TRIBUNALE DI UDINE – Ordinanza 07 maggio 2021
Privilegio, pegno e ipoteca – Privilegio generale mobiliare attribuito ai crediti per provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia – Mancata inclusione anche del credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) obbligatoria sulle fatture emesse per il pagamento delle provvigioni. – Codice civile, art. 2751-bis, numero 3). Privilegio, pegno e ipoteca – Privilegio generale mobiliare attribuito ai crediti per le retribuzioni dei professionisti – Estensione al credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Omessa estensione al credito di rivalsa dell’IVA sulle fatture emesse dagli agenti di commercio per il pagamento delle provvigioni. – Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), art. 1, comma 474.
Il caso e la questione.
La ricorrente, persona fisica a suo tempo legata da contratto di agenzia con la società ora fallita, ha chiesto di essere ammessa al passivo del fallimento con il privilegio generale sui beni mobili (e sussidiario sugli immobili: art. 2776 del codice civile) di cui all’art. 2751-bis, n. 3 del codice civile, sia per il credito relativo alle provvigioni maturate nell’ultimo anno, sia per il credito a titolo di rivalsa I.V.A. sulle fatture da emettere al momento del pagamento (oltre che per le indennità dovute per la cessazione del rapporto, aspetto che qui però non rileva).
L’art. 2751-bis, n. 3 del codice civile non giustifica la pretesa della ricorrente di estendere il privilegio anche al credito per rivalsa I.V.A., in quanto la causa di prelazione viene riconosciuta solo per «le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia» e non anche per il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto. Nulla osta, quindi, all’accoglimento della domanda, così come formulata, per quanto riguarda il credito per provvigioni, mentre il dato normativo vigente impedisce il riconoscimento del richiesto privilegio sul credito per rivalsa I.V.A., posto che le cause legittime di prelazione costituiscono un’eccezione alla regola dell’eguale diritto dei creditori di soddisfarsi sui beni del debitore (art. 2741 del codice civile), il che vieta la loro estensione in via analogica ai casi analoghi non previsti dalla legge (v., ex multis, Cassazione 16 maggio 2018, n. 11917).
Si pongono, tuttavia, due questioni di illegittimità costituzionale, rilevanti e non manifestamente infondate, entrambe riconducibili alla violazione dell’art. 3 della Costituzione (la sindacabilità con riguardo al fondamentale parametro del principio di uguaglianza e al connesso canone di ragionevolezza delle norme di legge che prevedono deroghe all’eguale diritto dei creditori di soddisfarsi sui beni del debitore è opinione consolidata nella giurisprudenza della Corte costituzionale: v., tra le altre, Corte costituzionale 29 gennaio 1998, n. 1; Corte costituzionale 30 dicembre 1998, n. 451):
a) l’irrazionalità della mancata inclusione nell’ambito del privilegio attribuito al credito per provvigioni anche del credito per rivalsa I.V.A. obbligatoria sulle fatture emesse per il pagamento delle provvigioni (questione con cui si prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, n. 3 del codice civile);
b) la ingiustificata disparità di trattamento tra crediti per provvigioni dell’agente di commercio e crediti per i compensi dei prestatori d’opera, il privilegio dei quali ultimi è esteso dall’art. 2751-bis, n. 2 del codice civile anche al «credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto» (questione con cui si prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205).
La non manifesta infondatezza delle due questioni.
a) l’irrazionalità della mancata inclusione nell’ambito del privilegio attribuito al credito per provvigioni anche del credito per rivalsa I.V.A. obbligatoria sulle fatture emesse per il pagamento delle provvigioni.
E’ noto che la ratio dell’intero art. 2751-bis del codice civile, inserito dall’art. 2 della legge n. 426 del 1975, va individuata nella volontà del legislatore di «riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore» (Cassazione 27 ottobre 2017, n. 25639).
In sintonia con tale comune ratio, il privilegio di cui al n. 3 dell’art. 2751-bis del codice civile non viene riconosciuto ai crediti «per provvigioni spettanti alla società di capitali che eserciti l’attività di agente» (Cassazione cit., nel solco tracciato da Cassazione s.u. 16 dicembre 2013, n. 27986; conf., altresì, Cassazione 10 settembre 2014, n. 19012; Cassazione 10 maggio 2016, n. 9462 del 10 maggio 2016). Tale orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità è scaturito da una raccomandazione della stessa Corte costituzionale, che ebbe a dichiarare infondata la questione di illegittimità sollevata con riguardo al (prospettato dal remittente) riconoscimento del privilegio del credito per provvigioni da rapporto di agenzia anche in favore delle società di capitali, solo sulla base della ritenuta possibilità (e conseguente doverosità) di una opposta interpretazione, conforme alla chiara ratio dell’art. 2751-bis del codice civile (Corte costituzionale 7 gennaio 2000, n. 1, sentenza interpretativa di rigetto, ove si legge, tra l’altro: «Sembra perciò difficile contestare che la ratio dell’intero art. 2751-bis del codice civile sia quella di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore»).
Ulteriore corollario dell’interpretazione del n. 3 alla luce della ratio che regge l’intero art. 2751-bis del codice civile è la massima secondo cui «Il privilegio generale sui mobili per le provvigioni e le indennità derivanti dal rapporto di agenzia, previsto dall’art. 2751-bis, n. 3 del codice civile, è applicabile ai crediti delle società personali che esercitino l’attività propria dell’agente qualora sia accertato, in concreto, che quest’ultima sia svolta direttamente dagli agenti-soci e che il lavoro abbia funzione preminente sul capitale» (Cassazione 30 settembre 2015, n. 1955). Dunque, escluse dal privilegio tutte le società di capitali, per le società di persone il riconoscimento del privilegio è condizionato ad un controllo sulla struttura sociale e organizzativa del creditore finalizzato a verificare la coerenza di quel riconoscimento con la ratio normativa di tutela del lavoro nelle sue varie forme. Nel caso di specie, in ogni caso, la ricorrente svolge l’attività di agente personalmente quale persona fisica.
Non c’è dubbio che il credito dell’agente per rivalsa I.V.A. sulle fatture emesse ha natura giuridica ben diversa rispetto al credito per provvigioni esposto in fattura, ma è facile constatare che il mancato pagamento dell’I.V.A. da parte del preponente si traduce, «in termini sostanziali», in una decurtazione dello stesso credito per provvigioni, perché il credito per rivalsa I.V.A. gode sì di un suo distinto privilegio, ma di rango ben inferiore a quello del privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 3 del codice civile e, soprattutto, speciale «sui beni … ai quali si riferisce il servizio» (art. 2758, comma 2° del codice civile), il che lo rende, di fatto, fisiologicamente incapiente, non essendoci «beni» del preponente cui possa riferirsi in modo specifico il servizio prestato dall’agente. Tale distorsivo effetto sostanziale si verifica perché la legge tributaria consente al «soggetto I.V.A.» di emettere una nota di variazione a credito, annullando così il proprio debito verso lo Stato per l’I.V.A. esposta nelle sue fatture ma non incassata, solo «Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura … viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile» (art. 26, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972). Il legislatore tributario, non tenendo conto del regime delle cause di prelazione destinato a operare in caso di insolvenza del debitore, non considera la possibilità che il soggetto I.V.A. incassi interamente il credito maturato per il servizio prestato (di modo che l’operazione non «viene meno», nemmeno in parte) e tuttavia non possa incassare – per incapienza del patrimonio del debitore – il credito per rivalsa I.V.A. esposto nella fattura (caso in cui, non dovrebbe risultare debitore nei confronti dell’erario per l’I.V.A. non incassata, dato l’evidente contrasto con il fondamentale e noto principio di neutralità dell’I.V.A.). Fatto sta che, tale essendo la normativa fiscale, il consolidamento del debito verso l’erario per l’I.V.A. esposta in fattura, ma non incassata, comporta il risultato pratico di una riduzione dell’effettiva soddisfazione del credito retributivo.
La prevalente rilevanza di tale aspetto sostanziale in confronto al dato formale della diversa natura di credito retributivo e credito di rivalsa I.V.A. è stata di recente affermata dalla Corte costituzionale, che su tale giudizio di prevalenza ha motivato la dichiarazione di non fondatezza della questione di illegittimità costituzionale sollevata da questo Tribunale con riferimento all’estensione al credito per rivalsa I.V.A. del privilegio del lavoratore autonomo di cui all’art. 2751-bis, n. 2 del codice civile (Corte costituzionale 3 gennaio 2020, n. 1).
Qui si tratta conseguentemente di constatare che:
a) la legge attribuisce al credito dell’agente per provvigioni un privilegio la cui ratio – comune a tutti i privilegi previsti dall’art. 2751-bis del codice civile – è «quella di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore»;
b) la mancata estensione del privilegio al credito per rivalsa I.V.A. esposto nelle fatture emesse per il pagamento delle provvigioni si traduce, di fatto, in un parziale mancato riconoscimento di quella collocazione privilegiata ai crediti dell’agente per provvigioni;
y) l’esclusione dal privilegio di una parte di quello stesso credito che il legislatore ha scelto di premiare con una collocazione privilegiata viola il principio di ragionevolezza, dovendosi applicare a fortiori il principio affermato dalla Corte costituzionale per il caso in cui sia escluso dal privilegio un credito che rientri «nell’area omogenea» dei crediti già contemplati dalla norma attributiva del privilegio (Corte costituzionale 28 novembre 1983, n. 326, che ha esteso il privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 1 del codice civile al «credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro», con motivazione richiamata da Corte costituzionale 4 marzo 1992, n. 84 per delineare l’ambito di ammissibilità di una sentenza additiva della Corte in materia di privilegi; aspetto sul quale si dovrà tornare in seguito).
B) la ingiustificata disparità di trattamento tra agente di commercio e prestatore d’opera.
Se comune è la ratio che fonda il riconoscimento del privilegio al lavoratore autonomo di cui al n. 2 dell’art. 2751-bis del codice civile e all’agente di cui al successivo n. 3, è evidente che non si giustifica la disparità di trattamento tra i due creditori per quanto riguarda l’estensione dei rispettivi privilegi al credito per rivalsa I.V.A. Entrambe le categorie di creditori sono premiate dalla normativa sui privilegi in quanto i loro crediti sono «destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore». Il regime I.V.A. sulle fatture emesse è il medesimo in entrambi i casi e, quindi, vale per entrambi la constatazione che la mancata estensione del privilegio al credito I.V.A. «comporta, in termini sostanziali, una riduzione» del credito retributivo. Se la scelta del legislatore è stata quella di rendere effettiva e completa la tutela del credito da lavoro autonomo mediante l’estensione del privilegio anche al credito per rivalsa I.V.A., non pare rispettosa del principio di uguaglianza la mancata previsione di analoga estensione anche per gli altri creditori cui il legislatore ha attribuito un analogo privilegio giustificato dalla medesima ratio e, in particolare, limitando la questione a quanto rilevante nel presente procedimento, la mancata estensione al credito per rivalsa I.V.A. del privilegio riconosciuto al credito per provvigioni derivante dal rapporto di agenzia.
Sotto questo profilo è dunque l’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ad essere sospettato di incostituzionalità, per avere, da un lato, riconosciuto l’estensione del privilegio anche al credito per rivalsa I.V.A. quale parte essenziale della tutela del credito da lavoro autonomo e, dall’altro lato, omesso di applicare tale principio a tutti i crediti che condividono l’attribuzione di un privilegio giustificato dalla medesima ratio di tutela del lavoro autonomo.
Piuttosto, trattandosi di una violazione del principio di uguaglianza per rimediare al quale è richiesto un intervento additivo in bonam partem, si pone il problema dell’ammissibilità della questione sotto il profilo della delimitazione dei poteri di intervento della Corte costituzionale, cui non è consentito di invadere l’ambito delle valutazioni discrezionali e delle scelte di carattere politico-economico riservate al legislatore. Ma tale invasione si verifica solo quando la decisione implica «scelte, innegabilmente di merito legislativo, in ordine alla natura del privilegio che si vuole introdurre, anche per la necessità di risolvere i connessi problemi attinenti al suo rapporto (di precedenza, di postergazione o concorrenza) con gli altri privilegi già positivamente previsti» (Corte costituzionale 4 marzo 1992, n. 84). Viceversa, nel caso di specie, il privilegio da estendere al credito dell’agente per rivalsa I.V.A. è quello che già la legge attribuisce al credito per provvigioni, sicché non vi sono scelte da fare in ordine alla sua natura e al suo rapporto con gli altri privilegi.
La rilevanza.
La duplice questione non manifestamente infondata è anche rilevante, perché da essa discende la decisione da assumere nel presente procedimento. Il giudice delegato al fallimento, in sede di formazione dello stato passivo (art. 96 legge fall.), è chiamato ad assumere sull’ammissione del credito e sul suo rango una decisione suscettibile di acquisire efficacia di giudicato c.d. endofallimentare, non più sindacabile in sede di procedimento di ripartizione dell’attivo liquidato (v. Corte costituzionale 4 luglio 2013, n. 170). Nel caso di specie, dalla collocazione del credito per rivalsa I.V.A. in chirografo (come sarebbe inevitabile in base alla normativa vigente, trattandosi di prestazioni non riferibili a determinati beni presenti nell’attivo fallimentare) ovvero in privilegio ex art. 2751-bis, n. 3 del codice civile (come sarebbe dovuto, in caso di dichiarazione di incostituzionalità di una delle disposizioni) dipendono le concrete possibilità di soddisfazione di quel credito in esito alla procedura fallimentare.
P.Q.M.
Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate – e pertanto solleva d’ufficio – le questioni di illegittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3 della Costituzione:
a) dell’art. 2751-bis, n. 3 del codice civile nella parte in cui tale disposizione non estende anche al credito per rivalsa I.V.A. il privilegio generale attribuito al credito per le provvigioni derivante da rapporto di agenzia;
b) dell’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, nella parte in cui tale disposizione, nel mentre estende al credito per rivalsa I.V.A. il privilegio generale attribuito al credito per le retribuzioni del lavoratore autonomo, non dispone analoga estensione al credito per rivalsa I.V.A. del privilegio generale attribuito al credito per le provvigioni derivante da rapporto di agenzia;
Sospende il processo in corso;
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alla ricorrente sopra indicata, al curatore fallimentare, al pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
Ordina al curatore fallimentare di comunicare, nelle forme dell’art. 31-bis legge fall., la presente ordinanza agli altri creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo.