TRIBUNALE DI UDINE – Ordinanza 15 novembre 2010, n. 4157
Disciplina regionale – Requisito di anzianità di residenza per l’accesso ad una prestazione volta al sostegno della natalità – Contrarietà al diritto comunitario – Natura discriminatoria – Disapplicazione
Il ricorrente è cittadino rumeno residente in questa regione dal 2001 e ha richiesto il riconoscimento del sussidio per la nascita della figlia (…) il (…). Il rifiuto del sussidio da parte del Comune di Latisania costituisce pacificamente la puntuale ed esatta attuazione di quanto previsto dalla legge regionale, così come vigente al memento della decisione del Comune. Il giudice ha accolto il ricorso ravvisando la sussistenza della discriminazione indiretta alla luce di una approfondita analisi della normativa e della giurisprudenza comunitarie ed applicando il ben noto principio per cui il giudice dello stato membro – che è anche giudice dell’ordinamento comunitario – ha il dovere di disapplicare la normativa interna incompatibile con le norme di quell’ordinamento.
Il Comune di Latisana, nel proporre reclamo avverso l’ordinanza di accoglimento, rinuncia espressamente ad alcune questioni sollevate in rito e rispetto alle quali riconosce la fondatezza della motivazione del primo giudice (in particolare, per quanto riguarda l’applicabilità nel caso di specie degli strumenti di tutela sia dell’art. 44 del d. legisl. n° 286 del 1998 che dell’4 d. legisl. n° 215 del 2003), mentre ribadisce alcune richieste ed eccezioni che ritiene essere state ingiustamente disattese.
In primo luogo, il reclamante, evidenziando nuovamente la natura di atto vincolato del proprio provvedimento, ribadisce la richiesta di disporre la chiamata in causa della Regione Friuli Venezia Giulia, quale soggetto cui sarebbe effettivamente attribuibile il comportamento in ipotesi discriminatorio, posto in essere avvalendosi degli uffici dell’ente locale per lo svolgimento di un’attività amministrativa propria.
Sennonché, preso atto che non viene messa in dubbio la legittimazione passiva del Comune di Latisana (né potrebbe esserlo, essendo il Comune il diretto interlocutore giuridico del ricorrente), si deve rilevare che non viene nemmeno prospettata un’ipotesi di litisconsorzio necessario con l’ente regionale. Pertanto, nessun vizio del procedimento e della decisione può essere desunto dalla scelta discrezionale del primo giudice di non provvedere alla chiamata in causa. È dunque persino superfluo osservare, da un lato, che la Regione Friuli Venezia Giulia non potrebbe certo essere chiamata in causa in quanto legislatore, sicché non vale a giustificare la relativa richiesta il rilievo che il diniego dell’assegno di natalità costituisce atto vincolato dall’applicazione della legge regionale incompatibile con la normativa comunitaria; dall’altro lato, che la medesima Regione non sembra affatto interessata ad intervenire nel contenzioso, se è vero, come affermato dalla reclamante, che non ha mai dato riscontro alla sua richiesta di chiarimenti su come comportarsi di fronte alla richiesta del B..
Nel merito, il reclamo si incentra essenzialmente sul seguente aspetto: il giudice designato avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la normativa europea derivata e di dettaglio riguardante la tutela dei lavoratori cittadini di uno stato membro (in particolare i regolamenti n° 1612/1968 e n° 1408/1971) e la giurisprudenza della Corte di Giustizia che fa riferimento a quella normativa, senza avere la prova che il ricorrente “potesse essere considerato un lavoratore al momento della presentazione della domanda per l’assegno di natalità”.
Da ciò conseguirebbe la necessità di fare riferimento soltanto alla normativa primaria dei Trattati (in particolare l’art. 18 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) e ai principi generali dell’ordinamento comunitario, che consentirebbero “una più ampia discrezionalità in capo alle Autorità nazionali nel dare attuazione alla parità di trattamento”. Con il risultato – non tanto di escludere la sussistenza, nel caso di specie, di una discriminazione indiretta a danno del (…) quanto – di rendere incerta la relativa questione ed opportuna la sua remissione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea o, in alternativa, alla Corte costituzionale con riferimento al parametro del novellato art. 117, comma 1°, Cost. (v. sentenza n° 227 del 2010 della Corte costituzionale).
Tale essendo l’impostazione del reclamo (che quindi rinuncia a contestare la – del resto chiara, esauriente e condivisibile – motivazione del primo giudice circa la sussistenza di una discriminazione indiretta chiaramente incompatibile con la normativa comunitaria di dettaglio), per giustificare il suo rigetto è sufficiente rilevare che la condizione del ricorrente di lavoratore ai sensi dei regolamenti comunitari non era mai stata contestata dal Comune di Latisana, né prima dell’avvio del presente procedimento, né durante la sua prima fase, pur essendo stata espressamente invocata la relativa tutela nel ricorso introduttivo (v. pag. 6). Pertanto, correttamente il primo giudice ha considerato pacifico tale presupposto di fatto, al pari della qualifica di cittadino comunitario del ricorrente (v. art. 15, comma 1°, c.p.c.).Non si può invece considerare altrettanto corretta l’eccezione sollevata nel reclamo tardivamente e soltanto al fine di dare un supporto in fatto alle successive argomentazioni giuridiche circa una possibile compatibilità della normativa interna se confrontata soltanto con le norme primarie e con i principi dell’ordinamento europeo. Parte reclamata, ha comunque documentato la propria condizione di lavoratore producendo copia del contratto di lavoro e dell’estratto conto dei contributi previdenziali versati all’INPS nel corso degli anni (docc. n° 2 e n° 3 allegati alla memoria di costituzione in fase di reclamo), oltre a contestare in diritto, ad abundantiam, che il concetto di “lavoratore” secondo la normativa europea sia limitato ai soli soggetti che, in un determinato momento, prestino effettivamente un’attività lavorativa.
In definitiva: confermata l’applicabilità al caso di specie della normativa comunitaria di dettaglio considerata dal primo giudice; condivise e richiamate le chiare argomentazioni svolte nell’ordinanza reclamata sulla base di quella normativa cosi come già più volte interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea; constatato che quelle argomentazioni non vengono criticate dalla parte reclamante, che invece ha infondatamente cercato di sostenere l’inapplicabilità della normativa di dettaglio; il reclamo deve essere respinto.
Le spese di lite, anche con riferimento a questa fase seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Non può essere considerata grave ed eccezionale ragione per compensare le spese il fatto che il Comune di Latisana abbia agito in conformità alla legge regionale.
Infatti, anche l’organo amministrativo dello Stato membro (e non solo quello giudiziario) ha il dovere di disapplicare la norma interna incompatibile con l’ordinamento comunitario (invece di rispondere con arrogante sarcasmo alle sollecitazioni in tal senso dei cittadini comunitari: v. lettera del Comune di Latisana 8.10.2009, doc. n° 1 allegato al ricorso), sicché non vi è motivo per esonerarlo dalle conseguenze di un comportamento contrario a quel dovere. In ogni caso, non era certo dovuto – nemmeno in base alla norma interna – il reclamo contro un provvedimento legittimo e correttamente motivato.
P.Q.M.
Respinge il reclamo, perché infondato;
condanna il Comune di Latisana al pagamento, in favore di delle spese di lite relative alla presente fase di reclamo, che liquida – d’ufficio, in mancanza di nota – in complessivi € 1.350#, di cui € 420# per diritti, € 780# per onorar, ed e 150# per rimborso forfettario;
condanna il Comune di Latisana al pagamento, in favore solidale delle associazioni intervenute, delle spese di lite relative alla presente fase di reclamo, che liquida d’ufficio, in mancanza di nota in complessivi € 900#, di cui € 420# per diritti, e 380# per onorari ed € 100 per rimborso forfettario.
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