TRIBUNALE DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI – Ordinanza 02 maggio 2013
Licenziamento disciplinare – Illegittimità – Uso dell’ordinaria diligenza da parte del lavoratore – Esclusione – Fondamento
Osserva
Prima di affrontare il merito del ricorso, corre l’obbligo di determinare, in via pregiudiziale, quale sia la normativa sostanziale applicabile nella specie. Come noto, la legge n 92 del 28.6.2012 recante “Disposizioni in malaria di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, ha modificato profondamente, tra l’altro, la disciplina dei licenziamenti del personale delle aziende con più di 15 dipendenti, ristrutturando, in particolare la disciplina delle sanzioni applicabili, confinando in uno spazio tendenzialmente residuale la tutela in forma specifica costituita dalla reintegra nel posto di lavoro. A completamento di tale disegno, l’art. 1, commi 47 e ss. ha anche introdotto un rito speciale accelerato, costituito da una fase a cognizione sommaria e da una eventuale fase successiva a cognizione piena per decidere le controversie in tema di impugnazione dei licenziamenti ai sensi dell’art. 18 St. lav..
Risulta sostanzialmente pacifica l’affermazione per cui il procedimento previsto ex art. 1 commi 48 e ss, legge n. 92/2012, per l’impugnativa dei licenziamenti con richiesta di applicazione dell’art. 18 St. Lav., si applica dalla data di entrata in vigore della legge medesima, del 18.7.2012, e quindi trova applicazione ai ricorsi depositati dopo tale data. Diversamente, la sola normativa sostanziale contenuta nella legge si applica ai licenziamenti intimati dopo la data predetta. Prevale dunque l’affermazione per cui al fine del tempus regit actum, bisogna avere riguardo solo alla data di deposito del ricorso, in raffronto col giorno di entrata in vigore del ius superveniens (18 luglio 2012); diversamente, la nuova disciplina sostanziale inerente il regime sanzionatorio di cui al novellato art. 18 dovrà applicarsi ai soli licenziamenti intimati in data successiva al 18 luglio 2012. Nel caso di specie, si tratta di giudizio instaurato dopo il 18.07.2012, avente ad oggetto la richiesta di reintegra nel posto di lavoro conseguente ad un licenziamento individuale per giusta causa, intimato prima del 18.07.2012, tale giudizio riguardando una ipotesi di licenziamento in ambito di tutela reale è stato instaurato, quindi, correttamente con il rito speciale, tenuto conto che l’individuazione della fattispecie, ai fini delle questioni di mero rito, va compiuta secondo il criterio della prospettazione, cioè in base alla domanda e, in particolare, con riferimento al petitum e alla causa petendi: con essa esposti, indipendentemente dalla relativa fondatezza. La domanda attiene però ad un licenziamento intimato prima dell’entrata in vigore della riforma dell’art. 18 e dunque, regolato dalla disciplina sostanziale previdente.
Tanto assodato sul piano processuale, nel merito la domanda avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità dei licenziamenti intimati è fondata e merita di essere accolta.
L’art. 7 della legge 300/1970, in una prospettiva di evidente tutela del lavoratore, pone all’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro puntuali limiti, sia di ordine sostanziale sia di ordine propriamente procedurale, che possono definirsi in contrapposizione, meramente logica, a quelli direttamente desumibili dall’art. 2106 c.c., norma fondante il potere disciplinare del datore – di carattere esterno.
Il sistema di tutela delineato dalla norma statutaria risulta successivamente esteso ai licenziamenti disciplinari, per effetto di Corte Costituzionale n. 204 del 1982, che, com’è noto, ha dichiarato l’illegittimità dei primi tre commi dell’art. 7 legge 300/70 interpretati come inapplicabili alle sanzioni espulsive: risultano estese, quindi, al recesso, quante volte esso sia volto a sanzionare mancanze del lavoratore ed assuma quindi natura ontologicamente disciplinare, le garanzie relative alla predeterminazione e pubblicità della normativa disciplinare, alla previa contestazione dell’addebito ed al carattere indefettibile della difesa del lavoratore (cfr. e plurimis Cass. 12526/2004, Cass. 5855/2003).
E’ stato compito della successiva elaborazione giurisprudenziale precisare ulteriormente, in via interpretativa, il contenuto dei singoli obblighi, fermo restando, ovviamente, a carico del datore, in linea con i principi generali in materia (art. 2697, comma 1, c.c.), l’onere di fornire positiva dimostrazione del rispetto dei limiti sostanziali e procedurali cui la normativa richiamata -o, in aggiunta, la contrattazione collettiva – condiziona il legittimo esercizio del potere disciplinare.
Altrettanto ovvio è che il potere giudiziale di accertamento della legittimità delle sanzioni disciplinari resta pur sempre vincolato (art. 112 c.p.c.) dalle allegazioni delle parti le contestazioni del lavoratore, dunque, fissano e delimitano il tema di indagine, senza che sia data al giudicante la possibilità di muovere, in via autonoma, alla ricerca di profili di illegittimità delle sanzioni che non siano stati oggetto di specifica denunzia.
Così sinteticamente tracciate le coordinate di riferimento, si evidenziano nella procedura di irrogazione del licenziamento – la valutazione della cui legittimità
assume carattere logicamente prioritario rispetto alle ulteriori domande qui esaminate- macroscopiche violazioni del dettato normativo.
La comunicazione di licenziamento, inviata all’istante prima con telegramma del 4.5.2012 e poi con successiva raccomandata del 4.05.2012 (in atti), espressamente individua quale causale giustificativa del recesso l’assenza ingiustificata del dipendente dal lavoro: “Le intimiamo il licenziamento per giusta causa (licenziamento disciplinare), …. dovuto alla seguente causa: susseguirsi di assenza ingiustificate dal lavoro. Tale comportamento, tenuto conto dei richiami di cui è già stato oggetto, è così grave da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro, avendo creato un’insanabile frattura nel rapporto fiduciario tra noi intercorrente. A ciò si aggiunga che il Suo reiterato assentarsi dal lavoro ha cagionato notevoli ritardi nelle consegne previste …e la conseguente perdita di future commesse…” – cfr. nota in data 4.05.2012.
Con successiva nota del 11.05.2012 la società, “ritenuta inefficace la precedente comunicazione notificata in data 9-05.2012, a cui l’azienda non ha dato seguito, a causa dell’intervenuta certificazione medica” intima nuovo licenziamento per giusta causa ( cfr. oggetto della nota innanzi detta) individuando quale causale giustificativa del recesso L’assenza ingiustificata del dipendente dal lavoro a decorrere dal 10.05.2012, giorno successivo alla scadenza della prognosi, coincidente con la data della visita effettuata dal medico fiscale dell’INPS in data 9.05.2012.
Si comprende dal tenore della nota innanzi detta, che la S. s.r.l., ricevuta la certificazione attestante lo stato di malattia del lavoratore, ha ritenuto di non dar seguito al primo licenziamento e ne ha irrogato un secondo, sebbene l’orientamento della Suprema Corte, ormai consolidato, sia nel senso che “lo stato di malattia dei lavoratore preclude al datore di lavoro l’esercizio del potere di recesso solo quando si tratta di licenziamento per giustificato motivo; esso non impedisce, invece, l’intimazione del licenziamento per giusta causa, non avendo ragion d’essere la conservazione del posto di lavoro in periodo di malattia di fronte alla riscontrata esistenza di una causa che non consente la prosecuzione neppure in via temporanea del rapporto.” – Cass. Civ. Sez. L, Sentenza n. 11674 del 01/06/2005 (Rv. 581766) – . Orbene, anche a prescindere da ogni considerazione circa i rapporti tra i due licenziamenti, gli stessi sono entrambi illegittimi per le considerazioni che ci si appresta ad esporre.
Si veda sulla natura dei licenziamenti irrogati nel caso che ci occupa il seguente arresto della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. L, Sentenza n. 14326 del 09/08/2012, Rv. 623495):
Il licenziamento per giusta causa, irrogato per una condotta tenuta dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro e ritenuta dal datore di lavoro tanto scorretta da minare il vincolo fiduciario, è un licenziamento ontologicamente disciplinare, a prescindere dalla sua inclusione tra le misure disciplinari detto specifico regime del rapporto, e deve essere assoggettato, quindi, alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell’art. 7 Stat. lav. circa la contestazione dell’addebito e il diritto di difesa.
In altri termini, è diventato jus receptum che qualunque tipo di licenziamento – i cui presupposti si caratterizzino non esclusivamente in ragione della loro riferibilità o meno ad un comportamento del lavoratore, quanto per l’incidenza (immediata o differita) che essi hanno di per sé sulla possibilità di prosecuzione del rapporto (sia quindi esso irrogato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo o situazioni simili) – è da considerare di tipo disciplinare e, come tale, assoggettato alle garanzie di cui all’art. 7 St. lav. Si è, pertanto, pervenuti ad affermare la natura “ontologica” del licenziamento disciplinare, come riferito ai comportamenti imputabili a titolo di colpa (intesa in senso generico) al lavoratore e destinato a coprire sia l’area del licenziamento per giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento), sia la maggior parte di quella del licenziamento per giusta causa e non irrogabile senza le garanzie previste per le misure (disciplinari) non espulsive, consistenti in particolare nella contestazione preventiva dell’addebito e sull’audizione e difesa del lavoratore incolpato, divenute garanzie di generale applicazione per qualsiasi licenziamento (ontologicamente) disciplinare, anche alla luce delle successive sentenze della Corte costituzionale n. 427 del 1989 e 364 del 1901, che hanno ribadito il principio affermato nella menzionata sentenza n. 204 del 1982, estendendone ulteriormente la portata applicativa.
Nel frattempo si è anche affermato l’indirizzo secondo cui, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1982 cit., la tutela reale tre integrazione nel posto di lavoro) assicurata al lavoratore dall’art. 18, primo comma, della legge n. 300 del 1970 si estende anche al caso di licenziamento disciplinare intimato – in violazione dell’art. 7 della stessa legge – senza il rispetto delle garanzie del contraddittorio e di difesa o prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa (vedi, per tutte: Casa. 7 maggio 1983, n. 3130: Cass. 12 luglio 1983, n. 4719; Cass, 19 giugno 1998, n. 6135; Cass. 21 giugno 2007, n. 14487).
In questo quadro, nessun dubbio ponendosi in ordine al carattere disciplinare di entrambi i provvedimenti – in realtà nemmeno negato o contestato dalla resistente – volto a sanzionare l’inadempimento da parte del dipendente della prima e fondamentale obbligazione (esecuzione della prestazione lavorativa) scaturente dal rapporto di lavoro, è del tutto agevole rilevare, in accoglimento delle specifiche deduzioni al riguardo formulate dal ricorrente, come l’irrogazione della, sanzione non sia stata in alcun modo preceduta dalla necessaria contestazione delle mancanze oggetto di addebito.
Ne viene ad essere violato, con ogni evidenza, il disposto di cui al comma 1 dell’art. 7 legge 300/1970, con conseguente illegittima compressione delle garanzie difensive del lavoratore.
L’evidenziato profilo di illegittimità di entrambi i recessi intimati esime il giudicante da ogni ulteriore valutazione in merito e fonda la condanna della convenuta (cfr. anche Cass. SU 3965/2004) ex art. 18 legge 300/1970, in ragione della pacifica consistenza dimensionale della medesima alla reintegrazione dell’istante nel posto di lavoro.
Relativamente alla quantificazione del risarcimento dei danni, si ritiene equo, alla luce della cognizione sommaria propria della presente fase, operare una riduzione del presuntivo ammontare del danno (tutte le mensilità maturate dalla data del licenziamento alla data dell’effettiva reintegra), dovendosi rilevare che il comportamento del ricorrente ha certamente aumentato il danno, danno che poteva essere evitato usando l’ordinaria diligenza di cui all’art. 1227 comma 2 c.c. – cfr. Corte di Cassazione – Lavoro Sentenza 16076 del 21.09.2012. Il Tribunale ritiene, ormai con una giurisprudenza consolidata, che il lavoratore, licenziato senza giusta causa, deve collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre, ex art. 1127 c.c., il pregiudizio subito (ex multis Cass. 18.2.1960 n. 1208; Cass. 11 novembre 2002 n. 15838; Cass. 22 agosto 2003 n. 12352). Nel caso di specie non risulta provato che, dopo il licenziamento, il lavoratore si sia iscritto nelle liste di collocamento ovvero nelle liste dei disoccupati aspiranti ad un posto di lavoro, né risulta che si sia adoperato per la ricerca di esso. Peraltro, l’attivazione di un procedimento cautelare in assenza del presupposto del periculum in mora ha, ulteriormente, dilatato i tempi di definizione del presente procedimento, aggravando la posizione debitoria della società anche la detta circostanza va tenuta in debita considerazione.
Alla luce di quanto innanzi esposto, il risarcimento può determinarsi, tenuto conto della durata del procedimento cautelare e del difetto di diligenza del lavoratore, nella misura minima di 5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari a complessivi £ 965,00 – come risultante dalla busta paga relativa al mese di febbraio 2012 -: sulla somma così determinata sono dovuti gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto al saldo.
Alla pronuncia reintegratoria, consegue poi ex lege la condanna della resistente al versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali in relazione al periodo descritto.
Appare pienamente giustificata, anche ai sensi dell’art. 92 c.p.c. nuova formulazione, la compensazione integrale delle spese di lite, in ragione degli accertamenti oggetto di causa e tenuto conto che il licenziamento viene dichiarato illegittimo per una ragione di natura esclusivamente formale, mentre nel merito le contestazioni formulate al lavoratore appaiono, alla luce della cognizione sommaria propria della presente fase, almeno in parte fondate.
P.Q.M.
Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, quale giudice del lavoro, letto l’art. 1 commi 47 e segg. l. 92/2012, così provvede:
1. dichiara la illegittimità dei licenziamenti intimati all’istante in data 4.05.2012 e 11.05.2012 e per l’effetto:
2. condanna parte convenuta alla reintegrazione di F.R. nel posto di lavoro;
3. condanna parte convenuta al risarcimento dei danni subiti dall’istante in misura in misura pari ad € 4,825,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto fino al saldo, nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale, come in motivazione specificato;
4. compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
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