TRIBUNALE DI VICENZA – Ordinanza 07 aprile 2022, n. 68
Reati e pene – Reati tributari – Reato di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta. – Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), art. 7, nella parte in cui modifica la rubrica e il comma 1 dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205).
Il procedimento in esame trae origine dalla riunione dì procedimenti concernenti diverse annualità e fattispecie previste e sanzionate dal decreto legislativo n. 74/2000 (agli articoli 10-ter e 10-bis).
All’udienza del 23 settembre 2021 la difesa dell’imputato – riportandosi alla memoria già depositata in data 17 settembre 2021 – eccepiva, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, decreto legislativo n. 24 settembre 2015, n. 158, nella parte in cui, con le lettere a) e b) ha apportato modificazioni all’art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000, introducendo nella rubrica, dopo la parola «ritenute», le seguenti: «dovute o»; nonché introducendo nel comma 1, dopo la parola «ritenute», le seguenti: «dovute sulla base della stessa dichiarazione o».
L’illegittimità sarebbe dovuta al contrasto con l’art. 76 Cost., in riferimento alla legge delega 11 marzo 2014, n. 23.
Inoltre le parti, visto il mutamento della persona fisica del giudice, reiteravano il consenso prestato all’acquisizione degli atti d’indagine in relazione a tutti i procedimenti riuniti. Il difensore fiduciario chiedeva altresì rinvio dell’udienza, a prescrizione sospesa, in quanto sulla questione di legittimità sollevata ed illustrata si attendeva pronuncia di altro giudice del medesimo tribunale.
Si rinviava all’udienza del 3 marzo 2022, in previsione della quale, atteso l’ulteriore mutamento della persona fisica dell’organo giudicante nel frattempo intervenuto, il difensore depositava nuova memoria difensiva a sostegno della già sollevata eccezione, segnalando che tale questione risultava già pendente ed in attesa di giudizio avanti la Corte costituzionale in conseguenza dell’ordinanza di rimessione promossa dal Tribunale di Monza in composizione monocratica in data 27 maggio 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2021, n. 42 (Reg. Ord. n. 155 del 2021), che allegava.
Il difensore condivideva le argomentazioni del giudice rimettente che, oltre alla violazione dell’art. 76 Cost., denunciava la contrarietà della norma all’art. 3 Cost., con riferimento ai parametri di ragionevolezza estrinseca ed intrinseca.
Nell’udienza suddetta il difensore insisteva, in principalità, affinché il Tribunale sollevasse in via incidentale questione di legittimità costituzionale o, in subordine, disponesse un rinvio in attesa della decisione della Corte, la cui pronuncia è prevista in data 22 giugno 2022.
Il pubblico ministero aderiva a quest’ultima richiesta.
Questo Tribunale ritiene che la questione di costituzionalità, così come formulata, sia rilevante e non manifestamente infondata con riferimento all’art. 7 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 nella parte in cui modifica l’art. 10-bis, decreto legislativo n. 741/2000, introducendo nella rubrica, dopo la parola «ritenute», le seguenti: «dovute o»; nonché introducendo nel comma 1, dopo la parola «ritenute», le seguenti: «dovute sulla base della stessa dichiarazione o», e, dunque, dell’art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000 nella versione risultante da tale modifica, per violazione degli articoli 25, 76, 77, comma 1, e dell’art. 3 della Costituzione.
1. La vicenda dell’art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000.
La fattispecie in esame non era presente nell’originaria formulazione del decreto legislativo n. 74/2000.
La stessa è stata inserita, nel nostro ordinamento penale-tributario, dall’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (meglio nota come «legge finanziaria 2005»).
Tale disposizione ha in effetti reintrodotto, pur con qualche modifica, il vecchio delitto di omesso versamento di ritenute certificate, già disciplinato dall’art. 2, comma 3, dell’abrogata legge n. 516/1982.
L’introduzione di questa fattispecie delittuosa dimostra come, nel corso del primo decennio del nuovo secolo, il legislatore abbia mutato la politica repressiva in ambito penale tributario, passando dall’intenzione originaria del 2000, e cioè quella di criminalizzare la sola sottrazione dei debiti di imposizione operata attraverso la violazione di obblighi relativi alle dichiarazioni annuali, a quella di punire l’omesso versamento delle imposte dovute.
Le ragioni di tale inversione di tendenza sono indicate nella relazione governativa al disegno di legge della finanziaria del 2005:
«la constatata frequenza del fenomeno ed il danno che da tali comportamenti deriva all’Erario, rendono necessario assicurare tutela penale all’interesse protetto della corretta e puntuale percezione dei tributi, ancor più quando il comportamento dell’omesso versamento è posto in essere da soggetti quali i sostituti di imposta che trattengono per riversare all’Erario tributi di altri soggetti che con essi hanno rapporti: i sostituiti».
Per tale ragione venivano inseriti gli articoli 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate), 10-ter (omesso versamento diIva) e 10-quater (indebita compensazione), con una funzione della norma penale che da strumento di repressione diveniva altresì strumento di tutela della pretesa erariale.
Tuttavia, così come strutturata, la norma offriva solo una tutela parziale al bene giuridico rappresentato dall’interesse patrimoniale dell’Erario alla corretta percezione del tributo, in quanto perseguiva penalmente solo la condotta del sostituto dì imposta che, dopo aver corrisposto somme assoggettate a ritenuta, rilasciato al sostituito la relativa certificazione e presentato il modello 770, ometteva poi di versare all’Erario le ritenute così operate; mentre, paradossalmente, non veniva punito colui che, ad esempio, corrispondeva somme «a nero» omettendo non solo di pagare all’Erario quanto dovuto, ma anche di rilasciare la certificazione ai sostituiti e di presentare il modello 770.
In particolare, tre erano gli elementi costitutivi del reato: una condotta omissiva, consistente nel «non versare» entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute così come risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti; una condotta commissiva, posta in essere a monte, di effettuazione della ritenuta alla fonte (da versare all’Erario) a seguito dell’erogazione di somme; una condotta, parimenti commissiva, di rilascio al soggetto sostituito della certificazione attestante l’ammontare delle somme corrisposte e delle ritenute operate. Tale struttura complessa del reato, costituito da una componente omissiva (il mancato versamento delle ritenute) ed una duplice componente commissiva (le due condotte di effettuazione delle ritenute e di rilascio della certificazione) comportava la qualificazione del rilascio delle certificazioni quale elemento costitutivo della fattispecie e presupposto logico necessario del successivo versamento.
E’ stato l’inciso «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» introdotto con la riforma del 2015 (decreto legislativo n. 158/2015) a ridimensionare la rilevanza delle certificazioni, quantomeno dal punto di vista probatorio. La fattispecie così come riformulata, infatti, punisce il sostituto d’imposta che entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale non versa le ritenute dovute sulla base della dichiarazione o delle certificazioni rilasciate ai sostituiti. Ciò significa che la prova dell’omesso versamento delle ritenute può essere fornita dalla pubblica accusa alternativamente, sia con l’acquisizione e la produzione in giudizio del modello 770, sia con la produzione delle relative certificazioni rilasciate ai sostituiti d’imposta.
In questo consiste l’esito delle modifiche apportate dall’art. 10-bis, decreto legislativo n. 158/2015 che, nell’intenzione del legislatore, dovrebbe semplificare l’accertamento, non richiedendo più come in passato che il pubblico ministero verifichi presso tutti i soggetti «sostituiti» se abbiano ricevuto la certificazione delle ritenute dal sostituto d’imposta, risultando sufficiente, ai fini probatori, un riscontro documentale fra le ritenute dichiarate nel modello 770 e quelle non versate. Proprio in relazione al differente regime probatorio le SS.UU. della Corte di cassazione (sent. n. 24782 del 22 marzo 2018) hanno dichiarato che: «con riferimento all’art. 10-bis nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 158 del 2015. la dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova della avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale». La Corte ha inoltre chiarito – nell’ambito della stessa decisione – che trattandosi di modifiche aventi natura innovativa e non interpretativa, le stesse non operano retroattivamente, con la conseguenza che peri fatti commessi prima dell’entrata in vigore della novella (22 ottobre 2015) non è di per sé sufficiente l’allegazione della attestazione (modello 770) proveniente dal sostituto d’imposta.
Si ritiene tuttavia che detta modifica operata con l’art. 7 del decreto legislativo n. 158/2015 ponga una rilevante e non manifestamente fondata questione di legittimità costituzionale.
2. La rilevanza della questione nel giudizio di merito.
La questione è rilevante.
Emerge infatti, dalla lettura dei capi, d’imputazione n. 7 e n. 8, che la fattispecie contestata è quella di omesso versamento entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (mod. 770/2017) delle ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione, riguardanti redditi di lavoro dipendente, per importi superiori alla soglia di centocinquantamila euro per i periodi d’imposta 2017 (capo n. 7), 2015 e 2016 (capo n. 8). Il momento consumativo, per entrambi i reati, è successivo all’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 10-bis dall’art. 7 del decreto legislativo n. 158 del 24 settembre 2015, ovvero il 22 ottobre 2015.
Si osserva che l’art. 23, comma 2, legge n. 87/1953, laddove facoltizza l’autorità giurisdizionale a sollevare la questione di legittimità costituzionale, lo fa alla condizione che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa, ciò significando la sua necessaria strumentalità per la controversia nella quale si è manifestato il sospetto vizio di legittimità, che non può essere risolta senza applicare la norma censurata.
Nel caso di specie, poiché la fattispecie ascritta all’imputato, ovvero quella di omesso versamento delle ritenute dovute in base alla dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, è quella stessa oggetto di censura, e poiché dunque una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma avrebbe come effetto quello di far venir meno la fattispecie contestata all’imputato, dando così luogo ad una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. per essere il fatto non più previsto dalla legge come reato, e evidente la rilevanza della questione, posto che dalla risoluzione di essa dipende la sussistenza o meno di una pronuncia di proscioglimento o di condanna.
Si osserva che, poiché la rilevanza della questione deve essere vagliata alla luce delle circostanze di fatto sussistenti al momento dell’ordinanza di remissione (C. Cost. sent. 42/2011), la valutazione di questo giudice rimettente non può che fare riferimento al capo d’imputazione per accertare se un’eventuale pronuncia della Corte costituzionale sia in grado di incidere sul processo nel momento preciso e puntuale in cui l’eccezione medesima è sollevata.
E, infatti, la difesa dell’imputato ha prestato il consenso all’acquisizione degli atti di indagine compiuti – segnatamente, degli atti dell’Amministrazione finanziaria sulla scorta dei quali sono state elevate le suddette contestazioni in sede penale; tali atti si limitano, secondo quanto richiesto dalla novella del 2015, a rilevare l’omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione (senza quindi alcun accertamento sulle ritenute operate), comportando dunque, laddove la questione non fosse posta, una pronuncia di condanna, ovvero, in ogni caso, il rischio che l’imputato subisca un processo penale ed eventuali effetti penali sulla base di una norma sospettata di incostituzionalità.
3. La non manifesta infondatezza il contrasto con gli articoli 25, 76 e 77, comma 1 Cost. e con l’art. 3 Cost.
La questione di legittimità costituzionale è fondata.
La questione in relazione a tali parametri è già stata sollevata, come detto, dal Tribunale di Monza (ord. del 27 maggio 2021) con cui è stata sottoposta alla Corte costituzionale la questione in relazione all’art. 7, lettera b) del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, in riferimento all’aggiunta delle parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell’art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000 e conseguentemente dell’art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000, siccome dal primo modificato, per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 76 e 77, comma 1 Cost., e con l’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la penale rilevanza di omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale di sostituto di imposta.
Questo giudice rimettente condivide le argomentazioni svolte.
3.1 In particolare, con riferimento alla violazione degli articoli 25, 76 e 77, comma 1 Cost., si osserva che è riconosciuta, in capo al legislatore delegato, una «fisiologica […] attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante» (Corte Cost. sentenza n. 194 del 2015), che deve, però, svolgersi nell’alveo delle scelte di fondo operate dal legislatore della delega, nel pieno rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con il complessivo quadro normativo (Corte Cost. sentenza n. 59 del 2016).
Le disposizioni contenute nella legge delega concorrono a formare, quali norme interposte, il parametro di costituzionalità dei decreti legislativi delegati (Corte Cost. sentenza n. 59/2016): il contrasto tra norma delegata e norma delegante, per inosservanza dei principi e criteri direttivi o del limite temporale o per esorbitanza dall’oggetto della delega, si traduce in violazione indiretta dell’art. 76 Cost., integrando la tipica figura del vizio di eccesso di delega.
Fin dalla sentenza n. 3/1957, la Corte ha affermato la propria competenza a giudicare della costituzionalità delle leggi delegate in riferimento anche al relativo procedimento di formazione, al fine di garantire il rispetto del principio generale di carattere costituzionale che riserva al Parlamento l’esercizio in via ordinaria della funzione legislativa (art. 70 Cost.), salve le eccezionali ipotesi di potestà normativa primaria del Governo. Le leggi delegate incorrono nel vizio di eccesso di delega ove manchino di rispettare i limiti al potere legislativo delegato indicati nella legge di delega.
L’eccesso di delega, traducendosi in un’usurpazione del potere legislativo da parte del Governo, concretizza la violazione dell’art. 76 Cost., confermando il principio che soltanto il Parlamento può fare le leggi.
Detti principi assumono un ancor più pregnante significato in ambito penale, ove vige il principio della riserva di legge, previsto dall’art. 25 Cost., che ha voluto riservare la c.d. scelta incriminatrice al Parlamento, cioè all’Istituzione che soddisfa maggiormente e direttamente le esigenze di democraticità e rappresentatività che costituiscono il fondamento politico-garantista di tale principio. E dunque, laddove il Parlamento deleghi al Governo la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare, affinché l’esercizio di tale potere sia costituzionalmente legittimo, esso deve avvenire in conformità con i principi ed i criteri direttivi determinati dal Parlamento. Stabilisce infatti la Corte costituzionale che ove si discuta della predisposizione, da parte del legislatore delegato, di un meccanismo di tipo sanzionatorio privo di espressa indicazione nell’ambito della delega, lo scrutinio di «conformità» tra le discipline appare particolarmente delicato e ciò in quanto la sanzione non rappresenta l’indispensabile corollario di una prescrizione (Corte Cost. sent. n. 98 del 2015).
E’ allora evidente lo stretto legame tra gli articoli 25 e 76 Cost., che impone una lettura più stringente del secondo in relazione al primo nel contesto del sindacato di legittimità costituzionale del decreto delegato e, segnatamente, dell’esercizio degli spazi di discrezionalità affidati all’esecutivo in materia penale dalla legge delega (Corte cost. 23 gennaio 2014 n. 5).
Ciò posto, per vagliare la legittimità dell’intervento dell’esecutivo nel caso di specie, e dunque per verificare se il Governo abbia compiuto scelte legislative esorbitanti il perimetro definito dal Parlamento, occorre prendere in esame i criteri direttivi indicati dall’art. 8 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (di delega di riforma del sistema tributario), sul punto ricordando che già le Sezioni Unite nella citata pronuncia sottolineavano che detta legge delega, con riferimento alle fattispecie meno gravi (cui viene ricondotta l’omissione in questione), prevedeva solo ed esclusivamente di ridurre le sanzioni o di applicare, sanzioni amministrative e non autorizzava il Governo in alcun modo ad estendere la portata dell’incriminazione attraverso la previsione di una condotta in precedenza penalmente irrilevante.
Ed infatti, l’art. 8, nel prevedere la revisione del sistema sanzionatorio, stabilisce al comma 1 che: «Il Governo è delegato a procedere, con i decreti legislativi di cui all’art. 1, alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo: la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, per i quali non possono comunque essere ridotte le pene minime previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie; l’efficacia attenuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata di cui all’art. 6, comma 1; la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità; l’estensione della possibilità, per l’autorità giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale i beni sequestrati nell’ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative».
Dalla lettura di tali principi e criteri direttivi emerge, come rilevato dalla Suprema Corte, che non vi è alcuna indicazione circa una eventuale estensione delle fattispecie di cui all’art. 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000 e dei comportamenti che possono condurre all’incriminazione per omesso versamento di ritenute. E infatti il reato di cui all’art. 10-bis rientra, insieme a quello di cui all’art. 10-ter, tra le fattispecie meno gravi, in relazione alle quali il legislatore delegante aveva previsto tre opzioni per il legislatore delegato: abolire completamente i delitti, mantenerli ed elevare le soglie di punibilità con una solo parziale abolitio criminis, lasciarne inalterata la tipicità ma ridurre la risposta sanzionatoria. Nonostante l’ampiezza dei criteri indicati dal legislatore delegante, in alcun modo vi è dato scorgervi l’indicazione dell’estensione della tipicità della fattispecie di cui all’art. 10-bis a condotte diverse da quelle già descritte al momento della delega (e, segnatamente, a quella di omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti). Ciò anche in considerazione della rubrica dell’art. 8, che parla di «revisione» del sistema sanzionatorio, e non di una riformulazione delle figure delittuose previste dal sistema penale tributario.
Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale «la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo» (sentenza n. 194 del 2015; nello stesso senso, sentenze n. 146 e n. 98 del 2015).
Ebbene, la scelta del legislatore delegato di introdurre l’ulteriore condotta dell’omesso versamento delle ritenute dovute sulla base della dichiarazione (modello 770) non rappresenta il corretto esercizio della fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenza n. 230 del 2010), in coerenza con la ratio della legge delega (sentenza n. 229 del 2014).
Ed infatti, se da un lato, quanto al precetto, la modifica apportata dalla novella qui censurata risulta coerente con la direttiva della delega, muovendosi in una direzione restrittiva della sfera di rilevanza criminale delle condotte del sostituto, attraverso l’innalzamento della soglia di punibilità da 50.000 a 150.000 euro, dall’altro, con riferimento alla tipicità, essa opera in un verso espansivo, attraverso un sintagma che inserisce nel computo dell’imposta non versata «le imposte dovute sulla base della dichiarazione del sostituto» (modello 770), allargando cosi lo spettro delle condotte punibili alle ipotesi di ritenute non certificate, ma semplicemente dovute, come indicato nella nuova rubrica dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000.
Dell’ampliamento operato è consapevole il legislatore delegato, come si legge nella Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 158/2015: «si è proceduto, inoltre, ad integrare la rubrica del novellato art. 10-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, in materia di omesso versamento di ritenute certificate, tenuto conto delle modifiche introdotte e, in particolare, dell’estensione del comportamento omissivo non più alle sole ritenute “certificate”, ma anche a quelle “dovute” sulla base della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta».
Si legge inoltre nella relazione dell’Ufficio massimario della Corte di cassazione sul decreto legislativo n. 158/2015 (Rel. n. III/05/2015, p. 27), circa l’interpretazione del nuovo art. 10-bis, «pare comunque di poter escludere che la disposizione introdotta possa definirsi norma di interpretazione autentica, intanto perché così non si autoqualifica, ma soprattutto perché non si limita a chiarire la portata applicativa della disposizione precedente ma anzi ne integra il precetto, cosi dando mostra di non rispettare i tradizionali indicatori della norma interpretativa, per come rassegnati nella giurisprudenza costituzionale», (richiamando in proposito Corte cost., sent. n. 525/2000 e n. 41/2001).
Tale ampliamento si pone in contrasto con gli articoli 25, comma 2, 76 e 77, comma 1, della Costituzione.
3.2 Con riferimento poi alla violazione del parametro costituzionale dell’uguaglianza-ragionevolezza, preliminarmente si osserva che la discrezionalità del legislatore delegato è correttamente esercitata allorché dia luogo a scelte conformi al generale principio di ragionevolezza e proporzionalità desumibile dall’art. 3 Cost. Quando vi è, infatti, la possibilità di scegliere fra più mezzi per realizzare l’obiettivo indicato nella legge di delegazione, la soluzione adottata deve rispettare il canone della ragionevolezza (Corte Cost. sentenza n. 59/2016).
Anche sotto tale profilo, l’art. 7 del decreto legislativo n. 158/2015 risulta costituzionalmente illegittimo.
In primo luogo, con riferimento al principio di ragionevolezza estrinseca (o di uguaglianza-ragionevolezza).
Si osserva che nell’impianto complessivo del decreto legislativo n. 74/2000, maggiore disvalore (cui corrisponde un più severo trattamento sanzionatorio) viene assegnato ai delitti di dichiarazione fraudolenta finalizzata all’evasione rispetto alle fattispecie concernenti la fase liquidatoria del tributo, e ciò in quanto la condotta meramente omissiva è connotata da una minore offensività di quella commissiva di falsità o di infedeltà che, a monte, intenda eludere gli obblighi fiscali tramite artifici simulatori o fraudolenti.
Per tale ragione appare irragionevole la predisposizione di una sanzione penale per l’omesso versamento di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione del sostituto d’imposta e, viceversa, l’irrilevanza penale della falsificazione o infedele predisposizione di quest’ultima.
Così, mentre il contribuente che presenta una regolare dichiarazione ma ometta di versare le ritenute viene sanzionato penalmente, quello che – pur essendo debitore verso l’Erario di un importo analogo – presenta una dichiarazione che ne attesta falsamente uno inferiore alla soglia di rilevanza penale, va esente da pena.
In ciò risiede il carattere di manifesta irragionevolezza dell’art. 10-bis per contrasto con l’art. 3 Cost. avendo il legislatore regolato in termini deteriori condotte meno gravi (quelle attinenti alla fase liquidatoria del tributo) di quelle caratterizzate da più intenso disvalore (gli illeciti dichiarativi) e tuttavia sfornite di tutela penale. Detto in altri termini, comportamenti più gravi devono essere sanzionati in modo più grave, e l’infedele dichiarazione di un reddito finalizzata ad evadere un tributo è comportamento più grave dell’omesso versamento di un tributo regolarmente dichiarato.
Questo per intuitive ragioni, già espresse dalla stessa Corte costituzionale, quando ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 10-ter (Corte Cost. sent. 80/2014): «il contribuente che, al fine di evadere l’IVA, presenta una dichiarazione infedele o non presenta affatto la dichiarazione, tiene una condotta certamente più “insidiosa” per l’amministrazione finanziaria – in quanto idonea ad ostacolare l’accertamento dell’evasione (…) – rispetto a quella del contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, omette di versare l’imposta da lui stesso autoliquidata (…). In questo modo, infatti, il contribuente rende la propria inadempienza tributaria palese e immediatamente percepibile dagli organi accertatori (…)».
Del resto, che tale sia la gerarchia di disvalore tra le fattispecie e testimoniato anche dalle cornici edittali. Si prenda ad esempio l’imposta sul valore aggiunto: più dure le sanzioni della omessa o infedele dichiarazione, rispetto a quelle per omesso versamento. Così anche nel caso della dichiarazione del sostituto d’imposta, ove più dura è la sanzione prevista per l’omessa dichiarazione (art. 5, comma 1-bis) rispetto a quella prevista per l’omesso versamento delle ritenute (art. 10-bis).
3.3 Ulteriore profilo di illegittimità della norma in esame attiene poi alla sua intrinseca irragionevolezza. Ed infatti, l’estensione della tipicità operato con l’art. 7, decreto legislativo n. 158/2015 all’art. 10-bis alla semplice indicazione delle ritenute nel modello 770 (quale presupposto alternativo alla certificazione rilasciata ai sostituti) affida allo stesso contribuente la determinazione arbitraria dell’imposta evasa, con la conseguenza che ciò costituirà paradossalmente un incentivo – nell’assenza, come rilevato, di una norma che punisca la dichiarazione fraudolenta – alla presentazione di modelli 770 non veritieri e dunque con l’indicazione di importi sotto la soglia della punibilità.
Tali conclusioni si pongono in contrasto con i principi ispiratori previsti dall’art. 8 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23 volti alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, nonché con il principio di uguaglianza, anch’esso espressamente previsto dalla legge delega, all’art. 1.
Per tutte le considerazioni svolte l’art. 7 del decreto legislativo n. 158/2015 – nella parte in cui estende la tipicità dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000 sino a ricomprendervi l’omesso versamento di ritenute risultanti sulla base della sola dichiarazione annuale presentata dal sostituto d’imposta – risulta costituzionalmente illegittimo con riferimento agli articoli 76 e 77, comma 1 Cost. in relazione all’art. 25 Cost., nonché con l’art. 3 Cost.
P.Q.M.
Visti gli articoli 1, della legge costituzionale n. 1/48, e 23 della legge n. 87/1953;
Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, sottopone alla Ecc.ma Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale, dell’art. 7 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 nella parte, in cui modifica l’art. 10-bis, decreto legislativo n. 74/2000, introducendo nella rubrica, dopo la parola «ritenute», le seguenti: «dovute o»; nonché introducendo nel comma 1, dopo la parola «ritenute», le seguenti: «dovute sulla base della stessa dichiarazione o», per contrasto con gli articoli 25 Cost. 76 e 77, comma 1 Cost., in riferimento alla legge delega 11 marzo 2014, n. 23, nonché con l’art. 3 Cost.;
Sospende il giudizio in corso sino alla decisione della Corte costituzionale;
Sospende il corso della prescrizione, ai sensi dell’art. 159, comma 1, n. 2 c.p.;
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Dispone la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento;
Dispone la successiva trasmissione della presente ordinanza e degli atti del procedimento, unitamente alla prova dell’esecuzione delle notificazioni e delle comunicazioni previste dalla legge, alla Corte costituzionale per la decisione della questione di costituzionalità così sollevata.
Dell’ordinanza è data lettura alle parti in udienza.