Tribunale di Genova sentenza n. 122 depositata il 31 gennaio 2018

LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – AMIANTO – EREDI DEL VIGILE DEL FUOCO – BENEFICI DELLE VITTIME DEL DOVERE – APPLICABILITA’ A CHI E’ STATO ESPOSTO ALL’AMIANTO – NON SUSSISTE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato in data 17 marzo 2017, B.G., Vigile del Fuoco in servizio presso il Comando VVF di Genova dal 1957 al 1991, premesso di essere stato esposto a fibre di amianto, avendo indossato tute e guanti in amianto durante gli addestramenti e le operazioni di soccorso nonchè durante i servizi di vigilanza antiincendio, ha convenuto in giudizio il Ministero dell’Interno formulando le seguenti conclusioni:

“Piaccia al Tribunale di Genova, in Funzione di Giudice Monocratico del Lavoro e della Previdenza e Assistenza, fissata l’udienza di discussione, previa disapplicazione del decreto n. 116/16/SE del 22 marzo 2016 del Ministero dell’Interno Dipartimento VVF Ufficio III Previdenza e ssistenza del personale, condannare l’Amministrazione dell’Interno al riconoscimento, quale vittima del dovere ex art. 1 comma 563 comma c), d) e/o e) e/o quale soggetto equiparato a vittima del dovere ex art. 1, comma 564, L. n. 266 del 2005, il sig. G.B., ai fini della concessione dei benefici assistenziali di legge;

dichiarare dunque l’obbligo ex lege all’inserimento del medesimo nell’elenco ex art. 3 comma 3 D.P.R. n. 243 del 2006 tenuto dal Ministero dell’Interno, ai fini della concessione dei benefici assistenziali ex D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, ex art. 1, comma 563 e 564, L. n. 266 del 2005, ex art. 1904 D.Lgs. n. 66 del 2010, conseguentemente condannare il Ministero dell’interno al riconoscimento:

dell’elargizione ex art. 5 commi 1 e 5 comma 1 L. n. 206 del 2004 da calcolarsi sulla percentual3e del 70% o sulla percentuale anche superiore determinanda tramite CTU;

10 speciale assegno vitalizio ex art. 5, commi 3 e 4, L. n. 206 del 2004 con decorrenza febbraio 2008;

la declaratoria del diritto all’assistenza psicologica ex art. 6 comma 2 L. n. 206 del 2004;

la declaratoria del diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria e farmaceutica;

11 beneficio di cui all’articolo 1 della L. 19 luglio 2000, n. 203 (diritto ai medicinali di fascia C gratuiti), benefici sanciti dall’art. 9 L. n. 206 del 2004;

l’assegno vitalizio ex art. 2 L. n. 407 del 1998 ed ex art. 4 comma 238 L. n. 350 del 2003 con la decorrenza febbraio 2008″.

Il Ministero dell’Interno si è costituito ritualmente in giudizio, rilevando l’infondatezza delle domande, di cui ha chiesto la reiezione, per le ragioni esposte in memoria.

La causa è stata discussa oralmente.

Nelle more del giudizio, il B. è deceduto e si sono costituite le eredi che hanno concluso: “Piaccia al Tribunale di Genova, in Funzione di Giudice Monocratico del Lavoro e della Previdenza e Assistenza, fissata l’udienza di discussione, previa disapplicazione del decreto n. 116/16/SE del 22 marzo 2016 del Ministero dell’Interno Dipartimento VVF Ufficio III Previdenza e ssistenza del personale, condannare l’Amministrazione dell’Interno al riconoscimento, quale vittima del dovere ex art. 1 comma 563 comma c), d) e/o e) e/o quale soggetto equiparato a vittima del dovere ex art. 1, comma 564, L. n. 266 del 2005, il sig. G.B., ai fini della concessione dei benefici assistenziali di legge;

dichiarare dunque l’obbligo ex lege all’inserimento del medesimo nell’elenco ex art. 3 comma 3 D.P.R. n. 243 del 2006 tenuto dal Ministero dell’Interno, ai fini della concessione dei benefici assistenziali ex D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, ex art. 1, comma 563 e 564, L. n. 266 del 2005, ex art. 1904 D.Lgs. n. 66 del 2010,

conseguentemente condannare il Ministero dell’interno al riconoscimento:

dell’elargizione ex art. 5 commi 1 e 5 comma 1 L. n. 206 del 2004 da calcolarsi sulla percentual3e del 70% o sulla percentuale anche superiore determinanda tramite CTU;

lo speciale assegno vitalizio ex art. 5, commi 3 e 4, L. n. 206 del 2004 con decorrenza febbraio 2008 e fino alla data del decesso 30 dicembre 2017;

l’assegno vitalizio ex art. 2 L. n. 407 del 1998 ed ex art. 4 comma 238 L. n. 350 del 2003 con la decorrenza febbraio 2008 e fino alla data del decesso 30 dicembre 2017″.

I fatti dedotti in giudizio sono pacifici.

Secondo il Ministero convenuto, al ricorrente non spetterebbero i benefici oggetto del giudizio, non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 1, commi 563 e 564, L. n. 266 del 2005.

La domanda non è fondata.

L’art. 1, comma 562, L. n. 266 del 2005, al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei successivi commi 563 e 564, ha autorizzato una spesa annua nel limite massimo di 10 milioni di € a decorrere dal 2006 (autorizzazione di spesa poi incrementata di 5 milioni di € dall’art. 20, comma 1, L. n. 183 del 2010).

I successivi commi 563 e 564 individuano la categoria delle vittime del dovere come “i soggetti di cui all’articolo 3 della L. 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:

a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;

b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;

c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;

d) in operazioni di soccorso;

e) in attività di tutela della pubblica incolumità;

f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.

Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

In ricorso si assume che il B. sarebbe stato esposto per molti anni ad amianto, presente nelle tute antiincendio, nelle coperte maneggiate per spegnere focolai, che avrebbe respirato fibre di amianto in occasione del crollo di capannoni e di edifici interessati da incendi e terremoti in Friuli, Irpina e Avellino. Le condizioni in cui si è trovato a lavorare avrebbero causato il tumore polmonare che ha, poi, determinato il decesso del sig. B..

Il Ministero ritiene non sussistenti i requisiti richiesti né dal comma 563 né dal comma 564, poiché il presupposto per il riconoscimento dello status di vittima del dovere sarebbe la dipendenza dell’evento da un rischio specifico, intimamente connesso alla peculiare pericolosità dell’attività concretamente svolta, superiore all’alea genericamente connaturata al servizio istituzionale.

Già dalla prospettazione attorea – secondo cui il B. sarebbe stato costantemente a contatto con fibre di amianto nell’esercizio ordinario delle sua mansioni – viene esclusa in radice la riconoscibilità della qualità di vittima del dovere ex art. 1, comma 563, che richiede che la patologia/invalidità sia conseguenza diretta di lesioni riportate in conseguenza di “eventi” specificatamente indicati.

Diversamente opinando, non vi sarebbe spazio alcuno per la causa di servizio e dovrebbe essere sempre riconosciuta la sussistenza dei requisiti per essere qualificato come vittima del dovere.

Non si rinvengono conclusioni di segno contrario – ma, anzi si trae supporto alle conclusioni qui esposte – nella SSUU 7 marzo 2017 n. 10792 depositata in udienza di repliche dal difensore, posto che, in tale pronuncia, la Corte precisa che il comma 563 “non prevede come necessario il ricorrere di un rischio specifico, diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali” ma richiede comunque il ricorrere di un “evento dannoso” ossia di un “sinistro”, costituito, nel caso di specie, da un colpo d’arma da fuoco esploso accidentalmente mentre un agente di Polizia penitenziaria era in sevizio presso un istituto carcerario.

Neppure può dirsi che la fattispecie rientri nel comma 564.

Come si legge, tra le altre, in Cass. 24 giugno 2015, n. 13114, “le ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto del militare di leva portano ad un rischio tipico, che comprende il rischio di incidenti nello svolgimento delle ordinarie attività di addestramento all’utilizzo delle armi.

Le provvidenze attinenti alle invalidità contratte per causa di servizio hanno propriamente la funzione di indennizzare tali accadimenti. Per il riconoscimento dei benefici previsti per i soggetti equiparati alle vittime del dovere è però necessario, in base alla normativa sopra richiamata, che i compiti rientranti nella normale attività d’istituto, svolti in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l’esistenza o per il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari, ulteriori rispetto al rischio tipico sopra indicato”.

La tesi del ricorrente, secondo cui sarebbe possibile qualificare come missione l’attività istituzionale dallo stesso svolta come Vigile del Fuoco e come particolari condizioni quelle in cui è stato costretto a lavorare, condizioni caratterizzate dall’uso di DPI in amianto, non può essere condivisa: diversamente opinando, verrebbe obliterato il riferimento della norma alle missioni nel cui ambito deve verificarsi il fatto generatore del danno e si attribuirebbe alla locuzione “particolari condizioni ambientali”, un significato diverso da quello che fa riferimento a circostanze o eventi straordinari, e che deve essere attribuito alla locuzione secondo la ratio della norma (cfr. Appello Genova, sent. 474/2016).

Il concetto di missione comporta un quid pluvi s rispetto all’ordinario svolgimento della prestazione lavorativa; di tal chè, non è possibile dilatare detto concetto fino a farlo coincidere con l’ordinario esercizio della prestazione di lavoro, posto che la missione implica comunque una prestazione che esula dalla normale ordinarietà dei compiti istituzionali che il lavoratore è tenuto a svolgere in forza delle mansioni affidategli.

Del resto, le stesse allegazioni del ricorso sono di segno contrario alla straordinarietà delle condizioni ambientali e operative in cui si è trovato a lavorare il B..

La Corte territoriale, in un precedente del 2012 (sent. n. 1174) ha puntualmente esposto che “se pure si ritenga, allargandosi la strutturazione testuale della disposizione, che la tutela in questione non sia finalizzata solo a coprire singoli e specifici eventi di tipo traumatico ma comprenda anche malattie di tipo professionale, nella specie, in cui le mansioni svolte sono quelle tipiche di istituto e pertanto autorizzate per definizione, deve escludersi la ricorrenza delle particolari condizioni ambientali operative, dal momento che lo svolgimento dei compiti allegati è… espressione del lavoro tipico del vigile del fuoco. In proposito, il testo della legge è tale da implicare, come detto nello stesso decreto presidenzaile4 che definisce la missione, l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e dei fatti si servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, né la circostanza straordinaria può individuarsi nell’uso da parte dei vigili del fuoco, all’epoca, di dotazioni in amianto e nel fatto che intervenissero in case, capannoni etc. con isolanti contenenti amianto, ciò avvenendo ordinariamente e cioè sulla base di quanto all’epoca era appunto in dotazione veniva utilizzato, la pericolosità del materiale ha esposto i vigili a maggiori rischi e fatiche ma ciò come fattore ordinario del lavoro e non come fattore straordinario. In proposito, è il caso di aggiungere che l’eventuale illegittimità delle condizioni di lavoro non vale a rendere straordinaria la circostanza ma rileva piuttosto su pano diversi (ad esempio risarcitorio)”.

Recente Cassazione a SU afferma che “perché si possa avere una vittima del dovere che abbia contratto una infermità in qualunque tipo di servizio non basta che ci sia la semplice dipendenza da causa di servizio, altrimenti tutti gli invalidi per servizio sarebbero anche vittime del dovere. Occorre che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di “particolari condizioni”, che è un concetto aggiuntivo e specifico. La nozione di “particolari condizioni ambientali o operative” che devono esistere per potersi giungere a questa figura particolarissima, è stata chiarita dal citato D.P.R. n. 243 del 2006 nel senso che per particolari condizioni ambientali od operative, si intendono: “/e condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. L’esistenza od anche il sopravvenire delle circostanze straordinarie significa che queste devono esistere ed essere conosciute fin da prima, oppure possono essere sopraggiunte improvvisamente, anche inaspettate. Parlando di circostanze straordinarie e fatti di servizio si è voluto contemplare ogni possibile accadimento, che però abbia comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto. Bisogna, dunque, identificare, caso per caso, nelle circostanze concrete alla base di quanto accaduto all’invalido per servizio che ambisca ad essere riconosciuto vittima del dovere, un elemento che comporti l’esistenza od il sopravvenire di un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalità di quel particolare compito” (Cass. SU, 20 giugno 2017, n. 21969).

Il ricorso deve, quindi, essere respinto.

La novità della questione e la presenza di un conseguente orientamento di merito non consolidato giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso;

compensa integralmente le spese di lite tra le parti.