TRIBUNALE DI ROMA – Sentenza 07 luglio 2021, n. 6569
Emergenza Covid-19 – Impossibilità della prestazione lavorativa – Sospensione della retribuzione – Inadempimento datoriale per causa di forza maggiore
Svolgimento del processo
Con ricorso tempestivamente depositato in data 29.3.2021, XXX ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo di questo Ufficio n. 764/2021 del 9.2.2021, ritualmente notificato il 19.2.2021, con il quale le era stato intimato il pagamento in favore dell’ex dipendente YYY, della complessiva somma di € 12.329,00, oltre accessori e spese, a titolo di retribuzioni maturate e non percepire dal 24 marzo 2020 a gennaio 2021, nonché ratei di tredicesima.
Con la spiegata opposizione, nel merito, parte opponente ha dedotto: la non debenza del credito retributivo ingiunto in quanto, in conseguenza dell’impossibilità della prestazione lavorativa di YYY a causa delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19, sarebbe venuta meno la sua controprestazione retributiva ai sensi dell’art.1463 c.c.; l’esclusione della responsabilità della società a causa di un fatto di forza maggiore rappresentato dal divieto legale di svolgere la propria attività imprenditoriale per via delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19; la non debenza della retribuzione in quanto YYY avrebbe svolto, in costanza del rapporto di lavoro, altra attività lavorativa e, comunque, si sarebbe rifiutato di prendere servizio a seguito di convocazione da parte della opponente.
Ha quindi concluso chiedendo: “a) la revoca e/o dichiari nullo e/o privo di efficacia l’opposto decreto ingiuntivo n. 764/2021 emesso dal Tribunale di Roma, sezione seconda lavoro, dott.ssa B., in data 9/02/2021; b) in subordine rispetto al punto che precede, previa revoca del decreto ingiuntivo n. 764/2021 emesso dal Tribunale di Roma, sezione seconda lavoro, dott.ssa B., in data 9/02/2021, condannare XXX srl al pagamento delle retribuzioni che vengano accertate come effettivamente dovute”, vinte le spese.
Si è costituito in giudizio YYY contestando quanto ex adverso dedotto ed eccepito, sia in fatto sia in diritto e concludendo per l’integrale conferma del decreto.
Disposta trattazione scritta del procedimento, rinunciato dalle parti termine per note nel merito, in data 7.7.2021, sulle conclusioni trascritte in epigrafe, la causa è stata decisa.
Motivi della decisione
1. Chiede in primis l’opponente chiede di accertare e dichiarare la non debenza del credito vantato da YYY in quanto 1) l’obbligazione retributiva si sarebbe estinta ai sensi del combinato disposto degli artt. 1256 e 1463 c.c., ovvero, ancora, 2) la società sarebbe comunque irresponsabile del proprio inadempimento per causa di forza maggiore, rappresentata dalla sospensione della sua attività imprenditoriale determinata in via normativa.
Appare opportuna trattazione congiunta delle due argomentazioni difensive in quanto entrambe fondate sull’incidenza che la sospensione dell’attività d’impresa – determinata in via normativa – ha avuto sull’obbligazione retributiva in capo al datore di lavoro.
L’eccezione di estinzione dell’obbligazione per impossibilità non imputabile della medesima è infondata. Come noto, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, per contenere la diffusione del contagio da COVID-19 è stata disposta la sospensione delle attività di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) (art. 1, n. 2), D.P.C.M. 11 marzo 2021) nell’ambito delle quali incontestatamente opera XXX attiva nel settore della somministrazione di alimenti (senza cucina) e di bevande.
Ciò, dunque, ha comportato l’impossibilità giuridica totale e temporanea, da parte dell’odierna opponente, di svolgere la propria attività di impresa durante il periodo di vigenza della disposizione sopra richiamata. Conseguentemente, le prestazioni lavorative dei propri dipendenti erano, nel menzionato periodo, oggettivamente impossibili, in quanto l’opponente non avrebbe potuto riceverle, poiché interdetta normativamente nella propria attività di impresa.
Ebbene, ai sensi dell’art. 1463 c.c., nei contratti a prestazioni corrispettive – nei quali rientra, appunto, il contratto di lavoro subordinato – la parte liberata dalla propria obbligazione per sopravvenuta impossibilità – nel caso di specie il lavoratore – non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
Se è quindi corretto affermare che in genere le imprese di ristorazione durante il periodo di sospensione ex lege dell’attività d’impresa non erano obbligate alla controprestazione retributiva a loro carico, diverso è il caso di specie ove l’impossibilità della prestazione non è sopravvenuta a rapporto di lavoro in essere ma, al contrario, l’assunzione del dipendente è avvenuta, in ragione di accordo transattivo sottoscritto tra le parti il 24.3.2020, a blocco di attività già esistente sin dal precedente 11.3.2020 che prevedeva l’instaurazione di rapporto di lavoro subordinato a far data dal medesimo 24.3.2020.
Ed infatti pur essendo innegabile che l’impossibilità alla prestazione fosse in data 24.3.2020 assoluta, la stessa difettava dell’ulteriore requisito della sopravvenienza, avendo preceduto il blocco dell’attività il momento dell’instaurazione del rapporto e con essa dell’insorgere dell’obbligazione retributiva. Né in sede di verbale di conciliazione giudiziale è stato in alcun modo previsto, per ragioni in questa sede insondabili che attengono ai motivi posti dalle parti a fondamento dalla reciproca convenienza all’accordo transattivo, che l’instaurazione del rapporto o l’obbligazione retributiva ad esso conseguente, in sé oggetto di possibile adempimento, fossero differiti al momento del venir meno del blocco dell’attività.
In altre parole il datore di lavoro sapeva al momento dell’assunzione di non poter ricevere la controprestazione lavorativa ma ha comunque ritenuto conveniente, per motivi attinenti il venir meno del contenzioso in essere, di firmare accordo giudiziale in ragione del quale il ricorrente, pur momentaneamente impossibilitato alla prestazione per blocco attività, veniva comunque assunto, in tal modo coscientemente accollandosi la conseguente obbligazione retributiva.
Né può ritenersi che la disciplina pattizia voluta dalle parti sia in violazione della corrispettività tipica del negozio atteso che nella fattispecie la stipulazione del contratto di lavoro ha risposto altresì ad esigenza conciliativa di controversia giudiziale in essere, ragione normalmente estranea alla fattispecie classica.
2. Quanto precede, fa sì che acquisti diversa rilevanza l’ulteriore eccezione sollevata dall’opponente secondo cui la sospensione della sua attività imprenditoriale sarebbe stata normativamente prevista dalla data di assunzione del Ysino all’attualità.
Appare al riguardo utile osservare come la sospensione dell’attività commerciale disposta con il D.P.C.M. sopra menzionato dell’11 marzo 2020, fosse venuta meno già a partire dal D.P.C.M. del 16 maggio 2020 – quantomeno per tutto il periodo estivo -, dal momento che lo stesso decreto aveva previsto, all’art. 1, lettera ee), che le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) erano consentite nel rispetto delle linee guida da adottarsi dalle autonomie locali competenti.
Ed infatti, nel mese di giugno 2020, i legali di YYY, tramite raccomandata, facevano presente alla società opponente che il loro assistito offriva espressamente la propria attività lavorativa, con ciò, da tale momento, ponendo la opponente in una situazione di mora credendi. Peraltro, la circostanza che l’attività commerciale della opponente fosse ripresa – con conseguente possibilità della prestazione lavorativa di Y- emerge anche dal ricorso in opposizione, in cui da un lato la opponente afferma di aver riaperto al pubblico dal mese di luglio e, dall’altro, si rappresenta la circostanza di aver invitato YYY, nel mese di settembre, mediante raccomandata – la quale, tuttavia, come si vedrà non giunse mai a conoscenza dello stesso – , a prestare la propria attività lavorativa.
Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, l’impossibilità a ricevere la prestazione lavorativa del Y sarebbe comunque stata riferibile esclusivamente al periodo di sospensione normativa dell’attività di impresa, sospensione venuta meno con il D.P.C.M. del 16 maggio 2020.
Invero, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di affermare: “La sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. La legittimità della sospensione va verificata in riferimento all’allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa: solo ricorrendo il duplice profilo dell’impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell’impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla.” (Cass. [ord], 27-05-2019 n. 14419; ex plurimis Cass. 15372 del 2004).
Ebbene, nel caso di specie, per il periodo decorrente dal mese di giugno, venuta meno l’impossibilità normativa di svolgere l’attività commerciale esercitata, la società opponente non ha fornito alcuna prova né in ordine alla oggettiva impossibilità della prestazione lavorativa di YYY, né per quanto riguarda l’impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, dovendo dunque considerarsi ingiustificato il rifiuto tacitamente opposto alla ripresa in fatto della prestazione lavorativa.
In tal senso appare invero irrilevante e, dunque, da rigettarsi, l’istanza istruttoria avanzata dalla opponente volta a verificare che la stessa, nei mesi di luglio, agosto e settembre sia rimasta aperta esclusivamente nei giorni di venerdì e sabato, senza intrattenimento musicale. Infatti, la verifica di tale circostanza non sarebbe idonea a dimostrare l’impossibilità oggettiva della prestazione di YYY, né la non imputabilità della stessa impossibilità a difetto di programmazione della opponente.
Alquanto generica è poi la deduzione secondo la quale i divieti sarebbero stati reintrodotti dopo il periodo estivo, ed “anche successivamente all’introduzione della suddivisione in zone con divieti e limitazioni graduati”.
Come noto, infatti, con la cosiddetta seconda ondata da COVID-19, le misure governative hanno cercato di contemperare le esigenze di contenimento pandemico con le istanze economiche degli operatori del mercato, consentendo agli stessi di adottare misure che gli permettessero, per quanto possibile, la ripresa delle attività. Ebbene, a tal riguardo la società non ha minimamente circostanziato, né provato, le proprie allegazioni in ordine alla effettiva impossibilità di svolgere, dopo il periodo estivo, la propria attività, né, a fortiori, ha provato che la stessa impossibilità non fosse dipesa da una propria negligenza nella programmazione della esercitata attività aziendale.
Ne consegue che, a seguito del venir meno del divieto normativo di esercizio dell’attività commerciale dell’opponente, all’inadempimento riferito all’obbligazione retributiva si aggiunse illegittimo rifiuto da parte della medesima XXX srl di ricevere la prestazione lavorativa che le era stata offerta.
3. Con due ulteriori eccezioni, l’opponente chiede dichiararsi la non debenza, a favore del Y della retribuzione per le seguenti ragioni: 1) dal mese di giugno 2020 a quello di settembre dello stesso anno, in quanto in quel periodo l’opposto, secondo le argomentazioni difensive della XXX srl, avrebbe svolto attività retribuita stagionale in Grecia; ovvero, ancora, 2) dal mese di settembre 2020 in poi, in considerazione del fatto che il lavoratore si sarebbe rifiutato di prendere servizio pur dopo essere stato convocato dalla società con raccomandata dell’11 settembre del 2020.
3.1. Per quanto riguarda l’eccezione sub 1), la società ha prodotto dei post estratti dal profilo Facebook del YYYY , afferenti al periodo estivo, in alcuni dei quali lo stesso sembrerebbe affermare di trovarsi in Grecia per ragioni lavorative. In particolare, in un post il lavoratore affermerebbe “Back in Athens for work” (24 giugno 2020), e in un altro “Beate loro, io lavoravo” (2 luglio 2020).
Ebbene, è evidente come da tali unici elementi non possano assolutamente ricavarsi che YYY, nel predetto periodo, abbia effettivamente svolto attività lavorativa retribuita.
Infatti, si tratta di soli due post, in cui, tra l’altro, non viene fatto minimamente riferimento al luogo presso il quale si sarebbe svolta la presunta attività lavorativa, da ciò potendosi quindi desumere la non veridicità delle affermazioni in essi riportate.
Inoltre, i social network sono spesso utilizzati, soprattutto nel mondo lavorativo di cui fa parte l’odierno opposto, per pubblicizzare la propria attività professionale, fornendo un’immagine della propria persona e del proprio successo lavorativo spesso non corrispondenti al vero, proprio al fine di procurarsi delle occasioni di lavoro.
Pertanto, dai suddetti elementi non può ricavarsi lo svolgimento di attività lavorativa retribuita per il periodo decorrente dal mese di giugno 2020 a quello di settembre dello stesso anno; e ciò anche in considerazione del fatto che i documenti in questione si riferiscono ad un brevissimo arco temporale (dal 24 giugno 2020 al 2 luglio 2020), idoneo a far presumere, semmai, che YYY si trovasse in Grecia per vacanza.
Per tali ragioni va dunque rigettata la domanda volta a far accertare da questo Tribunale la non debenza della retribuzione per il periodo intercorrente dal mese di giugno 2020 a quello di settembre dello stesso anno.
3.2. Parimenti infondata è poi l’ulteriore richiesta sub 2) avente invece ad oggetto l’accertamento della non debenza della retribuzione a partire dal mese di settembre 2020, in quanto, secondo l’opponente, il Y si sarebbe rifiutato di prestare servizio pur dopo essere stato convocato al lavoro con raccomandata dell’11 settembre 2020.
Osserva il giudicante come il lavoratore opposto non possa assolutamente dirsi inadempiente rispetto alla convocazione allegata dalla XXX srl, dal momento che, in base ai documenti prodotti dalla stessa società, non risulta affatto provato che il destinatario ebbe legale conoscenza dell’atto con il quale gli si intimava di prendere servizio.
Invero – in disparte il fatto che la ricevuta di spedizione prodotta non risulta leggibile in riferimento all’indirizzo del destinatario -, nella documentazione prodotta non vi è traccia della ricevuta di ritorno attestante l’avvenuto recapito della corrispondenza. Tale recapito, inoltre, non può neppure ricavarsi dal documento allegato che reca in intestazione “esito della spedizione”, dal momento che in nessuna parte di tale documento è desumibile che la raccomandata sia stato consegnata presso l’indirizzo di residenza ovvero di domicilio del lavoratore. Peraltro, sempre nel documento denominato “esito della spedizione”, lo stato della stessa risulta classificato con la dicitura “segnalati problemi nella lavorazione”.
Per le ragioni esposte l’opposizione va integralmente rigettata.
4. I compensi di lite, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione:
1) rigetta l’opposizione e per l’effetto dichiara l’esecutività del decreto ingiuntivo n.764/2021;
2) condanna parte opposta alla refusione dei compensi di lite liquidati in complessivi € 2.500,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA.
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