TRIBUNALE DI MONZA, sezione penale, – Ordinanza 27 maggio 2021, n. 155
Reati e pene – Reati tributari – Reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate – Omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta. – Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), art. 7 [, comma 1], lettera b), in riferimento alle parole aggiunte nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74; decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), art. 10-bis, come modificato dall’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158.
Considerato che l’imputato è stato chiamato a rispondere del reato in epigrafe indicato, in prima battuta contestato in termini di omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti (per importo eccedente la soglia di punibilità contemplata dall’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000);
Rilevato che, all’udienza odierna, verificata la regolare costituzione delle parti, il pubblico ministero riteneva di integrare l’originaria imputazione, precisandola nel senso dell’omesso versamento di ritenute dovute in base alla dichiarazione annuale di sostituto di imposta (fermo l’importo complessivo di imposta evasa già indicato), che la difesa rinunciava ai termini di legge e – previ consenso alla acquisizione del fascicolo del pubblico ministero, produzione di documenti relativi alla rateizzazione in corso e espressa rinuncia alla richiesta di termine ex art. 13 comma 3 decreto legislativo n. 74/2000 – eccepiva l’illegittimità costituzionale della fattispecie delittuosa, nella variante ascritta all’imputato all’esito della modifica dell’addebito;
Evidenziato invero che, già anteriormente alla integrazione formalizzata dal pubblico ministero in udienza, il difensore di fiducia dell’imputato aveva depositato in atti memoria a sostegno della illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, nella versione risultante dalla interpolazione conseguente al decreto legislativo n. 158/2015, per lamentato eccesso di delega;
Preso atto che il pubblico ministero, quanto alla eccezione di illegittimità costituzionale tratteggiata dalla difesa, si è rimesso;
Ritenuto che la fisionomia tipica della norma incriminatrice – risultante dalle modifiche apportate dall’art. 7 lett. b) decreto legislativo n. 158/2015 nella parte relativa all’aggiunta del sintagma «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» (sintagma al quale, in seguito, si farà implicitamente riferimento ogniqualvolta verrà richiamato l’anzidetto art. 7 decreto legislativo n. 158/2015) – entro la quale, in conseguenza della specificazione del capo di imputazione ritualmente enucleata dal pubblico ministero, va in ipotesi d’accusa sussunta la condotta omissiva dell’imputato sia in contrasto con il chiaro tenore letterale, con lo spirito complessivo e con la ratio di fondo dell’art. 8 legge 11 marzo 2014, n. 23 (d’ora in avanti, per brevità, semplicemente «legge delega») e, dunque, con gli articoli 25, comma 2, e 76 (77 comma 1) della Costituzione, nella parte in cui ha ampliato il perimetro di tipicità della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 sebbene al legislatore delegato fosse unicamente consentita «la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità»;
Ritenuto, altresì, che la nuova formulazione dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, risultante dall’intervento additivo dell’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015, si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della uguaglianza-ragionevolezza;
Sottopone al Giudice delle Leggi questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 lett. b) decreto legislativo n. 158/2015, nella parte in cui modifica l’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 aggiungendovi nel testo, le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o», e, consequenzialmente, dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, nella versione risultante dalle modifiche conseguenti al predetto art. 7 decreto legislativo n. 158/2015, per violazione degli articoli 25, comma 2, e 76, 77, comma 1, Cost., nonché dell’art. 3 Cost.
Non manifesta infondatezza della questione
1. La questione di legittimità costituzionale sopra delineata si presenta non manifestamente infondata per una serie di considerazioni, che verranno partitamente esposte in relazione ai profili di illegittimità involgenti gli articoli 25, comma 2, 76 (e 77 comma 1) Cost., da un lato, e agli aspetti più strettamente correlati all’art. 3 Cost., dall’altro; conviene peraltro-onde puntualmente ambientare la questione di legittimità costituzionale che si andrà svolgendo – ripercorrere in via preliminare, brevemente, il quadro normativo di riferimento, nella sua evoluzione dal 2004 (anno di introduzione della norma incriminatrice di omesso versamento di ritenute certificate) ad oggi.
1.1. La fattispecie di «omesso versamento di ritenute certificate», eccentrica sul piano politico criminale al primigenio assetto del decreto legislativo n. 74/2000 (calibrato su fattispecie di evasione oggettivamente organizzate sulla presentazione di una dichiarazione annuale connotata da profili di fraudolenza, e soggettivamente orientate da dolo specifico di evasione, accanto a tre incriminazioni collaterali – artt. 8, 10 e 11 – svincolate dal momento dichiarativo ma colorate da evidente attitudine lesiva), è stata introdotta dall’art. 1, comma 414, legge 313/2004 con una formulazione – inalterata sino al decreto legislativo n. 158/2015 – che così recitava: «è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».
La tipicità della fattispecie che qui interessa, come detto, si è mantenuto invariato sino al 2015, quando è stato adottato il decreto legislativo n. 158/2015, attuativo della legge delega 23/2014 (intitolata “delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”). L’art. 8 legge 23/2014 (“revisione del sistema sanzionatorio”), segnatamente, ha delegato il Governo, in parte qua, a «procedere (…) alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo (…) la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità».
Sulla scorta dell’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015, a far tempo dal 22 ottobre 2015 (momento di entrata in vigore del decreto legislativo), il paradigma delittuoso dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, ora rubricato «omesso versamento di ritenute dovute o certificate», è così tipizzato: «è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta» (corsivi aggiunti).
Con il decreto legislativo n. 158/2015, che ha investito anche indirettamente la fattispecie attraverso la previsione di una inedita causa di non punibilità sopravvenuta (art. 13 decreto legislativo n. 74/2000), pertanto, la figura delittuosa è stata novellata su un duplice livello testuale: in primo luogo, si è ristretto il perimetro di penale rilevanza tramite l’innalzamento della soglia di punibilità; su altro versante, si è ampliato lo spettro della fattispecie mediante aggiunta del riferimento alla debenza delle ritenute sulla scorta della mera presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta (c.d. «modello 770»), donde l’arricchimento del presupposto dr tipicità dell’obbligo di versamento, penalmente presidiato, in capo al sostituto.
1.2. Così affrescato sul piano della normativa primaria lo scrutinio di legittimità della fattispecie incriminatrice, siccome rivisitata dal legislatore del 2015, palese, ad avviso di questo giudice, si mostra in primo luogo il vizio d’illegittimità costituzionale per eccesso di delega della norma (art. 7 lettera b) decreto legislativo n. 158/2015, nella porzione relativa al sintagma «dovute (…) o») adottata in sede delegata.
Conviene subito precisare come questo rimettente non ignori che il sindacato del Giudice delle Leggi in materia di eccesso di de lega in campo penalistico si muova entro una strettoia segnata da opposte esigenze: (i) da un lato, il principio – non flessibile – della riserva di legge in materia penale (art. 25 comma 2 Cost.), che si sostanzia nel tendenziale monopolio del Parlamento, quale rappresentante della volontà popolare nella dialettica tra maggioranza e minoranza, sulle scelte d’incriminazione (ex aliis, Corte costituzionale, n. 230/2012), salvi i casi di legittimo intervento del potere esecutivo (decreto legislativo e, sebbene più problematicamente, decreto-legge); (ii) dall’altro, l’essenza stessa della delega legislativa (artt. 76 e 77, comma 1, Cost.), il cui esercizio non può ridursi ad automatica trasposizione di norme già nella loro interezza fissate nella legge delega (pena lo svilimento della legislazione delegata a normazione di stampo sostanzialmente “regolamentare”) e, tuttavia, marcata dal limite invalicabile di legittimità costituzionale – specie in campo penale, per le ragioni anzidette – innervato dal rispetto costante dei principi e criteri direttivi fissati nella legge delega, onde scongiurare l’improprio svuotamento delle garanzie sottese alla riserva di legge.
Essenziale rilievo, dunque, acquista la fissazione nella delega di principi e criteri direttivi – necessariamente precisi ed analitici (pena l’illegittimità della stessa fonte del potere di legislazione conferito all’Esecutivo) – , pietra angolare del giudizio di legittimità costituzionale, su un piano contenutistico, della normazione delegata: laddove, infatti, non si manifestino violazioni sotto il profilo di validità temporale della delega, ovvero in ordine all’oggetto di quest’ultima, il sindacato di compatibilità costituzionale delle scelte trasfuse nella legislazione delegata va innestato inevitabilmente nella cornice tratteggiata dai criteri direttivi dettati dal Parlamento e che devono tassativamente orientare l’esercizio del potere legislativo delegato, pena la frizione con il superiore principio condensato nell’art. 25 comma 2 Cost.
1.2.1. Le coordinate teoriche appena abbozzate sono state peraltro «riempite» progressivamente dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha tracciato i binari entro i quali il giudice comune è chiamato a valutare la non manifesta infondatezza della eventuale questione di legittimità per «eccesso di delega» prospettata nella vicenda al suo vaglio.
Inevitabile la premessa: se il principio della riserva di legge «rimette al legislatore, nella figura ( … ) del ( … ) Parlamento la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare», l’art. 25 comma 2 Cost. è violato «qualora quella scelta sia invece effettuata dal Governo in assenza o fuori dai limiti di una valida delega legislativa. La verifica sull’esercizio da parte del Governo della funzione legislativa delegata diviene, allora, strumento di garanzia del rispetto del principio della riserva di legge in materia penale, sancito dall’art. 25, comma 2, Cost.» (Corte Cost., n. 5/2014): parole tanto significative in quanto pronunciate in relazione ad una ipotesi di abolitio criminis introdotta dal decreto legislativo al di fuori di esplicite previsioni facoltizzanti della legge delega dunque a fortiori predicabili di inveramento in un caso – come quello che a breve si passerà ad esaminare nel dettaglio – in cui il decreto legislativo finisca per ampliare una figura delittuosa già esistente, in assenza di copertura di sorta nei criteri direttivi della legge delega.
Peraltro, onde contemperare le esigenze già in precedenza accennate, costante è la giurisprudenza del Giudice delle leggi nel senso che il «contenuto della delega legislativa, e dei suoi principi e criteri direttivi, deve essere identificato accertando il complessivo contesto normativo e le finalità che la ispirano. Questa stessa giurisprudenza chiarisce che la delega non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, che può essere più meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge di delega. Per parte sua, l’attività del delegato deve inserirsi in modo coerente nel complessivo quadro normativa, rispettando la ratio della legge delega» (Corte Cost., n. 127/2017, corsivi aggiunti). Da qui, dunque, la necessità di coniugare il portato letterale della singola disposizione della legge delega, che appaia eventualmente suscettibile di plurimi significati, con il contesto globale in cui quella stessa disposizione si inserisce (quanto alla ratio della legge delega cfr., tra le altre, Corte costituzionale, n. 229/2014), onde imprimere univocità al dato testuale e apprezzare la coerenza di fondo tra legge delega e decreto legislativo; esigenza, di nuovo, particolarmente pressante al cospetto di scelte di politica criminale compiute dal Parlamento attraverso lo strumento della delega al Governo (in proposito, nuovamente, Corte costituzionale, n. 127/2017). In coerenza con tali postulati ermeneutici, quindi, si è rimarcato come «i vincoli derivanti dall’art. 76 Cost., per l’esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, non inibiscano a quest’ultimo l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo o un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal primo»; detto altrimenti, «la delega legislativa( … ) non esclude qualsiasi discrezionalità del legislatore delegato, destinata a risultare più o meno ampia in relazione al grado di specificità dei criteri fissati dalla legge di delega: sicché la valutazione dell’eccesso, o del difetto, nell’esercizio della delega, va compiuta in rapporto proprio alla ratio della delega medesima, onde stabilire se la norma delegata sia coerente ( … ) o compatibile con quella delegante» (Corte Cost., n. 98/2015, corsivi aggiunti; in termini analoghi, tra le tante, Corte Cost., n. 272/2012; Corte Cost., n. 119/2013), ovvero sia comunque specificazione degli «indirizzi generali» della fonte delegante (Corte Cost., n. 230/2010).
1.2.2. Al lume di siffatte direttrici esegetiche è ora possibile sperimentare la non manifesta infondatezza della questione relativa alla violazione dell’art. 76 (77 comma 1) Cost., in combinato disposto con l’art. 25 comma. 2 Cost.; e il giudizio, ad avviso di questo rimettente, restituisce nitidamente il frontale contrasto tra i principi e i criteri direttivi della legge delega e il prodotto del decreto delegato, quanto alla novellata calibrazione della omissione propria dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000.
Si è già osservato che, mentre anteriormente all’ottobre 2015 nella cornice delittuosa ricadevano esclusivamente omessi versamenti di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti (componendosi, dunque, la norma incriminatrice di un primo segmento commissivo – il rilascio delle certificazioni – , seguito dall’inerzia nel versamento), con la novella arrecata dal decreto legislativo n. 158/2015 acquista tipicità la pura omissione del versamento, purché risulti dalla dichiarazione la debenza delle somme a titolo di ritenute sulla scorta della dichiarazione modello 770, a prescindere dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti.
In tal modo – mette conto brevemente rilevare – è stato superato ope legis il contrasto giurisprudenziale insorto, nella vigenza della norma incriminatrice nella originaria formulazione, con riferimento alla valenza probatoria del c.d. «modello 770», vale a dire in ordine alla sufficienza probatoria della dichiarazione annuale del sostituto onde inferire l’esistenza anche del segmento di fattispecie costituito dal rilascio delle certificazioni: contrasto invero (che non è qui opportuno ripercorrere nei suoi risvolti argomentativi, neppure per sommi capi) che la giurisprudenza di legittimità appena·precedente al decreto legislativo n. 158/2015 era ormai avviata a risolvere consolidando l’orientamento secondo cui dalla mera presentazione del «modello 770» non sarebbe consentito desumere anche l’avvenuto rilascio delle certificazioni (tra le altre, Cassazione pen. sez. III, n. 40526/2014 Cassazione pen. sez. III, n. 10475/2015; successivamente al 2015, Cassazione pen. sez. III, n. 10104/2016; Cassazione pen. sez. III, n. 10509/2017).
L’orientamento più restrittivo ha trovato definitiva ed autorevole conferma da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte: per i fatti anteriori al 22 ottobre 2015 – hanno statuito le Sezioni Unite – a fini di prova del rilascio delle certificazioni non è bastevole la mera acquisizione al fascicolo dibattimentale del «modello 770» (nel cui riquadro «ST», infatti, non è dato rinvenire alcuna specifica indicazione in ordine alle certificazioni, veicolando esso solo l’avvenuto pagamento e le ritenute operate dal sostituto), occorrendo piuttosto la prova di tale elemento di fattispecie – elemento costitutivo del reato, ovvero presupposto del reato secondo una parte minoritaria della giurisprudenza – attraverso l’acquisizione di documenti oppure mediante la prova orale dei sostituiti (Cass. pen. Sez. Un. , n. 24782/2018). L’arresto delle Sezioni Unite, ai fini che qui soprattutto rilevano, si mostra decisamente significativo sotto un duplice – complementare – profilo. Per un verso, infatti le Sezioni Unite hanno in termini del tutto condivisibili ribadito, cristallizzandolo nel «diritto vivente», che il legislatore del 2004, nell’inserire l’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 nel microsettore penale-tributario, ha espressamente condizionato la tipicità dell’omissione al rilascio delle certificazioni ai sostituiti, per l’altro hanno rinvenuto nella novella del 2015 un coerente vettore di rafforzamento della interpretazione infine accolta: in effetti, si è sottolineato, anche richiamando i lavori preparatori al decreto legislativo n. 158/2015 (in particolare la relazione illustrativa), che la scelta del legislatore delegato si comprende nella esigenza di «chiarimento» conseguente al dibattito e alle ondivaghe posizioni assunte dalla giurisprudenza quanto alla valenza probatoria del «modello 770». Stando così le cose, la modifica scaturita dall’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015 sul segmento oggettivo della fattispecie, lungi dal risolversi in mera «interpretazione autentica», ha riverberato un ampliamento dell’oggetto materiale dell’omissione, che, «dapprima limitata a quelle sole ritenute che risultavano dalla certificazione, è oggi estesa alle ritenute emergenti dalla dichiarazione modello 770» (così Cassazione pen. Sez. Un. , n. 24782/2018, cit.). D’altra parte, hanno soggiunto le Sezioni Unite, lo stesso legislatore delegato, nella citata relazione illustrativa, ha connotato in chiave di «estensione del comportamento omissivo non più alle sole ritenute “certificate” ma anche a quelle “dovute” sulla base della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta» (corsivi aggiunti) la modifica sull’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, puntualizzazione che evidentemente esclude in radice la possibilità di ridurre a semplice attività di interpretazione autentica l’intervento dell’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015.
Solo al lume della interpretazione offerta all’assetto normativo previgente all’ampliamento della fattispecie, peraltro, le Sezioni Unite, in un prezioso obiter dictum conclusivo, hanno escluso che nel caso sottoposto al loro scrutinio – riguardante un’omissione consumata nell’anno 2011 potesse concretizzarsi un vulnus di legittimità costituzionale.
Ad identiche conclusioni non può invece pervenirsi in relazione ai fatti, come quello giudicato dal rimettente, successivi all’ottobre 2015, per i quali il contenuto della dichiarazione modello 770 – laddove indichi l’esistenza di ritenute operate dal sostituto è bastevole a determinare la tipicità delittuosa (allorquando, naturalmente, a tale dichiarazione segua l’omesso versamento).
Come in precedenza rilevato, nel delegare l’Esecutivo alla «revisione» del sistema penale tributario, l’art. 8 legge 23/2014 ha limitato lo spazio d’azione del legislatore delegato vincolandolo alla mera «possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità».
Alcun dubbio, anzitutto, incrina l’obiettiva iscrizione dell’omesso versamento di ritenute alla categoria delle fattispecie «meno gravi» tra quelle che compongono il settore penale tributario: limitandosi alle figure delittuose del decreto legislativo n. 74/2000, in effetti, in uno al contiguo art. 10-ter e alla variante di indebita compensazione mediante crediti non spettanti (art. 10-quater comma 1, a seguito dello sdoppiamento della fattispecie proprio per il tramite del decreto legislativo n. 158/2015), la previsione dell’art. 10-bis si caratterizza per la cornice edittale più mite nel quadro del decreto legislativo n. 74/2000; giudizio di minore gravità confermato anche allargando lo sguardo visuale ad istituti di contorno al paradigma tipico, segnatamente in ragione del mancato richiamo di tal une delle pene accessorie enumerate dall’art. 12 decreto legislativo n. 74/2000 (nel dettaglio: l’interdizione dai pubblici uffici), dell’assenza di limiti al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena (art. 12, comma 2-bis, decreto legislativo n. 74/2000), e, soprattutto, dell’applicazione della più favorevole causa di non punibilità introdotta proprio dal legislatore delegato del 2015 all’art. 13 decreto legislativo n. 74/2000: rinuncia alla pena di stampo prettamente oggettivo e costruita, per il reato in esame, unicamente sulla estinzione del debito tributario entro il termine di apertura del dibattimento (diversamente da quanto avviene per le fattispecie dichiarative elencate al comma 2 dell’art. 13, per le quali è richiesta anche la «resipiscenza» del contribuente, comprovata dal pagamento del dovuto prima della formale conoscenza del procedimento amministrativo o penale). A «cartina di tornasole» della marginale gravità della fattispecie di omesso versamento di ritenute, poi, assurge la stessa scelta del legislatore delegato del 2015, il quale -·come si è avuto modo di osservare-ha inteso, con lo stesso art. 7 lett. b) decreto legislativo n. 158/2015, innalzare sensibilmente la soglia di punibilità del reato, ora radicata in euro 150.000, così azionando una precisa leva abolitiva: e ciò appunto, in ossequio al criterio direttivo fissato dall’art. 8 della legge delega, nella parte in cui autorizzava l’Esecutivo a ridurre le sanzioni per le figure delittuose meno gravi anche rimodulando adeguatamente le relative soglie di punibilità. In via complementare, la refluenza della fattispecie di omesso versamento di ritenute entro il novero dei tipi «meno gravi» è desumibile a contrario, soffermandosi sugli altri criteri direttivi che, nell’ambito dell’art. 8 della legge delega, interessano le nonne incriminatrici penali tributarie, e che sono delineati partitamente (a) per le figure connotate da fraudolenza, da comportamenti simulatori o finalizzati alla creazione o all’utilizzo di falsa documentazione, (b) nel senso dell’individuazione di un più preciso discrimen tra condotte di effettiva evasione e di mera elusione d’imposta, nonché (c) sul regime della dichiarazione infedele: categorie, evidentemente, in alcun modo riferibili alle omissioni che qui interessano (vuoi per il difetto di fraudolenza che le connota, vuoi perché non interessate da interrelazioni con il tema dell’elusione fiscale, vuoi perché già nominalmente distinte dalla dichiarazione infedele, tipizzata all’art. 4 decreto legislativo n. 74/2000), sicuramente ricadenti insomma – anche sotto questo profilo – entro il residuale criterio direttivo tratteggiato, appunto, per le figure «meno gravi».
Sennonché, ad onta di tali criteri direttivi, il legislatore delegato – arrogandosi scelte politico-criminali spettanti al Parlamento e frontalmente contrastanti con i criteri della legge delega – ha altresì espresso un deciso ampliamento all’area di penale rilevanza alla stregua dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, che intercetta ora l’omissione nel versamento di qualsivoglia ritenuta purché «attestata» nel «modello 770»: circostanza che rende costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 76 (77 comma 1) Cost. la modifica in senso estensivo del precetto. Infatti, per il tramite dell’ampia direttrice del richiamato art. 8 legge 23/2014, nella parte concernente gli omessi versamenti, il legislatore delegato avrebbe potuto spaziare – mantenendosi nella gamma di opzioni consentite dalla fonte delegante – dalla soppressione degli articoli 10-bis e 10-ter (con eventuale rilevanza sul piano amministrativo delle omissioni ivi previste) alla parziale abolizione delle figure emissive attraverso l’innalzamento della soglia di punibilità, dal mantenimento dei previdenti paradigmi emissivi (la legge delega parla invero di «possibilità») sino a un più circoscritto intervento sul solo versante sanzionatorio, con riduzione delle entità edittali di fattispecie.
Trattasi di delega particolarmente vasta, già di per sé – con ogni probabilità – non conforme al dettato costituzionale nella misura in cui si risolve nella remissione di scelte di politica criminale all’Esecutivo sganciate da qualunque indicazione minimamente vincolante e, in definitiva, pressochè «in bianco»; ma – in ogni caso, non essendovi «elementi testuali suscettibili di divergenti letture» (Corte Cost., n. 127/2017, cit.) – senz’altro netta nella preclusione per il legislatore delegato all’attrazione nel perimetro di tipicità della fattispecie, estendendo la penalità, di condotte penalmente irrilevanti all’epoca in cui la legge delega è stata promulgata. Per contro, è proprio quest’ultimo l’effetto conseguente alla legislazione delegata, e segnatamente all’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015: l’inedita tipizzazione ad opera dell’Esecutivo, nel quadro dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, di comportamenti in precedenza atipici, in difetto di base normativa nella legge delega.
Balza, quindi, immediatamente all’occhio il vizio della disposizione censurata, da scrutinare invero con il maggior rigore imposto in tutte le situazioni in cui «si discuta della predisposizione, da parte del legislatore delegato, di un meccanismo di tipo sanzionatorio privo di espressa indicazione nell’ambito della delega, [nelle quali, n.d.r.] lo scrutinio di «conformità» tra le discipline appare particolarmente delicato» (Corte Cost., n. 98/2015, cit.).
Né si potrebbe opinare nel senso che la nuova formulazione dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 sia rispettosa del contenuto della legge delega poiché la fattispecie, come già rilevato, è stata anche amputata, con l’innalzamento della soglia, di una congerie di condotte che in precedenza ricadevano invece nel cono di tipicità dell’omissione propria (quali, segnatamente, gli omessi versamenti di importo compreso tra 50.001 e 150.000 euro).
Ciò in quanto – ed è l’aspetto che essenzialmente rileva nel procedimento incardinato presso il giudice rimettente – all’indomani del decreto legislativo n. 158/2015 si registra pur sempre l’ingresso, nella sfera di penale rilevanza sagomata dalla norma incriminatrice, di comportamenti che in precedenza esulavano senz’altro dalla tipicità penale, quali gli omessi versamenti di ritenute risultanti esclusivamente dalla dichiarazione annuale del sostituto d’imposta per importi eccedenti euro 150.000 (addebito, appunto, contestato all’odierno imputato nel procedimento a quo): in altre parole, un effetto ampliativo della figura delittuosa – scevro di copertura nella legge delega e, pertanto, costituzionalmente illegittimo – è stato comunque veicolato dal decreto legislativo, in aperta violazione degli artt. 25, comma 2, e 76 (77 comma 1) Cost.
1.3. La norma censurata risulta peraltro illegittima anche al metro di altro parametro costituzionale, segnatamente della uguaglianza-ragionevolezza.
1.3.1. Stanno in principio, nuovamente, i principi da tempo ritagliati -anche in prospettiva evolutiva – dalla Corte costituzionale in ordine ai postulati teorici del sindacato di ragionevolezza in materia penale, tradizionalmente impostato secondo un giudizio «triadico» ma segnato da più recenti aperture verso un sindacato di ragionevolezza intrinseca della disposizione censurata: principi su cui giova solo fugacemente soffermarsi, in quanto ormai costituenti vero e proprio diritto costituzionale vivente».
Muovendo dal giudizio «triadico», necessaria è, in estrema sintesi, l’individuazione di un tertium comparationis, vale a dire di una norma che, raffrontata con quella sospettata di illegittimità costituzionale, lasci trasparire una illegittima disparità di trattamento tra situazioni analoghe, ovvero una indebita equiparazione legislativa di situazioni affatto distinte tra loro; laddove, per riprendere i rilievi di autorevole dottrina, la pertinenza del termine di raffronto isolato dal giudice a quo dipende da considerazioni che – nel caleidoscopio dei diversi casi – attraversano inter alia l’interesse protetto, la condotta tipica, l’elemento soggettivo, l’oggetto materiale o l’ambito applicativo, dunque la tipologia e il grado dell’offesa (oggettiva e soggettiva) ma anche elementi ulteriori secondo un raffronto teso a significare in modo stringente e palese l’incongruenza dell’asimmetria disciplinare.
Allo scrutinio cadenzato dalla «comparazione» tra discipline normative astrattamente accostabili e utilmente raffrontabili, in ogni caso, negli ultimi anni si è affiancato un sindacato assai più incisivo del Giudice delle Leggi, funzionale alla verifica di offensivitaproporzionalità della risposta repressiva rispetto all’effettivo disvalore condensato nella norma incriminatrice censurata (tra le più significative, Corte costituzionale, n. 236/2016; Corte Cost., n. 222/2018; Corte costituzionale, n. 40/2019): con precipuo riferimento alla scrutinio sulla proporzionalità della risposta sanzionatoria, tra l’altro, si è affermato che il sindacato costituzionale sulla dosimetria sanzionatoria non trova ostacoli «quando le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l’individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili incongruenze» (Corte Cost. n. 40/2019, cit.). Non è quindi indispensabile che esista, a livello sistematico, «un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparationis, essendo bastevole che il sistema nel suo complesso offra alla Corte «precisi punti di riferimento» e soluzioni «già esistenti» (ibidem).
1.3.2. Ora, questo giudice ritiene che la fattispecie dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, siccome modificata dall’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015, si ponga in frizione con l’art. 3 Cost. tanto se si intenda procedere a un giudizio «triadico» quanto se si concentri l’analisi all’interno della norma incriminatrice sospettata d’incostituzionalità.
(a) Volendo prendere le mosse dai sentieri tradizionali della giurisprudenza del Giudice delle Leggi, viene in rilievo, ad ambientare l’indagine sulla (ir)ragionevolezza del novellato art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, l’assenza nel sistema penale tributario di una figura delittuosa che tipizzi la presentazione di dichiarazioni fraudolente del sostituto di imposta.
Si è osservato che, all’indomani dell’ampliamento dell’orbita di tipicità dell’omesso versamento delle ritenute, acquista penale rilevanza alla stregua dell’art. 10-bis l’omissione liquidatoria che s’appunti su ritenute unicamente risultanti dalla dichiarazione del sostituto di imposta; così facendo, tuttavia, il legislatore delegato ha finito per innalzare lo standard della tutela per il bene giuridico di categoria, riservando il massimo livello garantito dal presidio penale, a una condotta (l’omesso versamento) che, pur rinvenendo nella dichiarazione il proprio presupposto operativo, appare circoscritta alla fase finale, prettamente liquidatoria, del tributo e che, nel contesto complessivo del sistema penale tributario, si colloca allivello inferiore di disvalore astratto, come per tabulas dimostrato dalla mitezza delle sanzioni edittali delle figure omissivo-liquidatorie nel raffronto con i più gravi illeciti dichiarativi: illeciti dichiarativi – qui il punto – tra i quali non è dato rinvenire (se non nel contesto dell’art. 5 decreto legislativo n. 74/2000, che in forza del decreto legislativo n. 158/2015 contempla ora anche l’omessa dichiarazione del sostituto di imposta, con variante delittuosa a sua volta gravemente indiziata di illegittimità costituzionale per eccesso di delega) alcuna previsione delittuosa in materia di dichiarazioni, fraudolente o infedeli, del sostituto di imposta. Stando così le cose, allora, il sistema penale tributario, del tutto irragionevolmente, in materia di dichiarazioni del sostituto di imposta, a parità di imposta evasa, conferisce rilievo penale a condotte caratterizzate – secondo le dosimetrie edittali rinvenibili nello stesso decreto legislativo n. 74/2000 – da un disvalore inferiore rispetto a quello di condotte -la presentazione di dichiarazioni connotate da profili di falsità o infedeltà – che, per quanto con ogni evidenza assai più gravi in punto di disvalore, per il sostituto di imposta risultano penalmente irrilevanti. Infatti, in difetto del rilascio delle certificazioni – dunque in presenza dei presupposti di operatività della alternativa delittuosa di nuovo conio dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 – viene punito il contribuente che presenti un «modello 770» veritiero e ometta di versare le ritenute per un importo superiore a euro 150.000, mentre andrà esente da pena il sostituto di imposta che, rendendosi ugualmente inadempiente a un debito tributario di pari entità, abbia presentato una dichiarazione falsa, indicando un debito inferiore alla soglia di punibilità.
Ne deriva, sotto questo riguardo, la manifesta irragionevolezza – in parte qua dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, e, quindi, il contrasto con l’art. 3 Cost., avendo il legislatore regolato in termini deteriori (con il ricorso al presidio penale) condotte meno gravi di quelle (ricadenti sempre sulle ritenute del sostituto di imposta) caratterizzate da più intenso disvalore e tuttavia sfornite di tutela penale. Solo incidentalmente merita rilevare che alle stesse conclusioni non può giungersi in ordine all’alternativa variante delittuosa dell’omesso versamento di ritenute certificate, sin dalla legge 311/2004 contemplato dallo schema tipico, in cui il disvalore, prescindendo totalmente dal «modello 770» (dalle sue risultanze e dalla sua genuinità), viene agganciato saldamente a un presupposto (il rilascio delle certificazioni, appunto) da cui discendono ben precise conseguenze in punto di solidarietà passiva di imposta (a seguito del rilascio delle certificazioni, infatti, il sostituito fuoriesce definitivamente dal rapporto obbligatorio con il Fisco) che rendono pienamente ragionevole e giustificato il ricorso alla sanzione penale in caso di successivo omesso versamento del sostituto.
Unica strada costituzionalmente percorribile, non potendo evidentemente il Giudice delle Leggi arricchire il catalogo delle ipotesi delittuose penali tributarie, è rappresentata in definitiva dall’espunzione dall’ordinamento penale della fattispecie di omesso versamento di ritenute dovute semplicemente sulla base della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta.
(b) L’assetto dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 scaturente dalle modifiche in senso ampliativo della penalità apportate dall’art. 7 lett. b) decreto legislativo n. 158/2015 sconta, peraltro, anche una insanabile irragionevolezza intrinseca.
Si è a più riprese evidenziato che il (nuovo) presupposto dell’omissione propria, alternativo al rilascio delle certificazioni: attestanti le ritenute, gravita non già sull’effettuazione delle ritenute, bensì sulla mera indicazione delle ritenute nel «modello 770»: si affida dunque, interamente, alla dichiarazione del sostituto uno dei due alternativi criteri del calcolo dell’imposta evasa e, in conseguenza, di verifica del superamento della soglia di punibilità.
Tuttavia, un simile disegno normativo, già irragionevole (per le ragioni anzidette) quando sia mancato il rilascio delle certificazioni, assume contorni paradossalmente antinomici qualora le ritenute siano state anche certificate. Infatti, l’assenza di incriminazioni a presidio della veridicità delle dichiarazioni del sostituto si traduce in un improprio «incentivo» per il soggetto attivo a presentare un «modello 770» mendace in punto di quantum effettivamente dovuto, con indicazione di importi inferiori alla soglia di punibilità; a quel punto, il pubblico ministero sarà comunque onerato di dimostrare, oltre alla falsità del «modello 770» – non più proficuamente impiegabile quale presupposto dell’omissione – , anche l’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti esattamente come avveniva prima del decreto legislativo n. 158/2015, cioè nell’assetto normativo per risolvere le cui difficoltà probatorie il legislatore delegato del 2015 si è proposto, come visto, di modificare la fattispecie incriminatrice.
Ne deriva anche sotto tale aspetto, intrinseco alla novellata figura delittuosa, una insanabile irrazionalità di fondo, foriera di effetti complessivamente iniqui e financo contraddittori rispetto al rationale politico-criminale che ne ha orientato la modifica con l’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015.
Rilevanza della questione nel giudizio di merito
2. Oltre a non apparire manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale così prospettata risulta anche indubbiamente rilevante nella decisione del giudizio di merito, demandato alla cognizione di questo Tribunale.
Il procedimento ·incardinato innanzi al rimettente vede infatti imputato un soggetto per omesso versamento di ritenute «dovute sulla base della dichiarazione» (a maggior ragione dopo l’integrazione dell’addebito disposta dal pubblico ministero in udienza), in relazione a un fatto successivo al 22 ottobre 2015 (momento consumativo radicato in imputazione al 15 settembre 2016), dunque nel vigore della nuova versione letterale dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, con imposta evasa ampiamente eccedente la soglia di punibilità della fattispecie incriminatrice e che conserva, dunque, penale rilevanza a dispetto dell’incremento del relativo importo in conseguenza dell’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015.
Del resto, dal fascicolo del pubblico ministero già acquisito a fini di utilizzabilità con il consenso della difesa -in particolare dalla lettura della dichiarazione modello 770 presentata dallo J. quale legale rappresentante della società di capitali di cui all’imputazione – si evince effettivamente la sussistenza del (nuovo) presupposto di tipicità dell’omissione (a sua volta ulteriormente comprovata dalla documentazione prodotta dalla difesa, nel dettaglio dal piano di rateizzazione concordato con l’Amministrazione finanziaria comprendente anche le ritenute che nella presente sede interessano), che appare integrata anche sul versante del coefficiente psicologico, non ricorrendo, segnatamente, elementi da cui inferire l’eventuale predicabilità, nella vicenda in esame, di una «crisi di liquidità» che – al lume dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità – possa acquistare efficacia scusante rispetto alla realizzazione della condotta tipica (escludendo il sostrato volontaristico del dolo generico di fattispecie).
Pertanto, alla luce del diritto attualmente vigente, e in particolare della formulazione della norma incriminatrice predicata di illegittimità costituzionale, il processo con ogni probabilità si concluderebbe con una affermazione di penale responsabilità dell’imputato, essendo pienamente dimostrata la totalità degli elementi costitutivi dell’omesso versamento di ritenute, siccome novellato dall’art. 7 decreto legislativo n. 158/2015, a lui addebitato. D’altra parte, in nulla varrebbero a rimeditare la rilevanza della questione nel presente giudizio vuoi il disposto dell’art. 13 comma 3 decreto legislativo n. 74/2000 – avendo la difesa espressamente rinunciato a chiederne la concessione e venendo in ogni caso in rilievo un piano di rateizzazione la cui conclusione, prevista per l’anno 2026, sarebbe incompatibile con i termini del predetto art. 13 comma 3 decreto legislativo n. 74/2000 – vuoi la possibilità, ancora attuale, per la difesa di accedere eventualmente a riti alternativi, trattandosi invero di evenienze processuali (ivi compresa la «messa alla prova») che scontano, quantomeno, una preliminare valutazione di insussistenza dei presupposti per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 codice di procedura penale (tra i quali, primariamente, l’aderenza del fatto contestato al tipo delittuoso individuato dal pubblico ministero), impossibile da formulare alla luce della tipicità delittuosa dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 allo stato vigente.
Il rischio, dunque, è che l’imputato sia condannato ovvero in ogni caso subisca un processo ed eventuali «effetti penali», in base a una norma incriminatrice affetta dai plurimi profili di illegittimità costituzionale sopra delineati.
I precetti costituzionali violati.
3. Le considerazioni sin qui svolte consentono, ad avviso del rimettente, di affermare conclusivamente che l’art. 7 lettera b) decreto legislativo n. 158/2015 – nella parte in cui amplia la portata incriminatrice dell’art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, estendendone la tipicità all’omesso versamento di ritenute risultanti sulla base della sora dichiarazione annuale presentata dal sostituto di imposta – si pone irrimediabilmente in contrasto con gli articoli 76 (e 77 comma 1) Cost., in relazione all’art. 25 comma 2 Cost., e con l’art. 3 Cost.
L’invocata pronuncia della Corte costituzionale – perfettamente coerente con i poteri del Giudice delle Leggi nel quadro dei principi costituzionali, risolvendosi in intervento in bonam partem, di espunzione dal sistema di un frammento di una norma incriminatrice parzialmente illegittima – si declina quale unico rimedio per rimediare ai vizi di illegittimità dianzi esposti, con ciò ripristinando la legalità costituzionale.
P.Q.M.
In composizione monocratica; Visto l’art. 23, legge 87/1953;
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, sottopone all’ecc.ma Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 lett. b) decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, in riferimento all’aggiunta delle parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell’art. 10-bis decreto legislativo 74/2000, e conseguentemente dell’art. 10-bis decreto legislativo 74/2000, siccome dal primo modificato, per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 76 e 77, comma 1, Cost., e con l’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la penale rilevanza di omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d’imposta;
Sospende il giudizio in corso e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Visto l’art. 159, comma 1, n. 2) c.p.;
Sospende il corso della prescrizione;
Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consigli dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle camere del Parlamento;
Dell’ordinanza è data lettura alle parti in udienza.
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