individuato nella presentazione della domanda all’Inail di certificazione dell’esposizione la prova di una piena consapevolezza del diritto alla rivalutazione, individuando ivi il dies a quo della decorrenza delle prescrizione. Si ritiene, tuttavia, che solo una lettura superficiale della pronuncia possa condurre ad un contrasto con il ragionamento sopra svolto. Con analisi più approfondita, infatti, ben si comprende come, in quel caso, la decorrenza del termine di prescrizione è stata anticipata rispetto a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che aveva invece individuato nel giorno di collocamento in pensione, avvenuto molti anni più tardi, il dies a quo. Il ragionamento della Suprema Corte è del tutto in linea con quanto sopra illustrato. Infatti, il giudizio origina da un caso particolare in cui lo stesso ricorrente ha ritenuto esser cessata l’esposizione all’amianto il 31/12/1996 e ha allegato di avere in seguito a ciò presentato domanda all’Inail, avendo invece avuto accesso alla pensione nel 2010. Evidentemente la successiva attività lavorativa non era considerata dal ricorrente stesso (se ne ignorano i motivi, non essendo rinvenuta la pronuncia di merito) suscettibile di contribuire alla maturazione del diritto di cui all’art. 13 co. 8 L. 27 marzo 1992, n. 257. Quindi, come ben si comprende, in quel caso la Suprema Corte ha fatto decorrere la prescrizione dal momento della cessazione dell’esposizione ad amianto perché antecedente, per stessa allegazione del ricorrente (ad esempio: perché ha poi cambiato attività lavorativa), alla data di pensionamento. È ovvio che, ove ciò non sia specificato e il ricorrente assuma di essere stato esposto all’amianto per tutta la vita lavorativa, il termine di decorrenza delle prescrizione, da identificarsi con la cessazione dell’esposizione ad amianto, in assenza di ulteriori elementi ben potrà essere fatto coincidere con il pensionamento. Tra l’altro la circostanza che la statuizione di cui alla pronuncia n. 2856/2017 sia interamente debitrice della peculiarità del caso concreto (ove non vi è coincidenza tra ritenuta cessazione dell’esposizione ad amianto e pensionamento) e che quindi non si presti a fondare un paradigma generale secondo cui il termine di prescrizione debba decorrere dalla presentazione delle domanda all’Inail, è indirettamente confermato da altre due sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione nella medesima composizione, recanti la stessa data e depositate il medesimo giorno di quella appena citata, le nn. 2852 e 2853/2017, con le quali è stato ribadito: il potere-dovere del giudicante di qualificare la prescrizione eccepita; il valore costitutivo e sufficiente dell’elemento dell’inerzia allegato dall’INPS; il termine decennale di prescrizione; la decorrenza della prescrizione dall’accesso al trattamento pensionistico. Appare d’altra parte evidente dalla lettura di queste due pronunce che nessuna rilevanza è accordata, ai fini della decorrenza delle prescrizione, alla domanda di certificazione dell’esposizione presentata all’Inail.
Applicando i suddetti principi al caso di specie, si osserva che l’odierna ricorrente ha dichiarato che G.C. ha avuto accesso al trattamento pensionistico nell’anno 2003 (v. p. 2 ricorso); ha dedotto di aver presentato domanda all’INPS solo in data 21 ottobre 2015 (doc. 3) e dunque ben oltre il termine decennale di prescrizione. È appena il caso di ribadire, sia pure dovendosi ritenere principio ormai pacifico, che nessun effetto interruttivo può invece spiegare la domanda amministrativa svolta nei confronti di IN AIL ai fini della certificazione dell’esposizione, in quanto tale Istituto non è titolare del rapporto giuridico dedotto in giudizio. In altre parole, INAIL non è il soggetto legittimato ad erogare la prestazione richiesta, per cui nessun valore interruttivo della prescrizione potrà rivestire rispetto alla prestazione previdenziale richiesta la domanda ad esso rivolta (si ribadisce che non contrasta con tale ragionamento la sentenza della Corte di cassazione n. 2856/2017; in quel caso, infatti, l’individuazione del dies a quo al momento della presentazione della domanda a Inail risponde ad una diversa logica, volta ad anticipare la decorrenza attribuendo corretto rilievo al termine dell’esposizione ad amianto anziché all’accesso a pensione).
Ai fini dell’accoglimento non potrebbero esser prese in considerazione argomentazioni volte a superare l’ormai pacifica interpretazione che non riconosce carattere di imprescrittibilità alla prestazione domandata. Stante il carattere consolidato della soluzione interpretativa qui osteggiata, sarà sufficiente richiamare i passaggi reiteratamente riproposti dalla giurisprudenza di legittimità: “È stato, poi, precisato che “nel caso di specie si tratta di rivalutare non già l’ammontare di singoli ratei bensì i contributi previdenziali necessari a calcolare la pensione originaria” – Cass. 12685 del 19 maggio 2008; Cass. n. 7527 del 29 marzo 2010; Cass. n. 8926 del 19 aprile 2011; Cass. n. 6331 del 19 marzo 2014; Cass. n. 7934 del 4 aprile 2014; Cass. n. 13578 del 13 giugno 2014 – ed anche specificato che neppure è validamente invocabile il principio di imprescrittibilità del diritto a pensione, in quanto “tale particolarissimo regime non si estende a tutte le singole azioni relative alla costituzione della posizione contributiva. E del carattere sostanzialmente costitutivo del procedimento amministrativo e dell’azione in giudizio diretto al riconoscimento del beneficio contributivo per esposizione all’amianto sembra non potersi dubitare, stanti i vincoli sostanziali, temporali e procedurali posti dalla legislazione in materia” – cfr. Cass. n. 1629 del 3 febbraio 2012; id. Cass. n. 11400 del 6 luglio 2012; Cass. n. 14531 del 16 agosto 2012; Cass. n. 14472 del 14 agosto 2012; Cass. nn. 20031 e 20032 del 15 novembre 2012; Cass. n. 27148 del 4 dicembre 2013; Cass. n. 4778 del 27 febbraio 2014 -. L’affermazione che la protezione costituzionale del diritto previdenziale – che ne determina l’imprescrittibilità – “non si estende a tutte le singole azioni relative alla costituzione della posizione contributiva” era stata già contenuta nelle decisioni di questa Corte n. 7138 del 29 marzo 2011 e n. 12052 del 31 maggio 2011. 24. In senso analogo si è espressa Cass. n. 11399 del 6 luglio 2012 che ha valorizzato la circostanza che l’esposizione all’amianto e la sua durata sono “fatti” la cui esistenza è conosciuta soltanto dall’interessato, tenuto, pertanto, a portarli a conoscenza dell’ente previdenziale onerato dell’applicazione del moltiplicatore contributivo attraverso un’apposita domanda amministrativa e a darne dimostrazione” (tra le moltissime conformi: Cass. Sez. 6 – L, Sentenza n. 15965 del 2015 in senso del tutto analogo: Cass. 10980/2015; Cass. 2351/2015; Cass. 15965/2015; Cass. Ordinanza n. 10883 del 2016).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato essendo il reclamato diritto alla rivalutazione contributiva per l’esposizione qualificata ad amianto prescritto.
Appare tuttavia necessario, nel caso di specie, argomentare in merito ad un’ulteriore profilo di infondatezza del ricorso. Secondo la stessa prospettazione attorea, G.C. non ha presentato domanda amministrativa all’INPS di rivalutazione dei contributi per esposizione ad amianto, avendolo invece fatto l’odierna ricorrente.
La presentazione della domanda amministrativa costituisce un presupposto dell’azione in mancanza del quale la domanda giudiziaria è improponibile, secondo principio di diritto ormai pacifico (ex plurimis Cass. Sez. L, Sentenza n. 5149 del 12/03/2004). Infatti, l’Istituto competente ad erogare le prestazioni previdenziali non è tenuto a procedere d’ufficio, ma si attiva solo su istanza di parte, verificando i presupposti e procedendo all’erogazione, nel caso in cui si ritenga dovuta. Ne discende che l’istante non può adire direttamente l’autorità giudiziaria senza avere portato la propria domanda a conoscenza dell’ente tenuto all’erogazione. Un indiretto riscontro di tale principio è evincibile dall’art. 443 c.p.c. che prevede l’esaurimento dei procedimenti amministrativi a pena di improcedibilità in materia previdenziale: a fortiori, se devono essere esauriti i ricorsi in via amministrativa, si intende che a monte deve essere presentata una domanda amministrativa. Tale principio vale anche per la corresponsione dei benefici di cui all’art. 13 c. 8 L. n. 257 del 1992, in assenza di disposizioni che prevedano una deroga (cfr. sent. Cass Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16592 del 21/07/2014 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata).
Ciò detto, si ritiene di condividere l’indirizzo interpretativo secondo cui l’integrazione di tale presupposto debba essere adempiuta dal titolare della contribuzione di cui si chiede rivalutazione, non potendo invece rilevare l’adempimento dell’erede. Mentre la domanda di reversibilità deve essere presentata dal coniuge superstite, che esercita, rispetto a tale prestazione un diritto iure proprio, altrettanto non può dirsi per il diritto al ricalcolo (in considerazione del riconoscimento dell’esposizione all’amianto) di ratei che, che in quanto non richiesti dal dante causa (che pacificamente non ha presentato domanda all’INPS) non sono entrati nel patrimonio del de cuius e non possono pertanto essere trasmessi per successione all’erede, odierna ricorrente. Il diritto del de cuius alla maggiorazione sui ratei non è, invero, sorto, perché il de cuius non aveva presentato all’INPS la relativa domanda, che ha natura costitutiva (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 11574 del 2015).
L’esito di tale considerazione, tuttavia, non è l’improponibilità della domanda giudiziale, dal momento che C.A.R. ha formulato domanda in via amministrativa; è piuttosto il rigetto nel merito, poiché con la domanda amministrativa ha chiesto il riconoscimento di un diritto non sussistente o comunque prescritto, per quanto sopra esposto.
La complessità e la novità delle questioni giuridiche trattate depone per l’integrale compensazione delle spese di lite.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis,
• rigetta il ricorso;
• compensa le spese di lite.
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