Tribunale di Teramo sentenza n. 43 depositata il 24 gennaio 2018
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – ASSICURAZIONE PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO E PER LE MALATTIE PROFESSIONALI – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO O DEI TERZI – LIMITI – COMPORTAMENTO COLPOSO DEL LAVORATORE – ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO
FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con ricorso depositato in data 17.2.2015 Di Pi. Ma. ha convenuto in giudizio la società EA Snc di An. Ba. & De Be. Do. per ivi sentire: “accertare e dichiarare la responsabilità della E. snc di An. Ba. & De Be. Do. nella causazione dell’infortunio occorso a Di Pi. Ma. e, conseguentemente, condannare la medesima società E. snc di An. Ba. & De Be. Do., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento di tutti i danni subiti dal ricorrente nella complessiva somma di Euro 129.923,00, o a quella somma maggiore o di quella minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed agli interessi legali dal sinistro all’effettivo soddisfo; nonchè al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa”.
A sostegno della domanda riferiva che il giorno 28/08/2013 alle ore 11,00, mentre si trovava nel cantiere di una palazzina posta al Lungomare Sirena di Tortoreto Lido a svolgere le mansioni cui era adibito, inciampava su un oggetto metallico presente sulla pavimentazione, non visibile a causa della polvere e degli altri materiali esistenti sul pavimento e cadeva a terra; immediatamente trasportato presso il PS di Sant’Omero, gli veniva diagnosticato un ” trauma disorsivo della spalla sinistra”; l’incidente veniva denunciato all’Inail che gli riconosceva una invalidità temporanea di gg. 306, con indennizzo di Euro 10.327,77.
Sosteneva che tale infortunio aveva generato una inabilità temporanea di 306 giorni ed una invalidità permanente del 18%, con conseguente diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per Euro 107.828,00, oltre al danno esistenziale per Euro 20.000,00, ed Euro 1.595,00 per spese mediche documentate ed Euro 500,00 forfettarie.
1.2. Si costituiva in giudizio la E. snc contestando il fondamento della domanda e chiedendo l’autorizzazione alla chiamata della Compagnia assicurativa A. spa Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni Movimento Cooperativa – d’ora in poi denominata solo A. spa – al fine di essere garantita nel caso di accoglimento delle domande di risarcimento dei danni proposte nei suoi confronti dal ricorrente, in virtù di polizza assicurativa R.C. n. (omissis…).
1.3. Si costituiva in giudizio l’A. contestando l’azionabilità della polizza assicurativa, ritenendo che la stessa riguardava solo l’ipotesi di regresso INAIL, contestando comunque nel merito la domanda.
1.4. Così radicatosi il contraddittorio, la causa è stata istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale, è stata disposta CTU medico legale, al termine della quale è stata fissata la presente udienza per discussione con termine per note.
2. Premessa di carattere generale
Il ricorrente agisce al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale (danno biologico, danno morale, danno esistenziale, invalidità permanente temporanea pari a 306 giorni) e del solo danno emergente pari ad Euro 1.595,00 per spese mediche documentate ed Euro 500,00 per spese forfettarie, subito a seguito dell’infortunio occorso in data 28.8.2013 mentre si trovava nel cantiere di una palazzina posta al Lungomare Sirena di Tortoreto Lido, intento allo svolgimento della propria prestazione lavorativa alle dipendente della società E. snc.
Valga sin d’ora sottolineare che nel ricorso introduttivo non viene richiesto nulla a titolo di lucro cessante, non essendo formulata alcuna allegazione o deduzione al riguardo, con la conseguenza che la domanda di risarcimento di tale voce di danno, pari ad Euro 20.000,00 contenuta nelle note conclusive è evidentemente inammissibile, in quanto del tutto nuova.
Tanto premesso in ordine ai confini della domanda, sulla dinamica dell’infortunio non c’è alcuna contestazione.
Deve, dunque, ritenersi pacifico che il ricorrente, mentre si trovava nel cantiere di una palazzina posta al Lungomare Sirena di Tortoreto Lido a svolgere le mansioni di operaio a cui era adibito, inciampava su un oggetto metallico presente sulla pavimentazione, non visibile a causa della polvere e degli altri materiali esistenti sul pavimento e cadeva a terra.
Dalla documentazione in atti emerge che subito dopo l’incidente veniva trasportato presso il PS di Sant’Omero, dove li veniva diagnosticato un ” trauma distorsivo della spalla sinistra”.
L’incidente veniva poi denunciato all’Inail che gli riconosceva una invalidità temporanea di gg. 306, con indennizzo complessivo pari alla somma di Euro 39.375,44.
In punto di diritto è noto che l’art. 2087 c.c. obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità psico – fisica dei propri dipendenti imponendogli l’adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene alla salute nell’ambiente e in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva.
Sul piano processuale, la natura contrattuale dell’obbligo in esame comporta che il riparto degli oneri probatori nella domanda di risarcimento dei danni da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 c.c. circa l’adempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che il lavoratore deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione e spetta, invece, successivamente, al datore di lavoro, per essere esentato da responsabilità, provare la riconducibilità del danno ad una causa a lui non imputabile e, quindi, di aver adempiuto all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.
Al riguardo, è principio consolidato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (cfr., fra le tante Cass., 10 gennaio 2013 n. 536; Cass. 23 aprile 2009 n. 9689; Cass. 10 settembre 2009 n. 19494; Cass. 25 febbraio 2011 n. 4656). Dunque, la condotta imprudente posta in essere dal lavoratore, il quale sia rimasto vittima di infortunio, non è di per sè sufficiente ad escludere totalmente la colpa del datore di lavoro, il quale sarà chiamato a rispondere dell’infortunio a titolo di concorso ove vi sia stata violazione dell’art. 2087 c.c.; restando esclusi soltanto quegli eventi di carattere abnorme ed eccezionale tali da apparire, ad una valutazione ex ante, inverosimili.
Trasponendo tali principi di diritto al caso di specie, in ordine al nesso di causalità è possibile affermare che il danno riportato dal ricorrente è conseguenziale all’infortunio subito dallo stesso nel cantiere presso cui stata lavorando, a causa della caduta dovuta alla presenza di un oggetto metallico sul pavimento, non visibile a causa della polvere o di altri materiali presenti sul pavimento.
Di conseguenza, a fronte della prova offerta dal ricorrente circa l’esistenza dell’obbligazione lavorativa (peraltro non contestata), l’esistenza del danno (cfr. documentazione medica), e la sussistenza del nesso di causalità tra la prestazione lavorativa ed il danno subito, la società datrice di lavoro non ha sufficientemente provato di aver adottato ogni misura utile ad evitare il danno ed in particolare, non ha dimostrato di aver sufficientemente provveduto alla idonea pulizia del cantiere presso cui il ricorrente stava lavorando, obbligo sullo stesso incombente che se correttamente adempiuto avrebbe certamente evitato l’infortunio.
Ai sensi dell’allegato XIII del D.Lgs. n. 81 del 2008, infatti, i pavimenti dei locali dei cantieri non devono presentare protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi; essi devono essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli. Le superfici dei pavimenti, delle pareti e dei soffitti nei locali devono essere tali da poter essere pulite e intonacate per ottenere condizioni appropriate di igiene.
Peraltro, costituisce una generica misura di sicurezza “innominata”, ricavabile dall’articolo 2087 c.c., che il datore di lavoro, durante l’esecuzione di lavori che comportano produzione di residui (pezzi di legno, laterizi), provveda a mantenere puliti e sgombri gli spazi di lavoro affinchè ci si possa muovere in sicurezza.
Nella fattispecie concreta è emerso che presso il cantiere dove è accaduto l’incidente stava lavorando in quel momento solo la società E. snc, ed è stato altresì precisato che il cantiere non era pulito ed era nelle medesime condizioni già da un paio di mesi.
Si richiama, sul punto, quanto affermato dal teste Di. Br.: “Ero nel cantiere a Tortoreto Lido Lungomare Sirena, il giorno dell’incidente. Il giorno del 28.8.2013 io stavo tamponando ed il ricorrente stava raccogliendo i calcinacci dentro i secchi, ha preso i secchi ed è inciampato su dei tondini di ferro, cadendo all’indietro. Io ho anche sentito il rumore dei tondini spostati dal piede del ricorrente. Nel cantiere c’era la polvere, i calcinacci, non si vedeva niente, quindi credo che non li avrà notati. C’era il cemento per terra. Non so quanti tondini c’erano. Il ricorrente si è messo ad urlare una volta caduto, diceva che non si poteva muovere, quindi io l’ho aiutato a scendere e l’ho portato al pronto soccorso. Stavamo nel cantiere da1-2 mesi prima. Della pulizia del cantiere non mi dovevo occupare io. A fine giornata noi portava via solo i nostri calcinacci. Quando siamo arrivati il cantiere era nelle stesse condizioni. In quel momento il cantiere era ancora in fase iniziale, era stato realizzato solo il primo piano dalla nostra ditta. In quel momento stavamo solo noi a lavorare per quel cantiere. La palazzina fino al primo piano l’abbiamo fatta noi, cioè la ditta Edil Due. La società ha realizzato la palazzina da zero. Il giorno dell’incidente eravamo il ricorrente, il figlio ed io “.
Orbene, alla luce delle precedenti considerazioni, non vi è dubbio che l’infortunio in oggetto si è verificato per colpa della società resistente, che non ha provveduto a garantire la corretta pulizia del cantiere ai sensi dell’articolo 2087 c.c. e dell’allegato XIII del D.Lgs. n. 81 del 2008, così determinando la caduta del ricorrente e le conseguenti lesioni psico-fisiche.
Tanto premesso in ordine alla responsabilità della società E. snc, è necessario comprendere i termini della pretesa che il ricorrente può azionare nei confronti del proprio datore di lavoro, in quanto, trattandosi di un infortunio sul lavoro, opera l’esonero di cui all’articolo 10 del D.P.R. n. 112/1965.
L’esonero da responsabilità riconosciuto al datore di lavoro fino all’ammontare del danno indennizzato (o indennizzabile) dall’INAIL opera, infatti, ex lege e non può essere condizionato da una scelta discrezionale del lavoratore (l’esonero non può, ad esempio, venir meno a seguito dell’inerzia del lavoratore che abbia lasciato decorrere il termine prescrizionale per richiedere le prestazioni INAIL).
In altre parole il lavoratore non può legittimamente disporre, annullandolo, del diritto del datore di lavoro al parziale esonero della responsabilità civile ex art. 10 D.P.R. n. 1125/65.
Sia l’INAIL che il datore di lavoro sono debitori della sola prestazione posta dalla legge a carico di ciascuno di essi, senza alcuna solidarietà e con esclusione della possibilità per il lavoratore di richiedere l’integrale risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro, anche nel caso di mancata liquidazione dell’indennizzo INAIL.
L’art. 10 sdoppia, infatti, la tutela del danneggiato in due obbligazioni divisibili e non solidali, con l’esonero parziale del datore di lavoro che, anche in caso di esclusiva responsabilità, non può essere condannato a pagare l’intero danno, ma solo il differenziale costituito dalle somme eccedenti le indennità erogate dall’INAIL.
“La norma di cui all’art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965, commi 6 e 7, prevede che il risarcimento spettante all’infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l’ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall’INAIL in dipendenza dell’infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l’intero danno, sia le indennità. Tale danno “differenziale” deve essere, quindi, determinato sottraendo dall’importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli art. 1223 e ss., 2056 ss c.c.) quello delle prestazioni liquidate dall’INAIL, riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione” (Cass., 25 maggio 2004, n. 10035).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato o tecnopatico e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, riguarda soltanto le componenti del danno coperte dalla stessa assicurazione obbligatoria la cui individuazione, peraltro, è mutata nel corso degli anni (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3616/1996; 859/1997;8182/2001; 1114/2002; 16250/2003 e da ultimo 10834/2010).
Conseguentemente detta limitazione, con riferimento alle fattispecie che, come la presente, ricadono ratione temporis nel vigore della disciplina di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000 art. 13, riguarda non soltanto il danno patrimoniale, derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica (cfr il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 74), coperto dall’assicurazione obbligatoria, ma anche il danno non patrimoniale (ivi compreso quello alla salute o biologico).
Le considerazioni che precedono evidenziano altresì che l’art. 10 del D.P.R. 1124/65 costituisce un precetto di necessaria applicazione, anche in assenza di specifica allegazione, trattandosi di norma che prevede l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile: se non si applicasse l’art. 10 del D.P.R.. n. 1124/65 il datore di lavoro dovrebbe rispondere per intero del danno nonostante l’inclusione del danno biologico nell’ambito dell’assicurazione INAIL, dal momento che nessun esonero è previsto nell’art. 13 del D.Lgs. 38/00.
Per quanto detto, in conclusione, in caso di azione “contrattuale” formulata per un’ipotesi di responsabilità ex art. 2087 c.c. la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del datore di lavoro anche senza ulteriori specifiche indicazioni non potrà che essere qualificata in termini di risarcimento del danno differenziale e complementare.
La categoria del danno biologico differenziale trova fondamento nella formulazione dell’art. 13 d.lgs. 38/00 che non definisce il danno globale alla persona, ma introduce esclusivamente la definizione di danno biologico coperto dall’INAIL fondata sugli elementi identificativi espressamente indicati, ossia la sussistenza di una lesione all’integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico legale secondo le ricadute di effetti dinamico relazionali di un uomo medio (in tal senso da ultimo Cass. 12326/09).
L’assenza di riconducibilità della definizione di cui all’art. 13 citato -peraltro espressa in termini di indennizzo- a tutto il c.d. danno non patrimoniale lascia spazio alla possibilità che al soggetto residui la lesione di interessi della persona diversi da quelli espressamente indicati dalla norma.
D’altra parte anche riguardo “agli aspetti dinamico relazionali”, di cui pure parla genericamente l’art.13 del d.lgs. 28/2000, va ribadito che la tutela INAIL è concepita solo con riferimento a criteri oggettivi e predeterminati uguali per tutti e copre, per tale aspetto, solo i riflessi indotti dalla menomazione della capacità psico-fisica in modo indifferenziato su tutti i soggetti infortunati o tecnopatici; mentre gli aspetti propriamente soggettivi e la c.d personalizzazione del danno restano affidati alla tutela risarcitoria di diritto comune e non sono comprese nella tutela INAIL, ponendosi semmai il problema della loro risarcibilità come differenziale (rilevante per la sua diversa dimensione quantitativa) oppure come complementare (ossia rilevante sotto il profilo qualitativo).
Alla luce di tali premesse il danno ulteriore e diverso da quello liquidato dall’INAIL può riguardare danni o meglio di voci di danno che risultano risarcibili secondo le comuni regole dettate dall’art. 1218 c.c. definiti quali:
– danni complementari non riconducibili alla copertura assicurativa obbligatoria, quali ad esempio il danno biologico da invalidità temporanea, il biologico fino al 5%, il patrimoniale fino al 15%, la personalizzazione del danno non patrimoniale;
– danni differenziali quantitativi correlati essenzialmente alla minor quantificazione economica del danno da invalidità permanente operata dalle tabelle INAIL del 2000 rispetto a quella operata dalle tabelle create ed applicate dalla giurisprudenza in materia di responsabilità civile, che costituiscono, ormai, diritto vivente.
E’ perciò possibile che l’indennizzo erogato o erogabile dall’INAIL non escluda la possibilità per il danneggiato di ottenere l’integrale ristoro del maggior danno subito quantificato secondo i criteri civilistici.
Secondo una recente Corte di Cassazione (sez. lav., 21/11/2017, n. 27669) “In tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno -conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicchè, dall’ammontare complessivo del danno biologico va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 D.Lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale”.
In materia di danno non patrimoniale è stato altresì precisato che in caso di infortunio sul lavoro la liquidazione del danno biologico differenziale da invalidità permanente dovuto dal danneggiante alla vittima “- attesa la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale – va effettuata: a) monetizzando il danno secondo i criteri della responsabilità civile, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione per la personalizzazione del risarcimento e il danno morale; b) sottraendo dal credito risarcitorio civilistico l’importo pagato dall’Inail per la stessa voce” (Cassazione civile, sez. VI, 30/08/2016, n. 17407).
Tanto premesso, è ora possibile passare all’esame dei singoli profili di danno richiesti.
Per quanto riguarda il danno biologico il CTU ha stimato una percentuale del 10% “residuano postumi caratterizzati da limitazione funzionale articolare della spalla sinistra di grado medio, con ipostenia e ipotonotrofia del cingolo scapolo omerale; esiti cicatriziali da accesso artroscopico; riduzione della sensibilità da stiramento del plesso brachiale sul territorio C8-T1 di sinistra”.
La CTU non veniva contestata dalle parti nel termine all’uopo fissato.
Applicando le tabelle di Milano 2014 e tenendo in considerazione l’età del ricorrente al momento dell’incidente (56 anni), l’importo riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale è pari ad Euro 20.012,00, con una personalizzazione massima del 49%, pari ad Euro 29.818,00.
Il punto di danno biologico è pari a 2.190,70, mentre il punto di danno “non patrimoniale” complessivo è, dunque, pari a 2.760,28.
In virtù del principio di compensazione tra poste omogenee, l’importo versato dall’INAIL deve essere scomputato non su tutta la quota del danno non patrimoniale, derivante dalla applicazione delle Tabelle di Milano, ma solo sulla parte del danno non patrimoniale riferito al danno biologico, da determinare attraverso il punto biologico di invalidità (nel caso di specie 2.190,70).
Il valore del “punto” di invalidità per “danno non patrimoniale” è, infatti, comprensivo del danno biologico permanente relativo all’integrità psicofisica aumentato di una percentuale ponderata della componente di danno non patrimoniale relativa alla “sofferenza soggettiva” (c.d. danno morale).
L’ammontare del danno biologico puro derivante dalle Tabelle di Milano è, dunque, pari ad Euro 15.882,55, quello a titolo di danno “morale” (danno complementare) è quindi pari ad Euro 4.129,45.
Al primo importo va detratto quanto già versato al ricorrente dall’INAIL quale valore capitale della rendita, pari ad Euro 29.601,12 (secondo il prospetto INAIL depositato dalla società resistente in data 2.3.2016), addirittura superiore a quanto dovuto in base alle Tabelle di Milano, e ciò evidentemente perchè l’INAIL ha riconosciuto una percentuale di invalidità superiore.
Ma sul punto nulla ha allegato e dedotto la parte ricorrente, essendo suo interesse ed onere definire compiutamente i termini del danno differenziale da riconoscere allo stesso. Nè la società resistente ha fornito ulteriori precisazioni in ordine alla pratica INAIL ed in ordine alla percentuale di invalidità dall’ente riconosciuta. Vi è solo un riferimento del CTU alla percentuale del 10% che l’INAIL avrebbe riconosciuto, ma che appare inverosimile stante la rendita riconosciuta.
In ogni caso per quanto interessa in questa sede non può essere riconosciuto alcun importo al ricorrente a titolo di danno differenziale.
Le voci di danno complementare che, invece, possono essere considerate in questo procedimento in relazione alla domanda svolta in ricorso sono il danno morale, la personalizzazione del danno biologico e l’invalidità temporanea.
Si tratta di pregiudizi estranei alla tutela INAIL, all’esonero del datore ed all’area del danno differenziale, che vengono risarciti, in base alle regole generali, nei seguenti termini.
Per quanto attiene l’inabilità temporanea, è necessario distinguere l’indennità riconosciuta dall’INAIL da quella pretesa a titolo di danno biologico temporanea.
Nel sistema assicurativo, infatti, l’erogazione dell’indennità giornaliera per inabilità temporanea da parte dell’INAIL è una prestazione economica, a carattere assistenziale, diretta ad assicurare al lavoratore i mezzi di sostentamento, finchè dura l’inabilità che impedisce totalmente e di fatto all’infortunato di rendere le sue prestazioni lavorative.
Va, quindi, riconosciuto il danno biologico temporaneo (diverso, dunque, da quello patrimoniale da invalidità temporanea compreso nell’assicurazione INAIL) che il CTU ha accertato in un complessivo di giorni 306 di cui:
Inabilità temporanea al 75% gg. 60
Inabilità temporanea al 50% gg.123
Inabilità temporanea al 25% gg.123
Il parametro di riferimento è pari a 96, aumentabile del 50% fino a 145, aumento che nel caso di specie non si ritiene di effettuare, non essendo emerso alcun elemento utile ed idoneo a consentire un rafforzamento in aumento del dato base.
Ed infatti, le dedotte modifiche alle proprie abitudini di vita, oltre che generiche, sono rimaste del tutto indimostrate, anche in considerazione del fatto che la lesione ha riguardato il braccio sinistro del Di Pi., mentre lo stesso è risultato essere destrimane e non mancino.
In ordine agli attacchi di panico di cui riferisce la moglie del ricorrente non vi è alcun riscontro documentale, non essendo stati prodotti certificati medici in tal senso e non essendo emerso nulla al riguardo in sede di CTU.
Quindi, applicando le tabelle milanesi aggiornate al 2014, il danno temporaneo risulta in:
Inabilità temporanea al 75% gg. 60 (Euro 4.320,00)
Inabilità temporanea al 50% gg.123 (Euro 5.904,00)
Inabilità temporanea al 25% gg.123 (Euro 2.952,00)
per complessivi Euro = 13.176,00.
A titolo di personalizzazione del danno non patrimoniale spetta poi, in via equitativa, un importo di Euro 2.001,20 pari al 10% dell’importo di Euro 20.012,00, determinato considerando l’età del lavoratore al tempo dell’occorso, la natura dei postumi accertati (la circostanza che il ricorrente non fosse mancino) e la non rilevante (o comunque grave) incidenza sulle abitudini di vita.
A titolo di danno complementare spetta dunque l’importo complessivo pari ad Euro 19.306,65 di cui:
– a titolo di danno “morale” Euro 4.129,45;
– personalizzazione Euro 2.001,20;
– danno temporaneo Euro 13.176,00.
Per quanto attiene il danno patrimoniale, come detto, nel ricorso introduttivo è stato richiesto esclusivamente il danno emergente pari alle spese sostenute per un importo di Euro 1.573,98 che è stato ritenuto congruo dal CTU, oltre alle spese future liquidare in sede di note conclusive in Euro 1.000,00.
Stante la genericità di tale ultima allegazione, si ritiene di dover riconoscere solo la somma di Euro 1.573,98, mentre nulla è dovuto a titolo di danno patrimoniale, inteso come lucro cessante, non essendo stata formulata alcuna deduzione e richiesta in sede di ricorso introduttivo e stante l’assoluta novità della richiesta in sede di note conclusive.
In definitiva sintesi spetta al ricorrente la somma complessiva di Euro 19.306,65 a titolo di danno complementare e l’importo di Euro 1.573,98 a titolo di danno patrimoniale (danno emergente).
La somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale, essendo liquidata con riferimento al valore della moneta risalente al gennaio 2014, data di redazione delle tabelle di Milano qui applicate, va maggiorata ai sensi dell’art. 429 co. 3 c.p.c.: a) del maggior danno da svalutazione liquidato sulla base della variazione percentuale degli indici ISTAT, intervenuta dalla data di redazione delle tabelle Milano fino ad oggi, b) degli interessi legali su detta somma, devalutata secondo la variazione degli indici ISTAT intervenuta dalla data del fatto (28.8.2013) sino alla redazione delle tabelle di Milano (gennaio 2014) e poi via via rivalutata anno per anno sino all’effettivo pagamento.
DOMANDA DI MANLEVA
L’assicurazione, terza chiamata in causa, ritiene la inoperatività ed inefficacia della polizza n. (omissis…) stipulata dalla E. snc con la A. spa e posta a fondamento della domanda di garanzia, ritenendo che la stessa operi solo in caso di azione di regresso dell’INAIL e nei confronti dei lavoratori non coperti da assicurazione INAIL.
L’eccezione della A. è infondata.
L’art.13 lett. B delle Condizioni Generali di assicurazione ( v. doc. n. 2 pag. n. 3), prevede quanto segue:
” Assicurazione della responsabilità civile verso i prestatori di lavoro. (R.C.O). La società si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare ( capitale, interessi e spese) quale civilmente responsabile :
1) ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e dell’art. 13 del Decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38, per gli infortuni ( escluse le malattie professionali) per i quali l’Inail sia tenuta ad erogare una prestazione, sofferti da prestatori di lavoro da lui dipendenti o da lavoratori parasubordinati assicurati ai sensi del predetti D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e Decreto Legislativo 23 febbraio 2000 n. 38 ed addetti alle attività per le quali è prestata l’assicurazione;
2) ai sensi del Codice Civile a titolo di risarcimento di danni non rientranti nella disciplina del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 e del Decreto Legislativo 23 febbraio 2000 n. 38 cagionati ai lavoratori di cui al precedente punto 1) per morte e per lesioni personali dalle quali sia derivata un invalidità permanente (escluse le malattie professionali) calcolata in base alla tabella delle menomazioni di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38.
L’assicurazione è prestata con una franchigia fissa ed assoluta di Euro 2600,00″.
Il caso di specie rientra nella previsione di cui al numero 2 dell’articolo 13 lettera B), in quanto nel presente giudizio la società E. snc è chiamata a risarcire il danno subito dal ricorrente in conseguenza dell’infortunio a titolo di danno differenziale e complementare, ossia per voci di danno differenti e diverse da quelle coperte dall’INAIL e di cui il datore di lavoro risponde secondo le regole ordinarie del diritto civile ex articolo 2087 c.c.
A nulla rileva che in base a tale disposizione, l’invalidità permanente debba essere calcolata in base alle tabelle delle menomazioni di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38, atteso che un conto è fissare i criteri di determinazione dell’invalidità, altro è stabilire le voci di danno risarcibili conseguenti all’invalidità, che come è evidente, nel caso di cui al numero 2 dell’articolo 13 lettera B), sono differenti da quelle riconosciute dall’INAIL (altrimenti la distinzione non avrebbe senso), essendo quelle di cui al codice civile (danno differenziale e danno complementare).
Atteso che il rischio assicurato nella suddetta polizza ricomprende proprio l’evento concretizzatosi nella presente controversia, la A. va condannata a manlevare la società E. snc per le somme che la società è tenuta a corrispondere al ricorrente (nulla viene detto sulle spese legali invece).
3. Previa compensazione della metà (stante l’accoglimento parziale della domanda), le spese di lite restano a carico dell’assicurazione ai sensi dell’art.1917 terzo comma Cod.Civ., a norma del quale, indipendentemente dalla stipulazione di un patto di gestione della lite, le spese del giudizio, nel quale sia stato condannato l’assicurato in favore del danneggiato vittorioso, integrano la prestazione dovuta dall’assicuratore e vanno ricomprese nel massimale di polizza (Cassazione civile, sez. I, 14 ottobre 1993, n. 10170).
Per gli stessi motivi le spese di consulenza tecnica d’ufficio, già liquidate con decreto, sono a carico dell’A..
Le spese di lite della società E. snc sono invece compensate, anche in ragione della denuncia tardiva dell’infortunio.
P.Q.M.
Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 296/2015 contrariis reiectis, così provvede:
– in accoglimento del ricorso dichiara la società E. snc in persona del legale rappresentante p.t. obbligata al risarcimento in favore del ricorrente delle seguenti voci di danno conseguenti all’infortunio del 28.8.2013: – Euro 19.306,65 a titolo di danno complementare, per i titoli meglio precisati in motivazione (oltre accessori di legge) – Euro 1.573,98 per le spese mediche sostenute, oltre accessori di legge;
– rigetta per il resto la domanda;
– in accoglimento della domanda di garanzia spiegata dalla E. SNC, in forza di polizza assicurativa n. (omissis…), condanna la A. spa in persona del legale rappresentante pro tempore, a tenere indenne la E. SNC delle somme che la stessa è tenuta a corrispondere al ricorrente in forza del primo punto;
– previa compensazione della metà, condanna la A. spa a rifondere al ricorrente le spese del giudizio, che liquida in Euro 2.342,00 (somma già compensata) oltre accessori di legge;
– compensa tra la E. SNC e la A. SPA le spese di lite;
– pone a carico della A. spa in via solidale tra loro le spese di consulenza tecnica d’ufficio, già liquidate con da separato decreto.
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