TRIBUNALE DI ROMA – Sentenza 29 marzo 2021, n. 2080
Atto di scissione parziale – Assegnazione ramo d’azienda organizzato – Passaggio di dipendenti – Interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la inconfigurabilità di un ramo d’azienda oggetto del trasferimento – Creditore della prestazione retributiva – Mutamento della persona del debitore/datore di lavoro, non irrilevante per il lavoratore – Autonomia funzionale del ramo ceduto
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
(…) e gli altri diciannove ricorrenti sopra indicati sono stati dipendenti di (…) ((…) società consortile per azioni); da ultimo, essi afferivano alla struttura denominata “Direzione recupero crediti” (DRC) alla quale era affidata, tra l’altro, l’attività di gestione dei crediti in sofferenza e delle garanzie sui beni, attività svolta in favore delle varie società del gruppo. La DRC era articolata in due differenti servizi, quello territoriale (a sua volta distinto in vari uffici dislocati sul territorio nazionale) e quello specialistico (caratterizzato dalla gestione di posizioni appartenenti ai segmenti specialistici e che si avvaleva di diversi uffici). All’interno della DRC, oltre ai detti due servizi, vi erano poi l’ufficio supporto tecnico amministrativo e l’ufficio normativa strumenti (cfr. l’organigramma della DRC, aggiornato a maggio 2018).
Nel novembre del 2018 è stato sottoscritto un atto di scissione parziale, con il quale, tra l’altro, (…) ha assegnato ad una compagine denominata (…) S.p.A. il “ramo d’azienda organizzato presso (…) nella struttura, denominata “Direzione Recupero Crediti” – nella sua articolazione territoriale, comprensiva di tutte le unità alle quali è assegnato personale dipendente e con l’eccezione dell’ufficio denominato “Supporto Tecnico Amministrativo ” – per l’esercizio, in breve, dell’attività di sollecito e recupero del credito e di ogni attività accessoria e strumentale (il “Ramo (…)”) …” (doc. 17 ricorrenti).
Detta operazione ha determinato, a decorrere dal 30.11.2018, il passaggio alle dipendenze di (…) S.p.A., ex art. 2112 c.c., di poco meno di 500 unità di personale, compresi gli odierni ricorrenti adibiti presso gli uffici di Roma.
Poco dopo detta operazione, (…) S.p.A. ha modificato la denominazione in (…) S.p.A. e (…) è stata fusa per incorporazione in (…) S.p.A. ((…)).
I venti ricorrenti (rispetto agli originari ventuno, (…) ha rinunciato nel corso del giudizio) hanno impugnato detto trasferimento, sostenendo per più motivi che alla fattispecie in esame non potesse essere applicato l’art. 2112 c.c.
Entrambe le società convenute (cedente e cessionaria) si sono costituite, sollevando una preliminare eccezione e comunque ribadendo la legittimità del loro operato, in particolare, sottolineando entrambe la piena operatività dell’art. 2112 c.c.
Espletato infruttuosamente il tentativo di conciliazione ed autorizzato il deposito di documentazione, la causa è stata decisa.
All’esito del giudizio – che non ha richiesto un’istruttoria testimoniale, poiché le circostanze sulle quali esso si fonda sono pacifiche e documentalmente provate – la domanda dei ricorrenti deve ritenersi fondata.
Quanto all’eccezione di carenza di interesse ad agire dei ricorrenti (che si sono visti mantenere presso la cessionaria le stesse condizioni di lavoro in atto presso la cedente, con l’ulteriore garanzia del mantenimento dell’occupazione presso (…) o altra società del gruppo per un periodo di 15 anni), va ricordato che in più occasioni la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che in tema di trasferimento d’azienda il lavoratore ha sempre un interesse ad accertare in giudizio la inconfigurabilità di un ramo d’azienda oggetto del trasferimento e quindi, in difetto del suo consenso, l’inefficacia nei suoi confronti del trasferimento stesso; non essendo per lui indifferente, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore/datore di lavoro, che può offrire garanzie più o meno ampie di tutela dei suoi diritti (per tutte, Cass. 24.10.2017, n. 25144). Né, nel caso di specie, detto interesse può ritenersi venire meno a seguito dell’estensione ai dipendenti trasferiti in (…) di una garanzia occupazionale presso la cedente (…) (o altra società del gruppo), poiché, a tacer d’altro, detta garanzia è subordinata, come si legge nell’accordo sindacale 1.8.2018, ad una serie di determinate condizioni.
Escluso pertanto che possa essere affermata una carenza di interesse dei ricorrenti a vedersi riconosciuto quale sia il loro datore di lavoro (debitore delle prestazioni retributive), occorre premettere quali siano, in materia, i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
La cessione del ramo di azienda presuppone una realtà produttiva funzionalmente autonoma (la “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”, di cui al comma 5, art. 2112 c.c.) e tale autonomia deve preesistere al trasferimento (su quest’ultimo requisito, anche dopo la nuova formulazione dell’art. 2112, comma 5, per tutte, Cass. 28.9.2015, n. 19141, anche sulla scorta della sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C-458/12).
In particolare, si è affermato che l’autonomia funzionale del ramo ceduto implica la capacità di quest’ultimo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti (così, Cass. 31.7.2017, n. 19034 e Cass. 8.11.2018, n. 28593). In altre parole, per essere tale, il ramo d’azienda trasferito deve configurarsi come una sorta di “micro-azienda”, capace da sola di rendere il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito della società cedente, senza necessità di dipendenza o interazione con quest’ultima.
Sulla base di detti principi, tenuto conto delle circostanze incontestate nonché della documentazione in atti, va ritenuto che la cessione in esame posta in essere da (…) in favore di (…) non abbia avuto ad oggetto un ramo d’azienda, inteso quest’ultimo nei termini sopra esposti. E ciò per più motivi.
In primo luogo, come già detto, (…) ha ceduto a (…) il ramo organizzato presso la DRC, “con l’eccezione dell’ufficio denominato Supporto Tecnico Amministrativo”, e cioè con l’eccezione di quella struttura che, secondo il funzionigramma della DRC, aveva, prima della cessione, il compito, tra gli altri, di “fornire supporto tecnico amministrativo alle strutture di recupero della Direzione” (doc. 3 (…)). Detto Supporto Tecnico Amministrativo è rimasto presso la società cedente, è stato successivamente rinominato (in Supporto Specialistico e Amministrativo) e dopo la cessione ha continuato a svolgere le attività di supporto amministrativo e operativo inerenti i processi recuperatoli, e cioè la medesima attività svolta prima della cessione (doc. 23 ricorrenti).
In secondo luogo, risulta che con l’atto di scissione parziale sono state trasferite a (…)immobilizzazione materiali non significative per lo svolgimento di un’autonoma attività di impresa. Si tratta di schede sim relative ad utenze di telefonia mobile, di monitor, device, tablet, dispositivi elettronici e pc portatili; di alcuni contratti di locazione ad uso foresteria; e di alcuni contratti di noleggio di autovetture assegnati ai dipendenti (allegati D, E e F all’atto di scissione parziale).
Tant è che in concomitanza con il detto atto di scissione le parti hanno stipulato un contratto di servizio per le prestazioni di attività di tipo operativo (doc. 13 (…)), in forza del quale la cedente (…) (poi (…)) si è impegnata a fornire alla cessionaria (…) (poi (…)) una numerosa serie di servizi (dalla gestione amministrativa del personale, alla logistica, alla gestione degli immobili e del servizio postale), tra i quali, in particolare, quello relativo a tutti gli applicativi informatici necessari al personale trasferito per svolgere la propria attività di recupero crediti.
In altre parole, con il ramo trasferito non sono stati ceduti a (…) tutti i programmi informatici necessari allo svolgimento dell’attività di recupero crediti e al riguardo non può assumere rilievo l’argomento relativo agli obblighi normativi che avrebbero ostato, per ragioni di tutela della privacy e dei dati sensibili, alla cessione di detti applicativi comportanti l’accesso ai data base di proprietà (…); laddove, come nella specie, la disponibilità di detti programmi sia un elemento essenziale e fondamentale ai fini dell’autonoma funzionalità economica dell’entità ceduta, ciò costituisce un limite intrinseco alla possibilità di procedere alla stessa cessione e non un argomento per giustificare, pur in assenza di tali elementi, la configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 2112 c.c.
In terzo luogo, l’attività di recupero crediti svolta dai dipendenti della cessionaria (…) ha ad oggetto sia il cd. portafoglio (…), sia il cd. portafoglio (…). Le posizioni in sofferenza del primo sono state cedute da (…) non direttamente alla cessionaria (…) ma ad una terza società ((…)) che a sua volta ha sottoscritto un contratto di Service con (…) (già (…)) per la gestione e i recupero di detti crediti; le posizioni in sofferenza del secondo portafoglio ((…)) sono state invece affidate direttamente da (…) a (…), anche qui attraverso un contratto di servicing.
Sta di fatto che per entrambi i portafogli lo svolgimento delle attività assegnate ai dipendenti ceduti richiede continui scambi e interazioni con altre funzioni della cedente (…), la quale continua ad esercitare su detta attività di recupero una cospicua funzione di ingerenza (sotto forma di richieste di informazioni, rilascio di autorizzazioni e di supporto operativo) nella gestione delle posizioni affidate in servicing alla compagine cessionaria.
L’insieme di detti elementi consente pertanto di escludere dal novero dell’art. 2112 c.c. l’operazione in esame.
I servizi ceduti con l’operazione in questione esulano infatti dalla nozione di “piccola azienda” in grado di funzionare in modo autonomo, poiché detti servizi – per funzionare e raggiungere appieno la loro finalità – devono necessariamente appoggiarsi alla cedente (…) che continua a fornire alla cessionaria (…) gli ulteriori servizi necessari al funzionamento, primi tra tutti quelli informatici.
I servizi ceduti, pertanto, non consentono di qualificare come ramo autonomo la porzione dell’azienda ceduta, determinando al contrario il contratto di cessione uno smembramento di frazioni o porzioni non autosufficienti e non coordinate tra loro. Pertanto, l’operazione di trasferimento in esame si è venuta a configurare come un semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro in una pluralità di rapporti individuali con altro soggetto, sostituzione tuttavia che sia la normativa comunitaria, sia la legislazione nazionale hanno inteso evitare.
Sicché, in altre parole, un “ramo” d’azienda composto da personale che per proseguire il proprio lavoro ha dovuto e deve necessariamente fare riferimento a quanto rimasto presso la società cedente, non consente di qualificare come funzionalmente autonoma l’attività ceduta. E tutto ciò in violazione dell’art. 2112 c.c.
Deve infatti ribadirsi che per l’operatività di detta disposizione normativa il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente anteriormente alla cessione, perché l’indagine non deve basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto, ma all’organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto.
La conseguenza della mancata presenza, nel caso in questione, del ramo d’azienda (come sopra inteso) comporta che seppure definito come trasferimento di esso, il contratto tra (…) e (…) non ricade – quanto agli effetti sui lavoratori – nell’ambito applicativo dell’art. 2112 c.c.; i ricorrenti, cioè, non possono risultare trasferiti presso la società cessionaria, poiché la fattispecie rientra nella diversa ipotesi di cessione del contratto, priva però del necessario consenso di una delle parti e come tale anch’essa senza effetto.
I ricorrenti devono pertanto intendersi ancora dipendenti della cedente (…), sicché a quest’ultima va ordinato di ripristinare il rapporto di lavoro con tutti i venti ricorrenti, adibendo gli stessi alle mansioni svolte prima della cessione o comunque a mansioni equivalenti al loro livello di inquadramento.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico di entrambe le parti convenute, in solido.
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