TRIBUNALE DI PARMA – Sentenza 18 febbraio 2019, n. 383
Licenziamento per giusta causa – Contratto a tempo determinato instaurato prima del 7 marzo 2015 – Conversione, in sede giudiziale, in rapporto a tempo indeterminato – Applicabilità della tutela ex art. 18, L. n. 300/1970
Con ricorso ex art. 1, comma 48, l. 92/2012 depositato in data 12.02.2018 e ritualmente notificato assieme al pedissequo decreto di fissazione di udienza, C. B. impugnava il licenziamento intimatogli per giusta causa dalla M. T. s.r.l. (d’ora innanzi anche M.) in data 04.09.2017.
Nel ricorso introduttivo del giudizio, parte ricorrente esponeva le seguenti circostanze di fatto:
– di aver iniziato a prestare la propria attività lavorativa di autista a favore di M. T. s.r.l. a far data dallo 09.04.2014, pur non avendo sottoscritto alcun contratto di lavoro;
– che lo svolgimento di tale attività veniva formalmente inquadrato dal datore di lavoro come rapporto di lavoro a tempo determinato dallo 09.04.2014 allo 09.10.2014, prorogato fino al 31.05.2015 ed infine trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dallo 01.06.2015, con mansioni rientranti nel terzo livello super CCNL Trasporto Merci;
– di avere, come prassi, comunicato nell’aprile del 2017 al responsabile M. di Parma, tale sig. F., che si sarebbe assentato per ferie dal 31.07.2017 al 20.08.2017 e che, pur non avendo ricevuto alcun diniego dalla società datrice di lavoro, provvedeva a confermare il periodo di assenza per ferie con fax inoltrato alla M. in data 29.07.2017;
– di essersi ripresentato in servizio, dopo aver terminato il periodo feriale, alle ore 08:00 del 21.08.2017 e che il sig. Raffaele, altro responsabile M., gli comunicava di tornare alle ore 14:00 e che, una volta tornato all’orario indicato, lo stesso gli sottoponeva una richiesta di ferie per il periodo intercorrente dal 31.07.2017 al 15.08.2017 chiedendogli di sottoscriverla;
– di essersi rifiutato di sottoscrivere tale richiesta in quanto ivi veniva indicato un periodo inferiore rispetto a quello richiesto e che, come conseguenza di tale rifiuto, non veniva ammesso al lavoro;
– che, mediante l’invio delle lettere datate 21.08.2017 e 11.09.2017, aveva offerto invano la propria prestazione lavorativa alla M., richiedendo altresì il rilascio dei prospetti paga dei mesi di luglio e agosto 2017, nonché il pagamento delle relative retribuzioni;
– che l’unico riscontro ricevuto dalla società datrice di lavoro era una pec del 15.09.2017 con cui quest’ultima lo informava che il cedolino paga della mensilità di agosto 2017 era in fase di elaborazione;
– che, in considerazione della mancata chiamata in servizio e del mancato pagamento degli stipendi, provvedeva in data 19.09.2017 a rassegnare dimissioni per giusta causa, che poi tempestivamente revocava in data 26.09.2017 dopo aver appreso tramite la consultazione del certificato C/2 storico rilasciatogli dal Centro per l’Impiego di Parma che risultava essere già stato licenziato dalla M. in data 04.09.2017;
– di aver provveduto ad impugnare il licenziamento con missiva datata 26.09.2017 offrendo formalmente la propria prestazione lavorativa alla M. e di aver altresì inoltrato una richiesta di intervento all’Ispettorato territoriale del lavoro di Parma nonché istanza ex art. 410 c.p.c. in data 25.11.2017 che rimaneva senza riscontro alcuno.
C. B. adiva pertanto l’intestato Tribunale, sezione lavoro, al fine di chiedere, per i motivi illustrati nel ricorso, l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Voglia il Tribunale Ill.mo; contrariis reiectis; previa ogni declaratoria ed ogni provvedimento, anche incidentale, del caso e di legge, nei sensi di cui alla parte motiva del ricorso; dato atto delle riserve tutte di cui in premesse; previa ogni opportuna attività istruttoria, anche officiosa (e seguendo, ex art. 421 c.p.c., ogni “pista probatoria” offerta o che possa presentarsi);
previo il mutamento del rito (o la separazione delle liti) che occorresse; previa declaratoria della esistenza inter partes, dal 9.4.2014, di un rapporto di lavoro definitivamente costituito, a tempo indeterminato, di tipo ordinario, per la mancata sottoscrizione (o comunque per la inoperatività o per la nullità) del contratto di lavoro che dovesse essere versato in atti anteriormente o quanto meno contestualmente all’inizio della prestazione lavorativa o per ogni altra ragione meglio vista; A) dichiarare nullo per le ragioni esposte o per ogni altra meglio vista o comunque (se del caso entrando nel merito), inesistente, inefficace, invalido ed ingiustificato il licenziamento fatto figurare dalla M. come intimato il 4.9.2017 al sig. C. B.; B) conseguentemente: 1) in via principale: ai sensi e per gli effetti tutti di cui all’art. 18, commi 1 e 2 novellato (e, in ogni caso, dall’art. 2 del d.lgs. n. 23/2015), condannare M. T. s.r.l. a reintegrare in servizio il sig. C. B. e a risarcirgli i danni patiti e patiendi con una indennità pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto abbia percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (in ogni caso con il minimo di 5 mensilità di retribuzione globale), nonché a versare i contributi previdenziali ed assistenziali (ferma la facoltà del sig. B. di esercitare l’opzione di cui all’art. 18 co. 3 S.L. o in altra ipotesi all’art. 2, 3° comma d.lgs. n. 23/2015). Il tutto per le somme che saranno determinate all’esito di apposita CTU tecnicocontabile;
2) in subordine: dichiarata la detta nullità o comunque inefficacia o invalidità del licenziamento, condannare M. T. s.r.l. ex art. 2058 c.c. a riammettere in servizio il sig. B. ed a risarcirgli i danni patiti e patiendi in misura pari alla retribuzione medio tempore percipienda se avesse lavorato a tempo pieno secondo le modalità consuete, per le somme che risulteranno all’esito di apposita CTU; con obbligo di versamento dei dovuti contributi previdenziali ed assicurativi; 3) in estremo subordine: condannare M. T. s.r.l. a pagare al sig. B. una indennità compresa fra le 4 (o quanto meno le 2) e le 12 (o quanto meno le 6) mensilità dell’ultima retribuzione utile, oltre che l’indennità sostitutiva del preavviso e del maggiore TFR dovuto, per le somme che risulteranno all’esito di apposita CTU. C) Maggiorando tutte le somme dovute al ricorrente e (determinate escludendo ogni rivalsa della quota di contributi a suo carico), anche in forza delle . espressamente richieste . statuizioni di portata diversa o minore rispetto a quelle prospettate che nella fattispecie dovessero essere adottate, di rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dì del dovuto al saldo effettivo. D) In accoglimento della proposta istanza ex art. 614-bis c.p.c., e previo l’incidente di costituzionalità del caso, fissare la somma di denaro dovuta dalla M. T. s.r.l. per la eventuale violazione dell’ordinanza di reintegrazione o riammissione in servizio. Con vittoria delle spese del procedimento, oltre rimborso forfettario, c.p.a. ed iva”.
Provvedeva a costituirsi in giudizio M. T. s.r.l. chiedendo, per le ragioni esposte nella memoria difensiva, il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto, con vittoria delle spese di lite.
In particolare, la società resistente allegava che il contratto a termine con cui il ricorrente era stato assunto in data 09.04.2014 era stato debitamente sottoscritto da entrambe le parti, così come sia la successiva proroga dello 09.10.2014 che la trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato in data 01.06.2015, e che sia la lettera di contestazione disciplinare per l’assenza arbitraria dal posto di lavoro a far data dal 14.08.2017 spedita con racc. a/r in data 21.08.2017 all’indirizzo dichiarato in azienda dal lavoratore, a Parma, via L. M., sia la contestazione dell’arbitrario ed ingiustificato abbandono del posto di lavoro spedita il giorno successivo al medesimo indirizzo non erano state recapitate al ricorrente per irreperibilità del medesimo.
La causa, istruita tramite prove documentali e per testi, veniva discussa all’udienza del 10.01.2018, ove le parti si riportavano agli atti ed alle conclusioni formulate nei rispettivi atti introduttivi.
Tanto premesso in relazione allo svolgimento del processo, nel merito il ricorso è fondato per i motivi che seguono.
È dato incontestato come le lettere di contestazione disciplinare del 21.08.2017 e del 22.08.2017 non siano mai pervenute al ricorrente per irreperibilità del medesimo all’indirizzo a cui sono state spedite, a Parma, via M. n. 1. Parte resistente ha dedotto di aver inviato tali missive all’indirizzo comunicatole dal ricorrente al momento dell’assunzione, in quanto non le era stata comunicata negli anni successivi dal medesimo alcuna variazione di residenza e/o domicilio. Parte ricorrente ha invece allegato che la propria residenza, al momento della contestazione degli illeciti disciplinari di cui sopra, era sita in Parma, via f.lli B. n. 13 e, al fine di comprovare la conoscenza di tale indirizzo da parte della M., ha prodotto in giudizio un verbale dalla polizia stradale di Lodi del 15.10.2015 per violazioni del codice della strada, con relativa sanzione, da cui risulta che lo stesso fosse residente in via f.lli B. n. 13, ed i dettagli del bonifico di pagamento della predetta sanzione effettuato dalla M. in data 13.11.2015.
Deve altresì rilevarsi come non risulti, agli atti, alcuna lettera di licenziamento in quanto M. non ha prodotto in giudizio copia del licenziamento asseritamente intimato al ricorrente in data 04.09.2017. Nella memoria di costituzione, parte resistente argomenta circa la ricezione della lettera di licenziamento da parte del ricorrente sulla base delle frasi riportate a pag. 13 del ricorso introduttivo ove si fa riferimento al “tenore della lettera di licenziamento” ed ai “recenti episodi di inadempienza ai suoi doveri contrattuali” ivi suppostamente riportati. Parte ricorrente ha dedotto all’udienza del 22.05.2018 che l’inserimento di tali frasi nel ricorso e stato il frutto di un mero errore materiale. Ritiene il Giudice come la tesi dell’errore materiale trovi ampia conferma nel contenuto complessivo del ricorso introduttivo, ove chiaramente, a pag. 4, paragrafo 8, si allega che il ricorrente abbia scoperto dell’avvenuto licenziamento solo per effetto della consultazione del certificato C/2 storico rilasciatogli dal Centro per l’impiego di Parma, nonché nel paragrafo B, intitolato “Il licenziamento”, nella parte in diritto dell’atto, ove viene posto in rilievo il fatto che il rapporto di lavoro sia stato risolto senza alcun atto scritto.
Posto che risulta pertanto come parte resistente non abbia assolto l’onere della prova su di essa incombente di dimostrare di aver intimato per iscritto il licenziamento nei confronti di C. B. producendo in giudizio l’atto di licenziamento ad esso regolarmente consegnato o pervenuto, il recesso deve per l’effetto considerarsi intimato in forma orale.
Quanto alla tutela applicabile, parte ricorrente ha chiesto l’applicazione, in via principale, dell’art. 18, primo e secondo comma, l. 300/1970 e, in via subordinata, dell’art. 2 d.lgs. n. 23/2015. La richiesta della tutela prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e stata avanzata dalla difesa di parte ricorrente sulla base della prospettazione della mancata sottoscrizione da parte di C. B. dei contratti a termine risultanti dal certificato C2 storico rilasciato dal Centro per l’impiego di Parma, nonché, in via logicamente subordinata, in ragione della nullità dei contratti a tempo determinato stipulati con il ricorrente in quanto la società resistente non avrebbe dimostrato il rispetto dei divieti posti dall’art. 3 d.lgs. n. 368/2001, applicabile ratione temporis.
Osserva il Giudice come la Corte di Cassazione abbia evidenziato, con specifico riferimento alla lettera d) dell’art. 3 d.lgs. 368/2001, che costituisce onere del datore di lavoro provare di aver effettuato la valutazione dei rischi ai sensi di legge e come la violazione di tale divieto, che è posto da una norma imperativa, determini la nullità della clausola di apposizione del termine (Cass. civ., sez. lav., 02.04.2012, n. 5241).
Poiché nella vertenza in esame, M. non ha dimostrato di aver effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 626/1994 e successive modificazioni, alla luce delle considerazioni sopra espresse, la clausola appositiva del termine contenuta nel contratto stipulato in data 09.04.2014 deve essere dichiarata nulla e, per l’effetto, il rapporto di lavoro deve essere considerato ab initio a tempo indeterminato.
All’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti sin dalla data dello 09.04.2014 consegue l’applicazione dell’art. 18 l. n. 300/1970, in quanto l’art. 1, primo comma, del d.lgs. n. 23/2015 stabilisce che la disciplina da esso posta si applichi ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati e quadri assunti dopo l’entrata in vigore del decreto medesimo. Non ignora la scrivente che l’art. 1 d.lgs. n. 23/2015, al secondo comma, preveda che “le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”. Ritiene pero il Giudice che la conversione prevista dalla suddetta norma non sia quella giudiziale bensì la conversione intesa come trasformazione/prosecuzione di tipo negoziale del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, ossia per accordo tra le parti del contratto medesimo. Posto che la conversione operata in sede giudiziale di un contratto a termine per i motivi tassativamente previsti dalla legge determina la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con efficacia ex tunc, ossia sin dalla data di sottoscrizione del contratto a tempo determinato, ritiene la scrivente che l’interpretazione secondo cui la conversione a cui fa riferimento il secondo comma dell’art. 1 d.lgs. n. 23/2015 sia esclusivamente quella negoziale si conformi al criterio enunciato dal primo comma del suddetto articolo per delimitare il campo di applicazione della nuova disciplina, che è di tipo temporale, in quanto rileva esclusivamente la data di costituzione del rapporto di lavoro.
Ritenuta pertanto l’applicabilità della tutela posta dall’art. 18, primo e secondo comma, l. 300/1970 per le fattispecie di licenziamento orale, assorbito ogni altro motivo di impugnativa/censura del licenziamento oggetto di causa, M. T. s.r.l. deve essere condannata a reintegrare C. B. nel posto di lavoro e nelle mansioni da ultimo svolte, o in mansioni ad esse equivalenti, ed a corrispondergli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento il 04.09.2017 sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum, oltre alla regolarizzazione contributiva ed assistenziale, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, secondo indici Istat, dalla mora al saldo.
La retribuzione mensile globale di fatto viene determinata in euro 2.096,86, posto che in tale misura è stata indicata da parte ricorrente e non è stata specificatamente contestata dalla controparte.
Quanto all’istanza ex art. 614 bis c.p.c., ritiene il Giudice come la stessa non possa essere accolta stante il chiaro disposto del primo comma del suddetto articolo che prevede che le disposizioni ivi contenute non trovino applicazione in riferimento alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 c.p.c. Parte ricorrente ha allegato l’incostituzionalità di quest’ultima disposizione chiedendo al Giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte costituzionale. In relazione a tale richiesta, osserva il Giudice come la scelta legislativa di escludere dal campo di applicazione delle misure di coercizione indiretta le controversie in materia di lavoro non appaia, sulla base di una valutazione necessariamente sommaria quale è quella demandata a questa fase processuale, porsi in evidente contrasto con norme di rango costituzionale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. 55/2014.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, così decide:
– dichiara la nullità della clausola appositiva del termine al contratto concluso tra M. T. s.r.l. e C. B. in data 09.04.2014 e, per l’effetto, accerta che tra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin da tale data;
– dichiara la nullità del licenziamento orale intimato da M. T. s.r.l. nei confronti di C. B. in data 04.09.2017 e, per l’effetto, in applicazione della tutela prevista dall’art. 18, primo e secondo comma, l. 300/1970, condanna M. T. s.r.l. a reintegrare C. B. nel posto di lavoro e nelle mansioni da ultimo svolte, o in mansioni ad esse equivalenti, ed a corrispondergli un’indennita commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento il 04.09.2017 sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum, oltre alla regolarizzazione contributiva ed assistenziale, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, secondo indici Istat, dalla mora al saldo;
– determina la retribuzione mensile globale di fatto di C. B. in euro 2.096,86;
– condanna M. T. s.r.l. a corrispondere a C. B. le spese di lite, liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali, iva e cpa nella misura di legge.
Si comunichi alle parti.
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