TRIBUNALE DI TRENTO – Ordinanza 25 agosto 2021, n. 211
Pensioni – Previsione che vieta il cumulo della pensione anticipata “quota 100” con i redditi da lavoro dipendente, qualunque sia il loro ammontare, ma consente di conservare detto trattamento pensionistico qualora i redditi da lavoro autonomo occasionale non superino il limite di 5000 euro lordi annui. – Decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 14, comma 3.
Rilevato in fatto
Con ricorso depositato in data 10 maggio 2021 B.M. ha proposto nei confronti dell’I.N.P.S.:
domanda di accertamento dell’insussistenza in capo all’Istituto del diritto alla ripetizione delle somme (pari a euro 26.294,70), che egli ha percepito nel periodo maggio 2019 – agosto 2020 a titolo di pensione anticipata ex art. 14 decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 conv. in legge 28 marzo 2019, n. 26 – cat. VO/COM (al netto dei redditi da lavoro su cui infra), ma che l’Istituto afferma di aver corrisposto indebitamente in quanto non cumulabili, ai sensi dell’art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019, con i redditi conseguiti dal ricorrente nell’ anno 2019 (per euro 1.099,47 lordi) e nell’anno 2020 (per euro 373,00 lordi), quali retribuzioni per le prestazioni eseguite nello svolgimento di rapporti di lavoro intermittente;
domanda di condanna dell’Istituto alla corresponsione, in favore del ricorrente, dei ratei della pensione anticipata ex art. 14, D.L. n. 4/2019 afferenti il periodo settembre – dicembre 2020 (compresa tredicesima), che l’Istituto non ha versato al ricorrente in ragione dell’incumulabilità ex art. 14, comma 3, decreto-legge n. 4/2019 con i redditi da lui conseguiti nell’anno 2020 (per euro 373,00 lordi), quali retribuzioni per le prestazioni eseguite nello svolgimento di un rapporto di lavoro intermittente.
E’ incontestato tra le parti che:
a) il ricorrente ha maturato, a far data dal 1° maggio 2019, il diritto a percepire la pensione anticipata ex art. 14 decreto-legge n. 4/2019 categoria VO/COM;
b) egli ha svolto, in esecuzione di rapporti di lavoro intermittente, prestazioni dal 3 giugno al 31 luglio 2019 per una retribuzione di euro 385,79, dal 7 al 10 settembre 2019 per una retribuzione di euro 495,72, dal 23 novembre al 31 dicembre 2019 per una retribuzione di euro 217,96 e dal 2 al 16 luglio 2020 per una retribuzione di euro 373,00;
c) l’I.N.P.S., in ragione dell’incumulabilità assoluta della pensione anticipata ex art. 14, decreto-legge n. 4/2019 con redditi da lavoro dipendente, ha richiesto la ripetizione dei ratei già versati in relazione al periodo maggio 2019 – agosto 2020 e non ha corrisposto i ratei afferenti il periodo settembre – dicembre 2020.
In via principale il ricorrente sostiene che la portata precettiva dell’incumulabilità ex art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019 va intesa, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, non già (come ritenuto dall’I.N.P.S.) quale perdita della pensione per l’intero anno in cui sono stati percepiti redditi da lavoro, bensì quale decurtazione della pensione in misura corrispondente ai redditi da lavoro dipendente conseguiti.
In via subordinata il ricorrente afferma l’incostituzionalità della disposizione ex art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui non individua l’importo minimo del reddito da lavoro dipendente, oltre il quale la pensione anticipata non è più cumulatile.
Ciò in relazione:
all’art. 3 Cost. in quanto introduce un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra il pensionato che svolge attività di lavoro autonomo occasionale, percependo compensi fino a euro 5.000 all’anno, e il pensionato che svolge attività di lavoro subordinato, percependo retribuzioni fino allo stesso limite, atteso che solo il primo conserva il diritto di ricevere i ratei di pensione anticipata afferenti l’anno in cui ha conseguito il reddito di lavoro dipendente;
all’art. 38, comma 2 Cost.in quanto annulla il trattamento pensionistico per l’intero anno anche quando il reddito lavorativo conseguito sia di modesto importo, con conseguente privazione della pensione per un intero anno, senza che sia compensata dalla percezione di adeguate entrate di altro genere;
agli articoli 4 e 36, comma 1 Cost. in quanto impone a colui che esercita il diritto al lavoro un sacrificio (la perdita della pensione per un intero anno) sproporzionato e irragionevole.
Dal canto suo I’I.N.P.S. replica che l’interpretazione sostenuta dal ricorrente, secondo cui la regola dell’incumulabilità ex art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019 comporterebbe solamente la decurtazione della pensione in misura corrispondente ai redditi da lavoro dipendente conseguiti, contrasta con la ratio sottesa all’introduzione della pensione anticipata sulla base del raggiungimento di un’età anagrafica di almeno sessantadue anni e di un’anzianità contributiva minima di trentotto anni (cd. «quota 100»), ratio che individua nel perseguimento degli obiettivi di garantire flessibilità in uscita a coloro che intendono andare in pensione in data anteriore a quella prevista dalla disciplina ordinaria, e di favorire un ricambio generazionale nelle attività produttive (a fronte di un costo di circa 65 miliardi di euro).
Quanto ai vizi di illegittimità costituzionale rilevati dal ricorrente fondati sulla mancata fissazione di un importo minimo del reddito da lavoro dipendente, oltre il quale trova applicazione l’incumulabilità della pensione anticipata, l’I.N.P.S. evidenzia che l’art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019 prevede un limite di natura non già quantitativa, ma qualitativa, costituito dai tipo di attività lavorativa.
Ritenuto in diritto
Viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 conv. In legge 28 marzo 2019, n. 26 («La pensione quota 100 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui»), nella parte in cui, in contrasto con principio – di eguaglianza formale ex art. 3, comma 1 Costituzione, prevede l’incumulabilità della pensione anticipata «quota 100» con i redditi da lavoro dipendente qualunque sia il loro ammontare, mentre consente di conservare detto trattamento pensionistico qualora i redditi da lavoro autonomo occasionale non superino limite di euro 5.000 lordi all’anno.
Sulla rilevanza nel giudizio a quo.
Il giudizio in corso non può essere definito indipendentemente dalla soluzione della suddetta questione di legittimità costituzionale.
Applicando le norme impugnate le domande proposte dal ricorrente dovrebbero essere rigettate.
Si è già evidenziato nella parte dedicata alla descrizione dei fatti che il ricorrente, titolare di pensione anticipata ex art. 14 decreto-legge n. 4/2019 dal 1º maggio 2019, ha percepito redditi da lavoro dipendente (precisamente retribuzioni nell’ambito di un rapporto di lavoro intermittente) nell’anno 2019 pari a euro 1.099,47 lordi e nell’anno 2020 pari a euro 373,00 lordi.
L’I.N.P.S., in ragione dell’incumulabilità assoluta con i redditi da lavoro dipendente prevista dall’art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019, ritiene non dovuti i ratei di pensione anticipata afferenti gli anni 2019 e 2010, tanto da procedere alla ripetizione di quelli già versati (ratei da maggio 2019 ad agosto 2020 per euro 27.767,17) e da non effettuare il versamento dei residui (ratei da settembre a dicembre 2020).
Il ricorrente sostiene in via principale che la portata precettiva dell’ incumulabilità ex art. 14, comma 3, decreto-legge n. 4/2019 vada intesa, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, non già (come ritenuto dall’I.N.P.S.) quale perdita della pensione per l’intero anno in cui sono stati percepiti redditi da lavoro, bensì quale decurtazione della pensione in misura, corrispondente ai redditi da lavoro dipendente conseguiti.
Si tratta di un assunto non persuasivo per ragioni sia letterali e ideologiche.
In ordine al primo aspetto è agevolmente desumibile dalla previsione della cumulabilità della pensione anticipata con la percezione di redditi da lavoro autonomo occasionale non superiori a euro 5.000 lordi all’anno, che il legislatore ha preso in considerazione il conseguimento di redditi da lavoro quale evento impeditivo della corresponsione della pensione anticipata nell’anno solare in cui quei redditi sono stati percepiti e non già quale fattore determinante la decurtazione dell’ammontare della pensione anticipata spettante in quell’anno.
Quanto al profilo teleologico, è indubbio, che nel caso il titolare di pensione anticipata subisse solamente una decurtazione del quantum corrispondente all’ammontare dei redditi da lavoro percepiti, verrebbe notevolmente frustrata la possibilità di realizzare gli obiettivi sottesi all’introduzione della pensione, vale a dire la flessibilità in uscita solamente per chi intende abbandonare pressochè del tutto l’attività lavorativa e il favore per un ricambio generazionale nelle attività produttive.
Sulla non manifesta infondatezza.
Ciò che appare evidente nella vicenda in esame è la sproporzione tra i redditi da lavoro dipendente conseguiti dal ricorrente (euro 1.099,47 lordi nel 2019 ed euro 373,00 lordi nel 2020, per complessivi euro 1.472,47) e i ratei di pensione anticipata negati per effetto dell’incumulabilità di cui alla norma scrutinata (euro 27.767,17 quanto ai ratei da maggio 2019 ad agosto 2020 oggetto di ripetizione ed euro 6.741,52 quanto ai ratei da settembre a dicembre 2020, per complessivi euro 34.508,69).
Come ha rilevato Corte costituzionale n. 241 del 2016, la disciplina della cumulo tra pensione e redditi da lavoro ha dato luogo nel corso del tempo a un contesto normativo «quanto mai mutevole».
In relazione alla pensione di vecchiaia – la quale si inserisce nel sistema di sicurezza sociale delineato al rischio del lavoratore di perdere o di diminuire il proprio guadagno, mancando dei mezzi di sussistenza, quando, con il venir meno delle forze per vecchiaia, non è più in grado di lavorare (sent. n. 416 del 1999 e sentenza 30 del 1976) – secondo il giudice delle leggi non è di per sé illegittima la riduzione del trattamento di pensione, nel caso di concorso con altra prestazione retribuita, essendo ragionevole che il legislatore tenga conto della maggiorazione di compensi derivante al pensionato a seguito della nuova attività in quanto la funzione previdenziale della pensione non si esplica, o almeno viene notevolmente ridotta, quando il lavoratore si trovi ancora in godimento di un trattamento di attività (sent. n. 275 del 1976). Tuttavia alla percezione di un reddito da lavoro è ragionevole che consegua una diminuzione del trattamento pensionistico solo quando l’ammontare del primo giustifichi la misura della seconda; quindi non è legittima una disposizione che stabilisca la sospensione dell’erogazione della pensione in conseguenza della percezione di redditi da lavoro senza dare rilievo alla misura dell’emolumento percepito per la nuova attività (sent. n. 197 del 2010; sentenza n. 232 del 1992, sentenza n. 204 del 1992 e sentenza n. 566 del 1989).
In ordine alle pensioni di anzianità o comunque anticipate (quale quella di cui è titolare il ricorrente nel giudizio a quo) – le quali, prescindendo dal compimento dell’età pensionabile, costituiscono un beneficio riconosciuto dal legislatore unicamente in ragione dello svolgimento per un tempo predeterminato di attività lavorativa che costituisce l’adempimento del dovere ex art. 4 Cost. di concorrere al progresso materiale o spirituale della società (sent. 241 del 2016, sent n. 416 del 1999, sentenza n. 194 del 1991 e sentenza n. 155 del 1969) – secondo il giudice delle leggi la garanzia dell’art. 38, comma 2 Cost., proprio perché legata allo stato di bisogno, è riservata alle pensioni che trovano la loro causa nella cessazione dell’attività lavorativa per ragioni di età e, quindi, non si estende alle pensioni di anzianità o comunque anticipate. Ne deriva che il godimento di questi ultimi trattamenti pensionistici, rappresentando un beneficio discrezionalmente concesso dal legislatore a prescindere dall’età pensionabile, può essere limitato al solo caso di cessazione effettiva del lavoro e, quindi, sono costituzionalmente legittime le normative che prevedono il totale divieto di cumulo delle pensioni di anzianità con il reddito da lavoro dipendente (sent. n. 416 del 1999, sentenza n. 433 del 1994, ordinanza n. 47 del 1994, sentenza n. 576 del 1989 e sentenza n. 155 del 1969).
Si è già statuito (sent n. 416 del 1999) che tale divieto costituisce l’espressione di un non irragionevole esercizio della discrezionalità spettante al legislatore, atteso che trova la sua spiegazione sia nella tendenza legislativa a disincentivare il conseguimento di una prestazione anticipata rispetto all’età pensionabile, sia nella considerazione delle esigenze di bilancio (il cui carattere contingente dà ragione anche della mutevolezza nel tempo della disciplina in tema di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro).
Quindi l’art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019, laddove prevede l’incumulabilità assoluta tra pensione anticipata «quota 100» e redditi da lavoro dipendente, non appare in contrasto con il precetto costituzionale dell’art. 38, comma 2 Cost.
Lo stesso può dirsi dei parametri ex art. 4 e 36 Cost., pure invocati dal ricorrente, secondo cui il divieto di cumulo impone a colui che esercita il diritto al lavoro un sacrificio (la perdita della pensione per un intero anno) sproporzionato e irragionevole; infatti, come ha già statuito il giudice delle leggi, quel divieto impone solamente una scelta tra la sospensione del trattamento pensionistico e la rinuncia ad assumere un nuovo rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi (sent. n. 433 del 1994, n. 576 del 1989 e n. 531 del 1988).
Di contro non appare manifestamente infondata la questione della conformità al principio di eguaglianza formale ex art. 3, comma 1 Cost. dell’art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui prevede l’incumulabilità della pensione anticipata «quota 100» con i redditi da lavoro dipendente qualunque sia il loro ammontare, mentre consente di conservare detto trattamento pensionistico qualora i redditi da lavoro autonomo occasionale non superino il limite di euro 5.000 lordi all’anno.
Questo giudice non ignora che nella pronuncia n. 433 del 1994 la Consulta, chiamata a decidere se l’art. 10 ultimo comma, decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 convertito in legge 25 marzo 1983, n. 79 e l’art. 22, legge n. 253/1969, n. 153, nella parte in cui disponevano il divieto di cumulo di trattamento pensionistico anticipato con redditi di lavoro dipendente, violassero l’art. 3, comma 1 Cost. per l’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei pensionati che svolgevano lavoro autonomo, ha statuito: «Diversificate sono anzitutto le posizioni dei pensionati che svolgono lavoro autonomo rispetto a quelli che prestano, attività retribuita alle dipendenze di terzi, per la stessa diversità, ripetutamente affermata anche dalla Corte, dei rispettivi rapporti che danno causa al reddito percepito oltre la pensione, e specificamente, quanto al profilo che qui interessa, per la diversità dei relativi sistemi contributivi. E ciò anche a prescindere dalla considerazione, pur di non lieve momento, che lo scopo di disincentivare l’attività lavorativa prestata, successivamente al collocamento a riposo, in posizione subordinata, potrebbe costituire l’espressione di un indirizzo di politica legislativa, inteso a rimuovere ostacoli all’accesso dei giovani ad occasioni lavorative. Tali ostacoli quasi sempre non sono costituiti dall’espletamento di un’attività libero professionale, dato il carattere della relativa prestazione che normalmente implica l’impiego di risorse specifiche al soggetto che la fornisce e, quindi, non attuabile da parte di qualsiasi soggetto».
Tuttavia nel caso in esame la controversia concerne non già il sistema contributivo cui deve esser assoggettata la nuova attività lavorativa svolta dal pensionato, ma le conseguenze che l’esercizio di tale attività produce sulla spettanza della pensione anticipata, di cui il prestatore è titolare, nell’anno di percezione dei redditi da lavoro dipendenti.
Inoltre, rispetto al contesto normativo vigente nel 1994, la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo non è più così nitida, stante l’introduzione nell’ordinamento dei cd. contratti di lavoro atipici. Esemplare in proposito è la vicenda in esame, dove le prestazioni svolte dal pensionato costituiscono esecuzione di un rapporto di lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità a rispondere alle chiamate, di cui in dottrina si dubita addirittura l’origine contrattuale e comunque la riconducibilità nell’alveo della subordinazione. Può aggiungersi che lavoro intermittente e privo del carattere della continuità che rappresenta uno degli elementi sintomatici della subordinazione.
Occorre, altresì, evidenziare che in una pronuncia più recente (sent. n. 416 del 1999) il giudice delle leggi ha ritenuto non esservi tra attività di lavoro dipendente e quelle di lavoro autonomo differenze tali da richiedere un diverso trattamento in materia di cumulo.
Infine, se si considerano gli obiettivi perseguiti dal legislatore mediante l’introduzione della pensione anticipata ex art. 14, decreto-legge n. 4/2019, ossia garantire flessibilità in uscita a coloro che intendono andare in pensione in data anteriore a quella prevista dalla disciplina ordinaria e favorire un ricambio generazionale nelle attività produttive, è agevole evidenziare che lo svolgimento di attività di lavoro dipendente, che sia produttiva di redditi non superiori a euro 5.000,00 lordi, non fa dubitare della volontà del prestatore di conservare la qualità di pensionato, né incide negativamente sul ricambio generazionale nell’occupazione stabile, specie se esercitata in esecuzione di contratti di lavoro atipici, quanto meno non in misura maggiore rispetto a un’attività di lavoro autonoma occasionale produttiva di redditi entro lo stesso limite.
P.Q.M.
Visto l’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3 decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 conv. in legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte in cui, in contrasto con il principio di eguaglianza formale ex art. 3, comma 1 Costituzione, prevede l’incumulabilità della pensione anticipata «quota 100» con i redditi da lavoro dipendente qualunque sia il loro ammontare, mentre consente di conservare detto trattamento pensionistico qualora i redditi da lavoro autonomo occasionale non superino il limite di euro 5.000 lordi all’anno.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Sospende il giudizio in corso;
Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.
Si comunichi alle parti costituite.
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