TRIBUNALE DI VERONA – Ordinanza 09 novembre 2020
Prescrizione – Sanzioni amministrative – Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 – Disposizioni transitorie – Definizione agevolata delle violazioni in materia di protezione dei dati personali – Previsione che l’entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del 2018 determina l’interruzione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute in relazione a violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo e oggetto di procedimenti sanzionatori non ancora definiti alla data di applicazione del regolamento europeo. – Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 (“Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”), art. 18, comma 5.
In fatto
1. Con atto di citazione in opposizione a cartella di pagamento ex art. 615, primo comma, codice di procedura civile notificato ad Agenzia delle entrate Riscossione in data 6 agosto 2020 e, validamente, al Garante per la protezione dei dati personali in data 5 ottobre 2020 (causa iscritta al ruolo il 6 agosto 2020), il prof. avv. P. espone di aver ricevuto in data 18 dicembre 2019 la notifica della cartella di pagamento 122 2019 002554490 000 emessa dall’Agenzia delle entrate Riscossione in relazione ad una sanzione amministrativa irrogata dal Garante per la protezione dei dati personali per l’illecito punito in forza del combinato disposto degli articoli 13 e 161 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 nella sua versione pro tempore vigente (e, cioè, sino alla data del 18 settembre 2018, data dell’entrata in vigore delle modifiche introdotte con il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101).
2. In data 10 marzo 2014 l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha avviato nei confronti dell’avv. P. la fase di preistruttoria del procedimento sanzionatorio informandolo di aver ricevuto un esposto nel quale il sig. M. ha rappresentato che l’avv. P. (al quale si era in precedenza rivolto per chiedergli un parere legale) avrebbe omesso di rendere l’informativa in ordine al trattamento dei suoi dati personali imposta dall’art. 13 del decreto legislativo n. 196/2003; l’Autorità ha, quindi, chiesto al legale di prendere posizione sul fatto addebitatogli dal suo ex cliente e, in particolare, sull’avvenuto rispetto degli obblighi di informativa disciplinati dall’anzidetto art. 13.
3. La fase di preistruttoria è stata definita dall’Autorità in data 8 luglio 2014 con la notifica al professionista, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689/1981, della contestazione della violazione delle previsioni di cui all’art. 13 e 161 del codice della privacy. Nel rispetto del termine di trenta giorni preveduto dall’art. 18 della legge n. 689/1981, l’avv. P. ha presentato le proprie memorie in ordine ai fatti contestati e, da allora, l’Autorità garante non ha mai emanato l’ordinanza ingiunzione preveduta dall’art. 18 della medesima legge n. 689/1981.
4. Prima del decorso del termine di prescrizione quinquennale preveduto dall’art. 28 della legge n. 689/1981 (termine decorrente dalla data della violazione ed interrotto validamente dalla contestazione notificata dal garante dell’avv. P.) sono intervenute al codice della privacy le modifiche previste dal decreto legislativo n. 101/2018. Unitamente alle modifiche introdotte per adeguare il quadro normativo nazionale al regolamento UE n. 2016/679 applicabile dal 28 maggio 2018, il legislatore ha, altresì, emanato una disposizione di diritto intertemporale in relazione alle violazioni delle norme del codice della privacy commesse prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni eurocomunitarie e, in particolare, in ordine ai procedimenti sanzionatori non ancora definiti con la pronuncia di un’ordinanza ingiunzione al momento dell’entrata in vigore del regolamenta europeo in materia di trattamento dei dati personali.
5. In particolare l’art 18 del decreto legislativo n. 101/2018 ha previsto, da un lato, la possibilità per il soggetto sottoposto al procedimento sanzionatorio di definire il procedimento corrispondendo entro un termine perentorio di novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo, una somma pari ai 2/5 del minimo edittale e, dall’altro, in alternativa al pagamento in misura ridotta, la facoltà di presentare nuove memorie entro un termine perentorio di centocinquanta giorni dall’entrata in vigore del predetto decreto legislativo (avvenuta il 19 settembre 2018). In mancanza la norma prevede che «l’atto con il quale sono stati notificati gli estremi della violazione, o l’atto di contestazione immediata di cui all’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, assumono il valore dell’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 18 della predetta legge, senza obbligo di ulteriore notificazione».
6. Non avendo il prof. avv. P. né proceduto al pagamento in misura ridotta né presentato nuove memorie integrative, l’Autorità garante, in virtù della trasformazione ope legis dell’atto di contestazione dell’infrazione in ordinanza ingiunzione, ha iscritto al ruolo le somme portate dall’atto di contestazione datato 8 luglio 2014 e trasmesso il ruolo al concessionario per la riscossione, il quale ha notificato la cartella di pagamento opposta con l’atto di citazione in opposizione a cartella di pagamento dal debitore.
L’inammissibilità della domanda per quel che concerne i vizi di merito del provvedimento impugnato per intervenuta decadenza ex art. 10, comma terzo, decreto legislativo n. 150/2011.
7. Il prof. P. ha presentato opposizione preventiva all’esecuzione avverso la cartella di pagamento domandando, previa sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, che la cartella di pagamento venisse annullata. Le censure sollevate dall’opponente attengono quasi integralmente al merito del provvedimento sanzionatorio. L’attore, in particolare, invoca la disapplicazione dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018 e, cioè, della disposizione in forza della quale l’Autorità garante, senza adottare alcun provvedimento espresso avente il valore di ordinanza-ingiunzione, ha iscritto a ruolo le somme portate dalla contestazione della violazione notificata l’8 luglio 2014 al presunto trasgressore, in quanto incompatibile con l’art. 83 del regolamento UE n. 2016/679. L’attore sostiene, inoltre, che l’anzidetto articolo sarebbe, per vari profili, illegittimo per violazione di diversi articoli della Costituzione (gli articoli 24, 111 della Costituzione e 76 della Costituzione), nonché dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 53 CFDUE che rappresentano parametri di costituzionalità interposti dall’art. 117, primo comma, della Costituzione; afferma, in ogni caso, che nel merito la sanzione è illegittima perché, in concreto e diversamente da quanto ascrittogli nell’atto di contestazione, egli ha reso in forma orale al proprio ex cliente l’informativa relativa al trattamento dei dati personali.
8. Questo giudice ritiene che l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo proposta dal prof. P. non possa essere esaminata per quel che concerne i vizi di merito del provvedimento impugnato in ragione della disposizione di cui all’art. 10, comma terzo, decreto legislativo n. 150/2011, la quale prevede che «il ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento o dalla data del rigetto tacito, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero».
9. Orbene, è vero che nel caso di specie alcun provvedimento sanzionatorio espresso è stato adottato dall’Autorità garante, ma, per effetto dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018, l’atto endoprocedimentale di contestazione dell’infrazione notificato al presunto trasgressore l’8 luglio 2014, è stato trasformato, ope legis, in provvedimento finale del procedimento sanzionatorio avente il valore di ordinanza ingiunzione. In altri termini, in virtù della novella legislativa, il provvedimento sanzionatorio che ha pregiudicato la posizione del P. coincide integralmente con l’atto di contestazione della violazione dell’art. 13 del codice della privacy nella sua formulazione pro tempore vigente: si tratta di un provvedimento che si è formato in via progressiva per silentium e, in particolare, per effetto della notifica dell’atto di contestazione al presunto trasgressore e, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 101/2018, per l’omessa presentazione da parte di quest’ultimo delle memorie difensive all’autorità amministrativa nel termine perentorio previsto dal legislatore.
10. Ciò posto, l’ingiunto avrebbe dovuto far valere i vizi di illegittimità del provvedimento sanzionatorio (quali emergenti dall’atto di contestazione che ha valore di ordinanza-ingiunzione), nonché i vizi di costituzionalità dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018 che ha trasformato l’atto di contestazione dell’infrazione in provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo e che, quindi, in via riflessa, si ripercuotono sulla validità del provvedimento sanzionatorio, nel termine decadenziale di cui all’art 10, comma terzo, del decreto legislativo n. 150/2011 decorrente, ovviamente, dalla data in cui si è perfezionata la notifica della cartella di pagamento che rappresenta il primo atto con cui all’avv. P. è stata comunicata l’irrogazione della sanzione nei suoi confronti.
11. Costituisce, infatti, «ius receptum l’affermazione per la quale avverso l’iscrizione a ruolo e la notificazione della cartella esattoriale per la riscossione di una sanzione amministrativa va esperita l’opposizione ai sensi della legge n. 689/1981, articoli 22 e 23 in caso di mancata preventiva notificazione del provvedimento sanzionatorio (così, tra le altre, Cassazione S.U. 10 gennaio 1992, n. 190 … l’orientamento è dato per consolidato anche dalle sezioni unite con la sentenza n. 489 del 13 luglio 2000, la quale … perciò finisce per contrapporre al rimedio tipico, il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 del codice di procedura civile come esperibile qualora l’interessato voglia far valere fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (che le stesse sezioni unite individuano in “morte del soggetto passivo, pagamento, prescrizione)» (cfr. Cassazione sezioni unite 22 settembre 2017, n. 22080). Ed, in effetti, non vi è ragione per cui l’omessa notifica del provvedimento sanzionatorio possa consentire alla parte di far valere i vizi di cui risulta essere affetta la sanzione amministrativa senza limiti di tempo e non invece entro trenta giorni dall’intervenuta conoscenza del provvedimento lesivo (sia esso un provvedimento espresso o sia esso un provvedimento tacito).
12. Nel caso di specie è di tutta evidenza come l’opposizione all’esecuzione proposta dal prof. P. rappresenti, a tutti gli effetti, un’opposizione recuperatoria ovverosia un’opposizione finalizzata a recuperare il momento di garanzia di cui l’interessato sostiene di non essersi potuto avvalere non essendogli stato notificato il provvedimento sanzionatorio – in questo caso in ragione di un’eccezionale previsione legislativa – se non contestualmente alla notifica della cartella di pagamento. Essa, pertanto, andava proposta nel termine decadenziale di trenta giorni previsto per insorgere avverso il provvedimento sanzionatorio di cui l’avv. P. sostiene l’illegittimità per vizi suoi propri e, in via derivata, in ragione dell’illegittimità costituzionale e convenzionale della norma di legge in forza del quale è stato adottato in via automatica e per silentium dall’autorità amministrativa competente o, comunque, e sempre in via derivata, dalla necessità di disapplicare il citato art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018 per incompatibilità con l’art. 83 del regolamento UE 2016/679. Tale termine di decadenza è, tuttavia, indubbiamente spirato, considerato che è lo stesso opponente che afferma di aver ricevuto la notifica della cartella di pagamento il 18 dicembre 2019, mentre l’odierno giudizio è stato iscritto a ruolo nell’agosto dell’anno corrente (2020) e, quindi, a distanza di quasi otto mesi da quando il prof. avv. P. ha avuto notizia del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità garante.
13. Né l’opponente può essere rimesso in termini sul presupposto che la pubblica amministrazione debba indicare il mezzo di impugnazione avverso il proprio provvedimento lesivo e che essa, con la cartella di pagamento, abbia indicato quale mezzo di impugnazione l’opposizione preventiva all’esecuzione forzata. E’, infatti, consolidato nei decenni l’orientamento giurisprudenziale (tanto da considerarsi «ius receptum» dalle sezioni unite innanzi citate) per il quale con l’opposizione all’esecuzione possono farsi valere soltanto i fatti estintivi o modificativi del diritto per il quale è minacciata l’avvio dell’esecuzione che siano successivi alla formazione del titolo esecutivo laddove questo sia costituito da un titolo giudiziale oppure, come in questo caso, da un provvedimento amministrativo; viceversa i fatti impedivi, estintivi o modificativi del diritto di credito anteriori alla formazione del provvedimento autoritativo che costituisce il titolo esecutivo devono essere fatti valere nelle forme e nei termini previsti per l’impugnazione dell’atto lesivo e, pertanto, sulla base del rimedio tipico previsto dalla legge. L’opposizione all’esecuzione non può, di fatti, rappresentare uno strumento di reazione processuale avverso il provvedimento autoritativo della pubblica amministrazione in elusione dei ristretti termini decadenziali per contestare in sede giudiziale l’agire amministrativo.
14. La decadenza dell’opponente dal diritto di impugnare il provvedimento sanzionatorio formatosi sulla base dell’automatismo legislativo innanzi indicato, porta a ritenere inammissibili tutti i motivi di opposizione fondati sulla contestazione della legittimità del provvedimento amministrativo e, conseguentemente, irrilevanti le questioni di legittimità costituzionali attinenti all’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018 nella parte in cui si contesta la compatibilità con i valori costituzionali della scelta legislativa di trasformate l’atto di contestazione dell’infrazione in ordinanza-ingiunzione sulla base di un meccanismo automatico che ricollega tale effetto (che finisce per far coincidere sempre e comunque l’atto iniziale del procedimento sanzionatorio con quello finale eliminando ogni margine di discrezionalità in capo alla pubblica amministrazione e a prescindere dall’esito dell’istruttoria amministrativa) al mancato pagamento dei due quinti del minimo edittale della sanzione o alla mancata attivazione (o riattivazione ove già in precedenza il privato avesse interloquito con la pubblica amministrazione dopo la notifica della contestazione) del contraddittorio endoprocedimentale con l’autorità garante entro un breve termine dall’entrata in vigore della nuova legge.
L’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’opponente ai sensi dell’art. 28 della legge n. 689/1981 e la rilevanza ai fini del decidere dell’art. 18, comma quinto, del decreto legislativo n. 101/2018 che sancisce l’interruzione della prescrizione al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 101/2018 in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della norma e per i procedimenti sanzionatori non ancora conclusi alla data dell’entrata in vigore del regolamento europeo.
15. Con l’atto di opposizione a precetto l’avv. P. ha reiterato l’eccezione di prescrizione quinquennale del credito, che, invero, aveva già sollevato stragiudizialmente dopo aver ricevuto la notifica della cartella di pagamento per il tramite di lettere inviate all’autorità amministrativa. La difesa svolta dall’avvocatura erariale sull’eccezione di prescrizione si limita a richiamare il quinto comma dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018: trattasi di norma eccezionale e derogatoria all’art. 28 della legge n. 689/1981 ed applicabile a tutti gli illeciti in relazione ai quali l’autorità garante non aveva ancora definito il procedimento sanzionatorio con l’adozione di un’ordinanza-ingiunzione alla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo.
Ebbene, tale norma prevede che l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 101/2018 comporta, in via automatica e generalizzata, l’interruzione del termine di prescrizione in relazione agli illeciti già commessi e non ancora accertati con la pronuncia del provvedimento sanzionatorio, con la conseguenza che, da tale data (e, dunque, dal 19 settembre 2018), è cominciato a decorrere un nuovo termine di prescrizione.
16.1. L’eccezione di prescrizione è senz’altro ammissibile: alla data del 16 febbraio 2019 in cui, per effetto del mancato deposito delle memorie illustrative nel termine di centocinquanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo, si è formato in via tacita ai sensi dell’art. 18, commi 2 e 4, del decreto legislativo n. 101/2018 (e, cioè, per effetto dell’automatismo legislativo ricollegato all’inerzia del presunto trasgressore) il provvedimento sanzionatorio (NOTA 1), il termine di prescrizione quinquennale non era, infatti, ancora decorso.
16.2. Nel caso di specie, in particolare, il termine quinquennale di prescrizione (corrente dalla data della presunta violazione avvenuta in data 10 ottobre 2013) è stato validamente interrotto dall’autorità garante l’8 luglio 2014 e, quindi, sarebbe decorso l’8 luglio 2019 e, pertanto, dopo la data del 16 febbraio 2019 quando, non avendo il prof. P. presentato memorie illustrative, la contestazione dell’illecito dell’8 luglio 2014 si è ope legis trasformata in provvedimento sanzionatorio.
16.3. Pertanto, il termine di prescrizione quinquennale è decorso soltanto dopo la formazione del provvedimento sanzionatorio e, dunque, l’intervenuta prescrizione del diritto a riscuotere le somme portate dalla sanzione amministrativa non può che essere fatta valere mediante lo strumento processuale dell’opposizione all’esecuzione con il quale, come innanzi detto, devono essere eccepiti i fatti estintivi del diritto successivi alla formazione del titolo esecutivo. Del tutto fuori gioco è, invece, per quel che concerne l’eccezione di prescrizione, il ricorso previsto dall’art. 10, terzo comma, decreto legislativo n. 150/2011, in quanto, allorché il provvedimento sanzionatorio è stato adottato dall’Autorità garante – sia pure mediante la fictio iuris che attribuisce retroattivamente all’atto di contestazione dell’illecito il valore di sanzione – la prescrizione del diritto a riscuotere le somme irrogate con la sanzione non era ancora maturata.
17. Ai fini del decidere assume, pertanto, rilevanza la previsione di cui all’art 18, quinto comma, del decreto legislativo n. 101/2018. Se il legislatore non avesse emanato tale disposizione il termine di prescrizione sarebbe ampiamente decorso il 18 dicembre 2019 quando il prof. avv. P. aveva ricevuto la notifica della cartella di pagamento (primo vero atto interruttivo dopo la notifica dell’atto di contestazione), sennonché l’art. 18, quinto comma, decreto legislativo n. 101/2018, con previsione applicabile a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, ha previsto l’interruzione del termine di prescrizione in via automatica dalla data della sua entrata in vigore e, dunque, dal 18 settembre 2018, sicché, in virtù di tale norma sopravvenuta, alla data del 18 dicembre 2019 il diritto a riscuotere le somme portate dall’ordinanza ingiunzione non si era ancora prescritto.
18. Tale previsione assume rilevanza anche ai fini della decisione sull’istanza sospensiva dell’efficacia esecutiva del titolo proposta dall’opponente. Non vi è, infatti; dubbio che ove l’art. 18, quinto comma, del decreto legislativo n. 101/2018 non fosse stato introdotto nel nostro ordinamento l’opponente avrebbe serie chance di accoglimento della propria opposizione – in considerazione dell’intervenuta estinzione del diritto portato dal titolo esecutivo rappresentato dall’ordinanza ingiunzione – che potrebbero giustificare la concessione della misura inibitoria dell’efficacia esecutiva del titolo.
19. Orbene, questo giudice è ben consapevole che in un obiter dictum le sezioni unite della Suprema Corte, al fine di affermare la reclamabilità dell’ordinanza con cui il giudice accoglie o rigetta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, abbiano sostenuto che «i gravi motivi in base a cui concedere la sospensione pre-esecutiva non coincidono sic et simpliciter con il periculum in mora ed il fumus bori iuris sempre necessari per ogni provvedimento cautelare: il primo si identifica con la plausibile fondatezza dell’opposizione e purché non si palesi l’inammissibilità della stessa contestazione del titolo (come nel caso di quello giudiziale per fatti non azionati nel giudizio di cognizione, o perfino il difetto di giurisdizione sul merito: casi nei quali, a differenza del processo amministrativo, è da ritenersi precluso al giudice di adottare qualunque cautela) ed il secondo va assunto in un’accezione affatto peculiare, cioè di rischio di un pregiudizio per il debitore che ecceda quello normalmente indotto dall’esecuzione, di per sé integrante un’invasione della sfera giuridica dell’esecutato, ma operata secundum legem, in quanto indispensabile alla funzionalità dell’intero ordinamento giuridico, che esige che i propri comandi (nel caso di specie, contenuti nel titolo) siano rispettati» (cfr. sentenza 23 luglio 2019, n. 19889).
20. Tuttavia, deve ritenersi preferibile la tesi per la quale i gravi motivi per concedere l’inibitoria del titolo esecutivo previsti dall’art. 615, primo comma, del codice di procedura civile non possano che essere i medesimi gravi motivi previsti dall’art. 624 del codice di procedura civile per sospendere l’esecuzione forzata nel caso di opposizione all’espropriazione proposta ad esecuzione già iniziata: laddove, infatti, l’opposizione abbia un fondato fumus di fondatezza, vi è una prognosi che la sfera giuridica dell’esecutato venga compromessa in assenza di un titolo esecutivo o in difformità da quanto prevede il titolo esecutivo stesso e, conseguentemente, non vi è alcuna necessità di bilanciare il diritto del creditore e dell’ordinamento al rispetto del comando contenuto nel titolo esecutivo con quello del debitore a non subire ingiustificate aggressioni perché, dei due interessi, evidentemente sussiste solamente il secondo. E d’altra parte, laddove vi è una valutazione di verosimiglianza che il presunto creditore abbia minacciato l’avvio dell’azione esecutiva in assenza di un titolo esecutivo o diversamente dalle previsioni contenute nel titolo esecutivo stesso, la compromissione del patrimonio del debitore non trova alcuna giustificazione nella necessità di dare attuazione al titolo e, conseguentemente, non vi è ragione per cui il debitore la debba subire anche se dalla medesima gli possa derivare un pregiudizio non grave.
La non manifesta infondatezza della questione di rilevanza costituzionale per in relazione alla violazione dell’art. 76 della Costituzione: la legge delega non contiene alcuna previsione che abiliti il legislatore ad introdurre disposizioni di diritto temporale che allunghino i tempi della prescrizione della pretesa punitiva dell’Autorità amministrativa.
21. Il decreto legislativo n. 101/2018 è stato emanato dal Governo in attuazione della legge 25 ottobre 2017, n. 163, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – legge di delegazione europea 2016-2017 e, in particolare, dell’art. 13 della predetta legge che delega il Governo all’emanazione di uno o più decreti legislativi adeguamento del quadro normativo nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.
22. L’art. 13 della legge di delegazione cosi prevede:
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all’art. 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, acquisiti i pareri delle competenti commissioni parlamentari e del Garante per la protezione dei dati personali, uno o più decreti legislativi al fine di adeguare il quadro normativo nazionale alle diposizioni del regolamento (UE) 2016/ 679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’economia e delle finanze, dello sviluppo economico e per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo è tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’art. 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) abrogare espressamente le disposizioni del codice in materia di trattamento dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, incompatibili con le disposizioni contenute nel regolamento (UE) 2016/679;
b) modificare il codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, limitatamente a quanto necessario per dare attuazione alle disposizioni non direttamente applicabili contenute nel regolamento (UE) 2016/679;
c) coordinare le disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali con le disposizioni recate dal regolamento (UE) 2016/679;
d) prevedere, ove opportuno, il ricorso a specifici provvedimenti attuativi e integrativi adottati dal Garante per la protezione dei dati personali nell’ambito e per le finalità previsti dal regolamento (UE) 2016/679;
e) adeguare, nell’ambito delle modifiche al codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il sistema sanzionatorio penale e amministrativo vigente alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 con previsione di sanzioni penali e amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione delle disposizioni stesse.
4. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e ad essa si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.»
23. Ora, è di tutta evidenza come le norme del regolamento UE n. 2016/679, essendo applicabili a decorrere dal 25 maggio 2018 (v. art. 99), non potevano, né possono essere ritenute applicabili i fatti commessi in data antecedente entrata in vigore del regolamento ed ai procedimenti sanzionatori in corso a quella data e che, pertanto, al fine di adeguare il quadro normativo nazionale alle norme europee sopravvenute e coordinare le disposizioni dell’ordinamento italiano vigenti con le disposizioni introdotte dal regolamento, non pare che il Governo fosse legittimato a dettare disposizioni, quali sono quelle previste dall’art. 18 del decreto legislativo 101/2018, destinate a trovare applicazione soltanto ai procedimenti sanzionatori iniziati prima dell’entrata in vigore delle norme europee ed a fatti ai quali non si applicano le norme del citato regolamento europeo. Si tratta, infatti, di fattispecie che sfuggono completamente, ratione temporis, all’ambito applicativo del nuovo regolamento europeo ed in relazione alle quali, pertanto, non si pone un problema di compatibilità e coordinamento tra le previgenti norme nazionali e quelle sopravvenute europee (e, quindi, una risoluzione di eventuali antinomie tra fonti mediante il ricorso al criterio gerarchico), quanto piuttosto quello della successione di leggi nel tempo e di risoluzione delle eventuali antinomie mediante il criterio della successione cronologica tra norme.
24. Inoltre, quale ulteriore profilo di violazione dei principi e dei criteri. direttivi della legge delega, deve essere considerato che gli art. 83 e 84 del regolamento UE 2016/679 non si occupano affatto del regime di prescrizione delle sanzioni amministrative e che, conseguentemente, non pare al rimettente che il Governo fosse legittimato a modificare, tanto meno in relazione ai fatti passati in relazione ai quali i predetti articoli non trovano applicazione, il regime della prescrizione al fine di adeguare l’ordinamento interno a quello europeo. Non si vede, infatti, per quale ragione, al fine di adeguare l’ordinamento italiano in materia di trattamento dei dati personali alle norme europee, il Governo abbia dovuto introdurre un regime peculiare della prescrizione, eccentrico rispetto alla prescrizione di tutte le altre sanzioni amministrative, nonché rispetto al regime vigente per gli illeciti commessi dopo l’entrata in vigore del regolamento UE 2016/679 e per quelli commessi prima della sua entrata in vigore e con termine ormai decorso o per i quali non era ancora stato iniziato alcun procedimento sanzionatorio.
25. Al giudice rimettente non appare, pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma quinto, del decreto legislativo 101/2018 per violazione dell’art. 76 della Costituzione nella parte in cui modifica il regime della prescrizione (introducendo una nuova causa interruttiva della stessa ricollegata all’entrata in vigore del decreto legislativo) relativamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo ed oggetto di procedimenti sanzionatori alla data di entrata in vigore del regolamento UE. In particolare, in presenza di una legge delega che attribuisce al Governo il potere di emanare norme atte ad adeguare l’ordinamento interno le norme del regolamento n. 2016/679 – il quale si applica solamente ai fatti successivi alla data del 25 maggio 2018 – sembra al giudice a quo che esorbiti l’oggetto della delega la scelta di intervenire sui procedimenti sanzionatori in corso e, più in generale, su fattispecie non oggetto della regolamentazione europea, prevedendo una forma di definizione agevolata mediante pagamento di una frazione del minimo edittale, variando in peius il regime della prescrizione del diritto a riscuotere le somme in relazione alle infrazioni già commesse. Si tratta, infatti, di un intervento normativo che non è funzionale all’adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento UE, ma piuttosto a consentire una definizione in via semplificata di tutti i procedimenti sanzionatori che, a quella data, l’Autorità garante non era stata ancora in grado di concludere, nonché a consentire alla medesima di avere un tempo più lungo a disposizione per riscuotere i crediti pecuniari derivanti dall’irrogazione – con modalità espressa o mediante l’automatismo sanzionatorio previsto nella citata norma – delle sanzioni amministrative in relazione ai soli procedimenti sanzionatori pendenti a quella data.
La non manifesta infondatezza della questione di rilevanza costituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione:
irragionevole disparità di trattamento tra le violazioni commesse prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 101/2018 per le quali il termine di prescrizione era già decorso e quelle per le quali, invece, detto termine non è ancora spirato.
26. Come è noto, in ambito civilistico, la prescrizione è un istituto funzionale ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici e, in particolare, la corrispondenza tra la situazione di fatto (la protratta inerzia del titolare del diritto nell’esercizio delle sue facoltà) e la situazione di diritto (l’estinzione del diritto non esercitato): si ritiene, in altri termini, che il decorso del tempo unito all’inerzia del titolare nell’esercizio del diritto faccia sorgere l’affidamento nel soggetto obbligato in ordine alla consolidazione della situazione di fatto e, conseguentemente, in ordine all’intervenuta estinzione di quel diritto che il titolare ha omesso di far valere per un significativo lasso temporale. La prescrizione è, inoltre, anche strumentale ad assicurare il diritto di difendersi in giudizio da parte dell’obbligato in quanto, decorso un certo lasso di tempo dalla data del fatto generatore del diritto, può essere difficile o impossibile per la parte formulare i mezzi di prova a sostegno delle proprie tesi difensive.
27. In base agli articoli 2943 del codice civile e 2944 del codice civile – richiamati dell’art. 28 della legge n. 689/1981 a sua volta richiamata dall’art. 166 del codice della privacy nella sua formulazione pro tempore vigente – costituiscono atti di interruzione della prescrizione la domanda giudiziale e, per i diritti di credito, ogni atto che valga a costituire in mora l’obbligato, nonché gli atti. con cui il soggetto obbligato riconosce l’altrui diritto. In tutti questi casi, infatti, si ha una situazione in cui o il titolare della pretesa esercita il proprio diritto (e, dunque, viene meno la situazione di inerzia che rappresenta uno dei fatti costitutivi dell’istituto della prescrizione) o l’obbligato, riconoscendo resistenza dell’altrui diritto, ammette che sino a quel momento l’inerzia del titolare non ha generato un affidamento in ordine all’estinzione del diritto, tanto da considerarsi obbligato ad eseguire l’obbligazione posta a suo carico.
28. Con l’art. 18, quinto comma, del decreto legislativo 101/2018, in relazione alle somme dovute in forza di ordinanze ingiunzioni emesse dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo a conclusione di procedimenti sanzionatori iniziati prima dell’applicazione del regolamento europeo e non ancora definiti alla data della sua entrata in vigore, è stata prevista, in via automatica ed a prescindere dal compimento di qualunque atto giuridico ad opera di una delle due parti del rapporto obbligatorio, l’interruzione della prescrizione del diritto a riscuotere le anzidette somme. Si tratta di una causa interruttiva della prescrizione, dunque, del tutto slegata da eventuali atti di esercizio del diritto o da dichiarazioni di riconoscimento del medesimo da parte dell’obbligato. Per l’effetto, dunque, decorre un nuovo termine di prescrizione in relazione a tutti gli illeciti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 101/2018 ed oggetto di un procedimento sanzionatorio non ancora definito alla data di applicazione del regolamento UE 2016/679.
29. Conseguentemente, in base alla diversa collocazione temporale della commissione degli illeciti amministrativi in materia di violazione delle norme sul trattamento dei dati personali e dell’inizio o meno di un procedimento sanzionatorio ad una certa data, il regime della prescrizione muta sensibilmente: per gli illeciti commessi prima dell’applicazione del regolamento UE 2016/679 e non oggetto di contestazione opera la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 legge n. 689/1981; per gli illeciti commessi dopo l’applicazione del regolamento UE il diritto alla riscossione delle somme si prescrive anch’esso di cinque anni; per le infrazioni commesse prima dell’entrata in vigore del regolamento UE 2016/679 con procedimenti sanzionatori a quella data già iniziati, ma non ancora definiti, il termine di prescrizione, per effetto della legge che ha introdotto una causa d’interruzione automatica, è di cinque anni decorrente dall’entrata in vigore della legge più il tempo già trascorso tra la data dell’illecito e quella di entrata in vigore dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018.
30. Questo giudice non ignora che è possibile al legislatore trattare diversamente fattispecie identiche in ragione della loro diversa collocazione temporale, ma ciò a condizione che tale disparità di trattamento sia ragionevole, ovverosia trovi un fondamento che la possa giustificare. Orbene, la mera pendenza di un procedimento sanzionatorio alla data di entrata in vigore del regolamento UE 2016/679 non pare essere un fatto che di per sé possa giustificare l’interruzione del decorso della prescrizione e, conseguentemente, allungare i termini di prescrizione del diritto dell’Autorità garante a riscuotere le somme oggetto della sanzione amministrativa di altri cinque anni.
31. La mera pendenza di un procedimento sanzionatorio – non accompagnata cioè dall’adozione di atti amministrativi di natura endoprocedimentale o dalla presentazione di memorie e documenti da parte del privato – altro non è che una situazione di pura stasi, neppure lontanamente assimilabile ad un atto di esercizio del diritto o ad un atto di riconoscimento proveniente da parte del soggetto passivo della pretesa creditoria. E’, quindi, del tutto irragionevole, rispetto alla disciplina ordinaria degli atti interruttivi della prescrizione, ricollegare alla mera esistenza di un procedimento sanzionatorio l’effetto interruttivo della prescrizione. Non va, inoltre, tralasciato il fatto che al presunto trasgressore potrebbe risultare ignota la perdurante pendenza, al momento di entrata in vigore della nuova legge, di un procedimento sanzionatorio nei suoi confronti e ciò in tutti quei casi in cui, come è quello che occupa il giudice rimettente, siano trascorsi diversi anni dalla comunicazione della contestazione dell’infrazione senza la notifica dell’ordinanza-ingiunzione: la pubblica amministrazione può, infatti, disporre l’archiviazione del procedimento senza notificare tale provvedimento al sottoposto (cfr. art. 18 legge n. 689/1981). In tutti questi casi, infatti, il privato può far affidamento sulla circostanza che il procedimento amministrativo sia stato definito con un’archiviazione tanto più in ragione dei ristretti tempi previsti per la conclusione del procedimento amministrativo previsti, in via generale, dall’art. 2 della legge n. 241/1990.
32. Vi è, inoltre, da osservare come l’entrata in vigore dell’art. 18 decreto legislativo n. 101/2018 non comporta, sempre e comunque, un aggravamento dell’attività a carico dell’autorità amministrativa che irroga la sanzione tale da giustificare l’interruzione (recte la sospensione) del decorso dei termini di prescrizione al fine di impedire che la pretesa creditoria della pubblica amministrazione si estingua per un fatto a lei non ascrivibile. Quest’aggravamento dell’istruttoria procedimentale, invero, si verifica in relazione a quei soli procedimenti in cui il soggetto sanzionato si sia avvalso della facoltà di presentare, entro il termine di centocinquanta giorni dall’entrata in vigore della nuova legge, nuove memorie illustrative. E’ solo per questi procedimenti, infatti, che l’entrata in vigore dell’art. 18 del decreto legislativo 101/2018 porta ad un supplemento di attività e ad un conseguente allungamento dei termini di definizione del procedimento sanzionatorio, obbligando l’Autorità garante all’esame delle memorie presentate dal presunto trasgressore e, eventualmente, ad un supplemento di istruttoria o ad un aggravamento dell’onere motivazionale nel provvedimento finale per quel che riguarda l’accertamento della violazione o la quantificazione della sanzione.
E’ solo in relazione a questi procedimenti, allora, che l’allungamento del termine di prescrizione avrebbe avuto un fondamento razionale, in quanto l’Autorità amministrativa, dovendo prendere posizione sulle nuove memorie presentate dal privato, si trova nella temporanea impossibilità di definire il procedimento sanzionatorio nei termini originariamente preventivati e, conseguentemente, non può temporaneamente esercitare il proprio diritto di credito.
33. Per tutti gli altri procedimenti sanzionatori, invece, l’entrata in vigore della nuova legge non solo non è d’ostacolo all’adozione dell’ordinanza ingiunzione ed alla sua notifica (congiuntamente alla cartella di pagamento) nel termine di prescrizione quinquennale, ma, anzi, addirittura semplifica e velocizza i tempi dell’azione amministrativa: la definizione del procedimento sanzionatorio, in via automatica, mediante l’attribuzione del valore di ordinanza-ingiunzione alla contestazione dell’illecito elimina, di fatti, la necessità per l’autorità garante di: – completare l’istruttoria, – determinare l’ammontare della sanzione irrogata; – adottare un provvedimento finale espresso e motivato in relazione alle risultanze dell’istruttoria ed allo svolgimento del contraddittorio endoprocedimentale. In relazione a questi procedimenti amministrativi, pertanto, la norma di diritto intertemporale consente alla pubblica amministrazione di esercitare il diritto a riscuotere le somme portate dalla sanzione in tempi ancora più rapidi: l’autorità deve solo formare i ruoli sulla base degli atti di contestazione che si sono trasformati in ordinanza ingiunzione e trasmetterli al concessionario per la riscossione.
Quindi, appare irragionevole che il termine di prescrizione, dall’entrata in vigore dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018, debba riprendere a cominciare da capo, azzerando il periodo sino a quel momento trascorso e impedendo al privato di fare affidamento sull’estinzione del diritto per l’inerzia del suo titolare.
34. Per queste ragioni la previsione dell’interruzione del termine di prescrizione appare agli occhi del giudice rimettente manifestamente irragionevole, perché consente all’autorità di rimanere inerte nell’esercitare il proprio diritto per un lasso di tempo ulteriore che può durare sino a cinque anni. dall’entrata in vigore dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018, senza che questa inerzia possa trovare giustificazione nell’esistenza di ostacoli di fatto nell’esercitare il diritto a riscuotete le somme; i quali ostacoli di fatto avrebbero, comunque ed in ogni caso, giustificato l’introduzione di una causa di sospensione del termine di prescrizione e non l’azzeramento del tempo trascorso e la ripresa da capo di un nuovo termine di prescrizione.
35. Appare al rimettente che una regolamentazione ispirata ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità con la previsione del procedimento di definizione agevolata previsto dall’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018 avrebbe, semmai, dovuto portare il legislatore ad introdurre una mera sospensione (e non già interruzione) del termine di prescrizione per il periodo di tempo di centocinquanta giorni previsto dalla legge in favore del privato per presentare nuove memorie. Soltanto in questo ristretto lasso temporale l’Autorità garante non avrebbe potuto, infatti, emettere l’ordinanza-ingiunzione essendo, per contro, obbligata ad attendere l’eventuale instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto interessato. Al netto di questo periodo, un’ulteriore sospensione (e non già interruzione) del termine di prescrizione sarebbe stata giustificata solo in relazione a quei procedimenti per cui il privato, avvalendosi della facoltà di presentare nuove memorie prevista dall’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018, avrebbe impedito alla pubblica amministrazione di formare i ruoli e trasmetterli al concessionario per la riscossione, obbligandola, invece, a definire il procedimento sanzionatorio previo supplemento di istruttoria e adozione di un provvedimento espresso.
36. L’interruzione della prescrizione generalizzata finisce, invece, per trattare in modo ingiustificatamente deteriore tutti coloro che, alla data dell’entrata in vigore del regolamento europeo, risultavano aver in passato ricevuto una contestazione dell’infrazione e che, al contempo, non erano stati ancora destinatari di un’ordinanza-ingiunzione. Costoro, infatti, appaiono privati, sulla base di una previsione di carattere retroattivo in quanto si applica ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore e senza un apparente valido motivo, del diritto a fare affidamento sull’estinzione del diritto in ragione dell’inerzia del titolare nel termine quinquennale previsto in relazione a tutti gli illeciti amministrativi disciplinati dalla legge n. 689/1981.
37. Tale modifica peggiorativa non appare potersi bilanciare dal diritto del presunto trasgressore di pagare una frazione del minimo edittale della sanzione e, così, estinguere l’illecito amministrativo. Anzitutto la modifica legislativa introduce per il privato, in ogni caso e per di più retroattivamente, un ingiustificato trattamento peggiorativo che si risolve nella secca ed irrevocabile alternativa: o egli si riconosce responsabile della violazione pagando la sanzione, sia pure in misura ridotta, oppure il termine per l’esercizio del diritto a riscuotere l’intera sanzione ricomincia a decorrere da capo, con conseguente incertezza della situazione giuridica di diritto sostanziale, a causa del protrarsi del termine in cui il titolare del diritto può rimanere inerte, ed aggravamento della posizione processuale del sanzionato in ragione della difficoltà di difendersi in giudizio a distanza di molto tempo dalla data del fatto storico. In secondo luogo, l’effettiva possibilità di esercitare il diritto di oblazione (se così lo si vuol chiamare mutuando una categoria penalistica) presuppone che il presunto trasgressore venga, in concreto, informato di essere ancora sottoposto a procedimento sanzionatorio alla data dell’entrata in vigore dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018, circostanza questa di cui egli può essere del tutto ignaro – specie se dalla contestazione dell’infrazione sono trascorsi ormai anni – non esistendo un obbligo per l’Autorità di comunicare l’archiviazione dei procedimenti sanzionatori e, pertanto, potendo egli fare ragionevole affidamento, a distanza di molti anni dalla contestazione dell’infrazione, sulla positiva definizione del procedimento amministrativo aperto nei suoi confronti.
38. Deve dunque sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art 18, comma quinto, del decreto legislativo 101/2018 per violazione degli articoli 3 e 76 della Costituzione, questione non manifestamente infondata per le ragioni in precedenza esposte, e la cui rilevanza nel presente giudizio consegue al fatto che dalla sua decisione dipende la possibilità di accogliere l’eccezione di prescrizione quinquennale formulata dall’opponente prof. P. ai sensi dell’art. 28 della legge 689/1981 in sede di opposizione preventiva all’esecuzione (cfr. pag. 8 atto di citazione in opposizione a cartella di pagamento e pag. 4 della comparsa dell’Avvocatura erariale).
39. In attesa della decisione della Corte costituzionale va interinalmente sospesa l’efficacia esecutiva del titolo al fine di evitare che la sospensione del giudizio per la pendenza di una questione di legittimità costituzionale possa frustrare la tutela latamente cautelare richiesta dall’opponente.
—
Note:
(1) Si riporta il testo dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 18 del decreto legislativo n. 101/2018: «2. Decorsi i termini previsti dal comma I [novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo n.d.r.], l’atto con il quale sono stati notificati gli estremi della violazione o l’atto di contestazione immediata di cui all’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, assumono il valore dell’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 18 della predetta legge, senza obbligo di ulteriore notificazione, sempre che il contravventore non produca memorie difensive ai sensi del comma 4. 3. Nei casi di cui al comma 2, il contravventore è tenuto a corrispondere gli imporli indicati negli atti di cui al primo periodo del predetto comma entro sessanta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma 1.4. Entro il termine di cui al comma 3, il contravventore che non abbia provveduto al pagamento può produrre nuove memorie difensive.»
P.Q.M.
Visto l’art. 23 della legge n. 87 del 1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 della Costituzione e 76 della Costituzione;
Sospende interinalmente l’efficacia del titolo esecutivo rappresentato dalla cartella di pagamento oggetto della presente opposizione sino alla decisione della questione pregiudiziale di costituzionalità;
Sospende l’opposizione ex art. 615, primo comma, del codice di procedura civile alla cartella esattoriale sino alla definizione della questione pregiudiziale di costituzionalità dell’art. 18, comma quinto, decreto legislativo n. 101/2018;
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 23, ultimo comma, della legge n. 87 del 1953, e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
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