TRIBUNALE DI ROMA – Sentenza 19 maggio 2020, n. 2503
Invalidità del licenziamento per difetto di giustificazione – Violazione dei criteri di correttezza e buona fede – Obbligo di repechage – Datore di lavoro può fornire la prova del fatto negativo – Esistenza di fatti e circostanze secondarie idonee a persuadere il giudice della veridicità di quanto allegato
Motivi della decisione
1. Con ricorso depositato telematicamente in data 30.12.2019 e regolarmente notificato, G.C. ha agito in giudizio, esponendo:
– di aver lavorato alle dipendente dell’imprese individuale S.M. (…) in qualità di operaio con mansioni di Autista di pullman, inquadrato nel livello 140 del CCNL Autoferrotranviari, in forza di un contratto di lavoro a tempo determinato, che, per effetto della pronuncia del Tribunale di Bari del 23 giugno 2015, n. 3933, è stato trasformato, a partire dal 3.8.2015, in contratto di lavoro a tempo indeterminato;
– di essere stato trasferito a partire dal 3.8.2015 dalla sede di Castellaneta a quella di Castellaneta Marina (distante 22 chilometri) e successivamente, con decorrenza immediata dal 24.8.2015, presso la sede di Roma, Via S.R.
– di aver ivi prestato la propria attività lavorativa per 36 ore settimanali e di essere stato principalmente adibito al servizio di trasporto scolastico in favore degli alunni delle scuole dell’infanzia e dell’obbligo e al servizio di trasporto dei dipendenti di (…) sulla linea Roma-Cesano;
– di aver percepito una retribuzione mensile pari ad euro 1.499,10 per 14 mensilità e di aver ricevuto la corresponsione della retribuzione con grande ritardo, fatto quest’ultimo che ha provocato l’insorgenza di uno stato di stress psichico;
– di essere stato nominato, in data 17.5.19, rappresentante sindacale aziendale della neo costituita RSA;
– di aver, in data 21.5.2019 e 10.6.2019, chiesto all’azienda – rispettivamente – il consenso per l’installazione di una bacheca sindacale e la convocazione di un incontro di carattere conoscitivo e di aver ottenuto risposta negativa;
– di aver ricevuto, in data 26.6.2019, comunicazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che ha impugnato con lettera del 2.7.2019;
– di aver avuto notizia che, a seguito del licenziamento, il datore di lavoro aveva aumentato le ore di lavoro settimanali, da 36 a 39, ai dipendenti G.C., C.G., E.M., N.B., E.C. e che, in data 27.6.2019, sarebbe stato assunto un nuovo autista.
Tanto premesso, ha dedotto l’invalidità del licenziamento per difetto di giustificazione, manifesta insussistenza del fatto, per violazione dell’obbligo di repechage e violazione dei criteri di correttezza e buona fede, allegando altresì di non aver percepito le retribuzioni relative alle mensilità di maggio 2019 e giugno 2019 (fino al giorno 26), oltre TFR, indennità di mancato preavviso, ratei della tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità per ferie non godute ed accessori legati alla cessazione del rapporto.
Ha, quindi, concluso chiedendo di dichiarare l’illegittimità del licenziamento per manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo e/o violazione dell’obbligo di repechage, nonché la reintegrazione nel posto di lavoro, la condanna al pagamento di un’indennità in misura pari a dodici mensilità e dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino alla reintegrazione. In subordine, ha chiesto di dichiarare l’illegittimità del licenziamento per le altre ipotesi di cui all’art. 18, comma 7, l. 300/1970, nonché la condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura di 24 mensilità. In via ulteriormente subordinata, ha chiesto di dichiarare l’inefficacia del licenziamento per difetto di motivazione e la condanna della S.M. Viaggi al pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, comma 6, l. n. 300/1970.
Ha inoltre chiesto la condanna della S.M. al pagamento delle mensilità di maggio 2019, giugno 2019 (sino al giorno 26), oltre a TFR, indennità di mancato preavviso, ratei della tredicesima e quattordicesima mensilità, ferie non godute ed altri accessori legati alla cessazione del rapporto.
2. Non si è costituita la società convenuta, sebbene ritualmente evocata in giudizio con atto notificato il 1° febbraio 2020 a mezzo posta elettronica certificata.
3. Espletato l’interrogatorio libero del ricorrente; preso atto dell’accordo concluso con la società convenuta per effetto del quale sono state corrisposte al lavoratore le retribuzioni di maggio e giugno 2019, i ratei delle mensilità supplementari, il TFR e l’indennità di mancato preavviso, e preso atto della rinuncia del ricorrente alla domanda di condanna al pagamento delle somme richieste per i titoli anzidetti; disposta la trattazione scritta dalla causa ai sensi dell’art. 83, comma 7, lett. b) d.l. 18/2020, convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27, realizzata mediante deposito telematico di note scritte con cui il ricorrente ha ribadito le argomentazioni già svolte nell’atto introduttivo, la causa è stata decisa con sentenza resa in data 18 maggio 2020 all’esito dell’udienza all’uopo fissata.
4. La domanda, come circoscritta all’udienza del 5.3.2020 e in sede di note, è fondata.
5. Rileva il Tribunale che la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a fa data dal 3.8.2015 e la cessazione del medesimo per effetto del licenziamento intimato con lettera dal 18.6.2019, ricevuta il 26.6.2019, risultano provati alla documentazione prodotta dal ricorrente (attestazione rilasciata dal datore di lavoro, buste-paga rilasciate dalla società datrice di lavoro, comunicazione licenziamento per giustificato motivo oggettivo del 18.6.2019).
5.1. Risulta inoltre provato che il licenziamento è stato intimato dal titolare dell’impresa individuale per giustificato motivo oggettivo in data 18.6.2019, con la seguente motivazione: “in conseguenza delle crescenti problematiche di carattere economico-produttivo, che non ci consentono il regolare proseguimento del rapporto di lavoro, la Sua attività lavorativa non può più essere proficuamente utilizzata della ns. azienda. Rilevato che, allo stato, non risulta possibile, all’interno dell’Impresa, reperire un’altra posizione lavorativa per poterla collocare (per mansioni della categoria contrattuale di appartenenza e/o mansioni equivalenti alla stessa ovvero anche inferiori) siamo costretti a licenziarLa per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604 del 15 luglio 1966 n. 604”.
Del pari è dimostrato che il licenziamento è stato dal lavoratore tempestivamente impugnato in data 2 luglio 2019.
Risulta peraltro che il G.C., a seguito della trasformazione giudiziale del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, è stato trasferito dapprima presso la sede di Castellaneta Marina e poi, dal 24.8.2015 presso la sede di Roma.
6. Non può ritenersi provata la sussistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
6.1. Costituisce, invero, principio consolidato quello secondo cui “la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone, da un lato, l’esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall’altro, la impossibilità di diversa collocazione del lavoratore licenziato (repechage), consideratane la professionalità raggiunta, in altra posizione lavorativa analoga a quella soppressa” (cfr. Cass. n. 10435/2018; nonché Cass. n. 5592/2016, Cass. n. 12101/2016, Cass. n. 24882/2017, Cass. n. 27792/2017).
Con particolare riferimento all’obbligo di repechage, è stato affermato che il datore di lavoro può fornire la prova del fatto negativo attraverso la dimostrazone dell’esistenza di fatti e circostanze secondarie idonee a persuadere il giudice della veridicità di quanto allegato in ordine all’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale (cfr. Cass. n. 10435/2018).
In materia di ripartizione dell’onere della prova, ritiene il Tribunale di aderire al principio secondo cui “sul datore di lavoro incombe l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda nonché l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte” (Cass. n. 10435/18; ma cfr. anche Cass. n. 5592/2016, Cass. n. 12101/2016, Cass. n. 20436/2016, Cass. n. 24882/2017, Cass. n. 27792/2017).
6.2. Vero è che i suesposti principi sono stati dalla giurisprudenza di legittimità elaborati con riguardo ai licenziamenti intimati in relazione a contratti di lavoro rientranti nella disciplina dettata dalla legge n. 92/2012, ma è altrettanto vero che l’art. 5 l. n. 604/1966, che regola l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, si applica anche ai licenziamenti dei lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti. La richiamata disposizione ha infatti portata generale e continua a prevedere che “L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o dal giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”.
A tale conclusione non osta neppure la lettera dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, che si limita a stabilire che “Salvo quando disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro (…) “, con una formulazione legislativa che non allude ad alcuna inversione dell’onere probatorio in ordine all’esistenza del fatto sotteso al giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
I principi sopra esposti in tema di ripartizione dell’onere della prova sono, quindi, applicabili anche al licenziamento intimato al ricorrente e ciò indipendentemente dalla circostanza che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra questi e la S.M. Viaggi, essendo stato pacificamente costituito a partire dal 3.8.2015, è disciplinato dalle norme dettate dal d.lgs. n. 23/2015.
6.3. Ora, il datore di lavoro, rimasto contumace, non ha allegato né provato la sussistenza di una qualsiasi ragione inerente all’attività produttiva, all’organizzazione o al funzionamento dell’azienda che abbia determinato l’esigenza di soppressione del posto di lavoro occupato dal G.C. e neppure ha dimostrato l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni anche diverse da quelle precedentemente svolte.
L’esistenza dei presupposti dal giustificato motivo non può peraltro nemmeno desumersi dalla lettera di licenziamento.
Premesso che l’indicazione dei motivi del licenziamento (per giustificato motivo oggettivo) deve essere specifica e completa, in modo da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento, e che pertanto non è sufficiente la mera affermazione della sussistenza di difficoltà o esigenze di carattere organizzativo, economico o produttivo, ma è necessaria l’individuazione di fatti specifici sottesi a dette difficoltà o esigenze, appare chiaro che l’affermazione “crescenti problematiche di carattere economico-produttivo, che non ci consentono il regolare proseguimento del rapporto di lavoro”, oltre a non contenere la specifica individuazione degli specifici fatti posti a fondamento del licenziamento, non vale a rappresentare l’esistenza di fatti fonte del giustiziato motivo oggettivo. Del pari, l’affermazione “non risulta possibile, all’interno dell’Impresa, reperire un’altra posizione lavorativa per poterla collocare (per mansioni della categoria contrattuale di appartenenza e/o mansioni equivalenti alla stessa ovvero anche inferiori)” nulla dimostra in ordine all’effettiva assenza, all’interno dell’impresa, di una posizione lavorativa in cui impiegare il dipendente licenziato.
I presupposti del giustificato motivo oggettivo non emergono neppure dalle altre risultanze istruttorie: manca la prova dell’inutilità sopravvenuta della mansione svolta dal ricorrente, ossia quella di autista; ma, non vi è nemmeno la prova in ordine alla insussistenza di posti di lavoro ove avrebbe potuto essere utilmente collocato il ricorrente, essendo rimaste sfornite di prova circostanze di fondamentale importanza ai fini della ricostruzione dell’organico aziendale, concernenti sia la struttura del personale delle sedi dell’impresa individuale presenti in Puglia sia quella della sede di Verona.
6.4. Dagli atti di causa emerge, poi, che il licenziamento è stato dal datore di lavoro intimato a distanza di un mese della nomina del G.C. a rappresentante sindacale aziendale e a seguito dell’inizio dello svolgimento, da parte di quest’ultimo, di attività sindacale, quale quella correlata alla richiesta di apposizione di una bacheca sindacale e di una convocazione conoscitiva della rappresentanza sindacale aziendale (cfr. doc. nn. 9 e 10 parte ricorrente).
7. Accertata dunque l’ingiustificatezza del licenziamento per carenza di entrambi i presupposti del giustificato motivo oggettivo, va ora individuato il regime sanzionatorio da applicare.
7.1. Rileva il Tribunale che il ricorrente ha formulato le proprie conclusioni chiedendo l’applicazione dell’apparato sanzionatorio approntato dalla legge n. 92/2012, che tuttavia, come si è detto, non disciplina il rapporto di lavoro a tempo indeterminato intercorso con l’impresa individuale S.M., in quanto lo stesso ricorrente individua quale data di costituzione del medesimo il 3.8.2015, ossia data successiva a quella di entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015, con conseguente applicazione della disciplina del medesimo dettata, giusta quanto disposto dall’art. 1
Preso atto del fatto che la tutela reintegratoria richiesta del lavoratore non è prevista per il vizio censurato (ossia l’ingiustificatezza del licenziamento), la questione relativa all’individuazione della sanzione corrispondente alla violazione lamentata è nondimeno assorbita dalla deduzione della manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo.
7.2. Tale profilo di illegittimità deve essere ricondotta nell’ambito dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, come modificato dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, equivalendo – nella sostanza – la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo alla mancanza degli estremi del giustificato motivo oggettivo.
Ritiene, quindi, il Tribunale di applicare la sanzione prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, come modificato dall’art. 3, comma 1, del d.l. 87/2018, convertito, con modificazioni, nella l. n. 96/18, il quale ha elevato i limiti minimi e massimi dell’indennità risarcitoria, rispettivamente, da quattro a sei mensilità e da ventiquattro a trentasei mensilità.
7.3. Pertanto, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, il rapporto dedotto in giudizio deve essere dichiarato estinto con effetto dal 26 giugno 2019, data di ricezione della lettera di licenziamento, e il convenuto deve essere condannata a pagare in favore del ricorrente l’indennità risarcitoria ivi prevista.
8. La richiama norma – sia nel testo originario sia nel testo modificato dall’art. 3, comma 1, cit., applicabile ratione temporis alla fattispecie, trattandosi di licenziamento intimato il 18.6.2019, ossia dopo l’entrata in vigore della modifica legislativa – è stata dichiarata costituzionalmente illegittima limitatamente alle parole “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” (cfr. Corte cost. n. 194/2018).
La Corte costituzionale ha affermato che “Nel rispetto dei limiti, minimo e massimo, dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, il giudice terrà conto innanzitutto dell’anzianità di servizio – criterio che è prescritto dall’art. 1, comma 7, lett. c) della legge n. 183 del 2014 e che ispira il disegno riformatore del d.lgs. n. 23 del 2015 – nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)” (Corte cost. n. 194/2018).
8.1. L’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, all’esito della declaratoria di illegittimità costituzionale avvenuta con sentenza n. 194/2018, consente, pertanto, al giudice di quantificare l’indennità nel rispetto del limite minimo e massimo stabilito dal legislatore, tenendo in considerazione non solo il criterio dell’anzianità di servizio, ma anche gli altri criteri desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti, individuati dal Giudice delle leggi nei parametri già indicati dall’art. 8 della legge n. 604/1966, ossia il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, i comportamenti e le condizioni delle parti.
8.2. Ritiene, tuttavia, il Tribunale che il parametro dell’anzianità di servizio del lavoratore conservi tuttora un rilievo prioritario, giusta quanto affermato dallo stesso Giudice delle leggi, e serva a determinare – entro il limite minimo ed il limite massimo fissati dalla legge, le cui previsioni non sono state incise dalla declaratoria di illegittimità costituzionale- la base di partenza della quantificazione dell’indennità in parola, che potrà essere elevata dal giudice nel caso concreto tenendo conto di tutti gli altri parametri desumibili dal sistema e considerati dalla Corte Costituzionale.
8.3. In tale senso depone anche il rilievo secondo cui, avendo la Corte Costituzionale dichiarato inammissibile la relativa questione di legittimità costituzionale (v. punto 5.2. del Considerato in diritto della sentenza n. 194/2018), rimane in vigore la previsione di cui all’art. 1, comma 7, lett. c), della legge delega n. 183 del 2014, che impone non solo al legislatore delegato ma anche all’interprete, di determinare “un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio”.
D’altro canto, la Corte Costituzionale, nel dichiarare la illegittimità dal solo primo comma dell’art. 3 del d.lgs. n, 23 del 2015, non ha affatto censurato il rilievo prioritario dell’anzianità di servizio del lavoratore, che è parametrato la cui rilevanza è desumibile del sistema (v. art. 8 legge n. 604 del 1966 e art. 18, comma 5, legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1 legge n. 92 del 2012), ma ha inteso soltanto escludere che detto criterio possa essere l’unico rigido e non graduabile parametro di valutazione del giudice.
9. Alla luce di tale quadro normativo e tenuto conto della mancanza di prova di entrambi i presupposti del giustificato motivo oggettivo, delle dimensioni dell’attività economica, che peraltro allo stato occupa 69 addetti (cfr. visura camerale), nonché del comportamento del datore di lavoro che, oltre ad aver più volte trasferito il ricorrente, ha licenziato il G.C. dopo che questi era stato nominato rappresentante sindacale aziendale e dopo che questi aveva iniziato a svolgere attività sindacale, ritiene il Tribunale che l’indennità risarcitoria, la quale in base al solo parametro dell’anzianità di servizio – che resta comunque quello prioritario – dovrebbe essere quantificata in otto mensilità, ben possa essere aumentata di ulteriori quattro mensilità alla stregua degli ulteriori elementi anzidetti, si da dover essere quantificata in complessive dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr, da determinarsi sulla base di un retribuzione mensile di € 1.499,10, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
10. Le spese di lite seguono la soccombenza e, pertanto, S.M. Viaggi va condannata a rifondere le spese di lite alla società ricorrente così come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, così provvede:
– accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara illegittimo il licenziamento intimato al ricorrente in data 18.6.2019 dalla S.M.;
– dichiara estinto il rapporto di lavoro dal 26 giugno 2019;
– condanna la S.M. in persona del titolare S.M. a pagare, in favore di C.G., un’indennità pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione utili ai fini del trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali e rivalutazione dal 26.6.2019 al saldo;
– condanna S.M. a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.768,00, oltre rimborso spese forfetario al 15%, IVA e CPA come per legge, disponendone la distrazione in favore degli avv.ti F.G. e I.U., dichiaratisi antistatali.
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