TRIBUNALE DI GENOVA – Ordinanza 12 novembre 2013
Licenziamento – Requisiti di età e di anzianità contributiva – Applicazione della normativa nazionale
Con ricorso depositato in cancelleria in data 6/3/2013 (…) ha dedotto la natura illegittima in quanto contraria alla legge e comunque Illecita del licenziamento a lei intimato con lettera in data 28/9/2012 e con effetti risolutori previsti con decorrenza dal 1/2/13;
ha dimostrato documentalmente di aver impugnato il recesso in oggetto, manifestando la volontà di rimanere In servizio sino al compimento del limite del 70 anni d’età e ha quindi convenuto in giudizio (…) al fine di sentir accertare e dichiarare la nullità ovvero il carattere discriminatorio di tale atto.
La società (…) resistito alla domanda della (…), depositando memoria difensiva.
Ad avviso del tribunale l’indagine delimitata dalle allegazioni di cui al ricorso deve muovere dall’analisi della normativa nazionale con riguardo all’art. 24 Legge 214/2011 di conversione del DL n 201/2011.
Come riconosciuto anche in dottrina, la legge n. 214/2011 ha introdotto il principio per cui il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato fino all’età di 70 anni; peraltro il meccanismo di incentivazione è previsto dal solo art. 24 comma 4 legge n 214/2011:
per esigenze di completezza si trascrivono i commi 3 e 4 dell’art 24 Legge n. 214/2011.
COMMA 3 il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, al fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale normativa e può chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto. A decorrere dal 10 gennaio 2012 é con riferimento ai soggetti che, nei regimi misto e contributivo, maturano i requisiti a partire dalla medesima data, le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità sono sostituite, dalle seguenti prestazioni: a) “pensione di vecchiaia”, conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di cui al commi 6 e 7, (( salvo quanto stabilito ai commi 14,15-bis, 17 e 18; )) b) “pensione anticipata”, conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di cui al comma 10 e 11, salvo quanto stabilito al commi 14, 15-bis 17 e 18.
COMMA 4 Per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, omissis la pensione di vecchiaia si può conseguire all’età in cui operano i requisiti minimi previsti dal successivi commi. Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare del coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dall’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n, 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni. Nei confronti del lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità.
Come emerge dalla comparazione delle due disposizioni, l’art 24 comma 4 presenta un contenuto precettivo con effetti prevalentemente nei sistema previdenziale, ove prescrive il conseguimento della pensione di vecchiaia con la maturazione di alcuni requisiti anche anagrafici individuati nei commi successivi; peraltro detta norma, art 24 comma 4, non esaurisce la sua efficacia nell’ambito della disciplina previdenziale in quanto estende l’efficacia dell’art 18 Legge 300/70 ai lavoratori dipendenti che hanno la facoltà di permanere in servizio sino al compimento dell’età di 70 anni che per il legislatore costituisce il limite massimo di flessibilità.
In sintesi la norma ex art 24 comma 4 può qualificarsi come una disposizione ad efficacia intersettoriale, rispetto al settore della previdènza, io quanto interviene a regolare anche il campo applicativo dell’art 18 legge 300/70. Diversamente la norma ex art 24 comma 3 è una norma del settore previdenziale in quanto si limita a determinare i requisiti prescritti per il conseguimento del diritto alla prestazione pensionistica, nulla dice la norma circa l’applicabilità dell’art 18 ai soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011.
La presente controversia nasce proprio da tale differenziazione di disciplina all’interno del citato art 24 Legge 214/2011.
Il difensore di parte attrice sostiene che al rapporto controverso debba applicarsi l’art 24 comma 4 legge 214/2011 che prevede un incondizionato diritto dei lavoratori alla prosecuzione dell’attività lavorativa che la nonna intende incentivare; ulteriore argomento si rimerebbe dall’art 1 comma 12 legge 243/2004 che persegue l’obiettivo di Incentivare il posticipo del pensionamento, ai fini del contenimento degli oneri nel settore pensionistico.
La (…) sostiene in memoria difensiva la tesi opposta, evidenziando il dato fattuale che la sig. (…) alla data del 31/12/2011, in quanto avente anzianità contributiva decorrente dal 1/6/1971, aveva maturato i requisiti di legge per conseguire la pensione di vecchiaia e pertanto risulta soggetta al regime normativo di cui all’art 24 comma 3 legge 214/11 che, In una lettura complessiva del sistema, consente il recesso ad nutum dal rapporto di lavoro.
La tesi svolta dalla convenuta risulta meritevole di accoglimento per le ragioni che vengono di seguito specificate.
Già si è rilevato che l’art 24 comma 3 è una norma del settore previdenziale in quanto si limita a determinare i requisiti prescritti per il conseguimento del diritto alla prestazione pensionistica; la norma implica pertanto la ricognizione di precetti normativi, riguardanti l’età massima che segna la cessazione del rapporto lavorativo, aventi quale effetto quello di integrare il dato meramente previdenziale, quindi incompleto, di cui ai predetto art 24 comma 3. All’interno di questo sistema normativo può essere individuato l’art 1 D.LVO 503/1992 che prevede che il diritto alla pensione di vecchiaia a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità. La vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori difendenti è subordinato al compimento dell’età indicata, per ciascun periodo, nella tabella a allegata.
L’art 1 comma 2 sancisce che il limite di età previsto per l’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 6 della legge 29 dicembre 1990, n. 407, è elevato fino al compimento del 65 anno; la norma si innesta sull’art 6 Legge 407/1990 che sanciva il diritto degli assicurati a prestare l’attività lavorativa sino al compimento del sessantaduesimo anno.
Dal combinato disposto di cui all’art 6 Legge n 407/1990 e all’art 1 DLVO 503/1992 si trae dunque la norma che per gli uomini individua il limite d’età per il collocamento a riposo nel compimento dei 65 anni.
La giurisprudenza costituzionale, come noto, ha provveduto ad estendere alle donne l’età massima lavorativa dei 65 anni.
In tal senso si è pronunciata la Cassazione con sentenza 8.7.2004 n. 12646 osservando:
premesso che I precetti costituzionali non consentono di regolare l’età lavorativa della donna In modo difforme da quello previsto per gli uomini, non soltanto per quanto riguarda il limite massimo dì età, ma anche per quanto riguarda le condizioni per raggiungerlo, mentre non contrasta con alcun precetto costituzionale la previsione, per le donne, di un limite di età inferiore per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il combinato disposto dalla L. n. 407 del 1990, art 6, comma 1, e del D.Lgs. n. 503 del 1992, art 1 – dal quale si desume la nonna secondo cui sia i lavoratori che le lavoratrici, ferme restando l’identica età lavorativa (originariamente prevista in 62 anni e poi elevata a 65 anni) e la diversa età pensionabile, sono licenziabili ad nutum ove abbiano consentito o abbiano richiesto la liquidazione della pensione di vecchiaia – non contrasta con i suindicati precetti costituzionali giacché risultano esclusi dal beneficio della prosecuzione del rapporto di lavoro, e conseguentemente dal mantenimento della garanzia di stabilità del rapporto di lavoro, sia i lavoratori che le lavoratici che già godono di pensione di vecchiaia senza alcuna deduzione in ordine alla diversa età lavorativa.”
Nel caso di specie (…) ha intimato il licenziamento alla ricorrente con lettera in data 28/9/2012, circostanza pacifica in quanto dedotta anche in ricorso, quindi dopo che la dipendente, nata il 7 aprile 1947, aveva compiuto i 65 anni Infine l’aver la ricorrente ampiamente maturato 1 requisiti di età e di anzianità contributiva al 31/12/2011 non consente di ricondurre la sua posizione soggettiva all’art 24 comma 4 che prevede la tutela di cui all’art 18 legge 300/70.
Il licenziamento in questione può quindi definirsi come comunicato per il raggiungimento dell’età massima lavorativa, raggiunta la quale non è applicabile, ex art 4 comma 2 legge 108/90, la tutela ex art. 18 legge 300/70; per le ragioni svolte sfugge ai denunziati profili di illegittimità.
La ricorrente ha prospettato, inoltre, che nel licenziamento intimatole l’unico motivo addotto è quello che fa riferimento all’età della lavoratrice, cosicché l’atto concreterebbe un recesso determinato da un motivo Illecito determinante, vale a dire l’età, illiceità che darebbe luogo alla nullità del recesso.
Il patrono della società convenuta ha allegato che nel caso di specie difettano elementi di fatto che consentano di ritenere il licenziamento fondato su motivi d’età; tale tesi difensiva risulta infondata o meglio priva di riscontri fattuali, giacchi smentita dal carteggio precedentemente intercorso tra le parti che evidenzia che il recesso trae origine dal compimento da parte della lavoratrice di 65 anni. Tanto premesso, non ricorre ad avviso del Tribunale un licenziamento determinato da un motivo illecito, dovendosi evidenziare che al legislatore nazionale non è inibito dettare una normativa che assuma l’età quale elemento idoneo a fondare una disparità di trattamento all’interno dei lavoratori.
Occorre partire dall’art 6 Direttiva 2000/78 CE che facendo salvo l’articolo 2, paragrafo 2, afferma che gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento In ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e dì formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
Il paragrafo 2 dell’art 6 facoltizza gli Stati membri a prevedere che la fissazione per i regimi di sicurezza sociale di un’età per poter accedere o aver titola alle prestazioni pensionistiche o all’Invalidità, compresa la fissazione per tali regimi di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l’utilizzazione, nell’ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali, non costituisca una discriminazione fondata sull’età.
In sostanza la direttiva comunitaria consente al legislatore nazionale di Introdurre disparità di trattamento In ragione dell’età sia nella materia della normativa Ispirata da giustificati obiettivi di politica del lavoro sta nell’ambito dei regimi di sicurezza sociale; pertanto la normativa nazionale ex art 24 Legge 214/2011, in applicazione della quale è stato disposto il licenziamento controverso, non integra una discriminazione fondata sull’età in quanto il superiore diritto comunitario ammette espressamente una modulazione differenziata della normativa in materia di cessazione del rapporto di lavoro dovuta all’età purché giustificata, come è nel caso di specie, da obiettivi di regolazione del mercato del lavoro; del resta se l’interprete volesse dare valenza assoluta al fondamentale principio, di fonte comunitaria, di parità di trattamento, il legislatore nazionale si vedrebbe irragionevolmente privato della funzione di regolare i presupposti per l’accesso degli assicurati alle prestazioni pensionistiche, in funzione di una serie di variabili tra le quali deve includerai l’età dei medesimi.
Pertanto si conclude che il licenziamento in oggetto risulta intimato in applicazione di una normativa nazionale che, su basi oggettive e con la copertura della direttiva 2000/78, prevede una disparità di trattamento all’interno della categoria dei soggetti aventi diritto al conseguimento dei trattamenti di pensione.
Il ricorso va quindi rigettato con compensazione integrale delle spese di lite, giustificata dalia peculiarità della questione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di giudizio.
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