TRIBUNALE ROMA – Sentenza 05 novembre 2013
Lavoro – Cessazione del rapporto – Illegittimità – Prosecuzione del rapporto – Raggiungimento limite di età
Fatto e diritto
1. G.G. ha lavorato alle dipendenze della società S.M. dal 18 febbraio 2002 con inquadramento come quadro e con funzioni di addetto alle relazioni esterne e rapporti istituzionali. Con lettera del 12 giugno 2012 l’amministratore delegato della società ha comunicato al signor G. che il rapporto di lavoro sarebbe cessato in data 9 gennaio 2013 ai sensi dell’art. 61 del c.c.n.l. dipendenti A.; con successiva lettera del 10 gennaio 2013 l’azienda ha comunicato che la data di cessazione del rapporto sarebbe stata il 1 maggio 2013.
1.2. Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 1, commi 47 e ss., della legge 28 giugno 2012 n. 92 il ricorrente ha impugnato il licenziamento affermandone l’illegittimità in quanto avrebbe avuto diritto a proseguire il rapporto fino al compimento del 70° anno di età ai sensi dell’art. 24, comma 4, del decreto legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge n. 214/2011, avendo esercitato, con comunicazione del 26 giugno 2012, la relativa opzione. Ha convenuto, pertanto, in giudizio la società S.M. S.p.A. in liquidazione, chiedendo di dichiararsi illegittimo il licenziamento per manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo e, per l’effetto, di ordinare, ai sensi dell’art. 18, comma quarto, della legge n. 300/1970 la reintegrazione nel posto di lavoro e condannare l’azienda al risarcimento del danno pari a 12 mensilità.
1.3. Nel giudizio si è costituita la società S.M. eccependo preliminarmente la decadenza dall’impugnazione del licenziamento ai sensi dell’art. 6 della legge n. 604/1966 e nel merito affermando la legittimità del recesso avvenuto al compimento dell’età pensionabile (66 anni e tre mesi). Ha chiesto, pertanto, il rigetto del ricorso.
1.4. Con ordinanza del 20 maggio 2013 il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’eccezione di decadenza, ha dichiarato inammissibile il ricorso.
1.5. G.G. ha proposto opposizione avverso la suddetta ordinanza affermando che nessuna decadenza era maturata in quanto il licenziamento del 9 gennaio 2013 è stato tempestivamente impugnato e anche se si qualificasse la lettera del 5 giugno 2012 come licenziamento, la stessa è stata impugnata in data 26 giugno 2013 e affermando l’illegittimità del recesso del datore di lavoro avendo diritto alla prosecuzione del rapporto fino al compimento del 70° anno di età. Ha chiesto, pertanto, di dichiarare l’illegittimità del licenziamento e la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno di cui all’art. 18, quarto comma, della legge n. 300/1970.
1.6. La società S.M. ha chiesto il rigetto dell’opposizione insistendo sull’eccezione di decadenza e affermando nel merito l’infondatezza del ricorso.
2. L’opposizione non è fondata e deve essere rigettata.
La lettera del 5 giugno 2012 avente ad oggetto “Preavviso art. 61 CCNL dipendenti ANAS” non può che essere qualificata come comunicazione del licenziamento.
In primo luogo il senso letterale delle parole utilizzate non può lasciare alcun dubbio sull’intenzione del datore di lavoro di recedere dal rapporto: nella lettera, infatti, si legge “in data 9 gennaio 2013 cesserà il Suo rapporto di lavoro intercorrente con questa Società”.
Il lavoratore fonda l’esclusione della qualificazione della comunicazione suddetta come licenziamento sul fatto che nella suddetta missiva manchi la parola ‘licenziamento’ ovvero ‘risoluzione del rapporto’, precisando che la lettera del 5 giugno 2013 sarebbe un mero ‘preavviso’.
A parte la circostanza che dire che il rapporto cesserà in una determinata data equivale a dire che il rapporto alla stessa data sarà risolto, ovvero che il lavoratore a decorrere da quella data sarà licenziato, si evidenzia che la distinzione operata dall’opponente tra ‘preavviso’ e ‘licenziamento’ è frutto di un mero equivoco, in quanto la comunicazione con la quale, nel rispetto del termine contrattualmente previsto, il datore di lavoro concede il preavviso altro non è che la comunicazione di licenziamento. Infatti non essendo il preavviso altro che il termine che il datore di lavoro deve rispettare nel comunicare il licenziamento, la lettera di preavviso altro non è che la comunicazione del licenziamento che intende rispettare il termine suddetto. Il preavviso non è qualcosa di distinto dal licenziamento, ma è semplicemente un lasso di tempo da rispettare tra la comunicazione del licenziamento e la sua decorrenza.
Premesso che l’art. 61 del c.c.n.l. dipendenti ANAS prevede i termini di preavviso nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro, appare evidente che una lettera che abbia ad oggetto “preavviso art. 61 c.c.n.l. dipendenti ANAS” nella quale si comunichi che il rapporto di lavoro cesserà a decorrere da una certa data altro non è che la comunicazione del licenziamento che ha rispettato il termine di preavviso imposto dal contratto.
2.1. Ai sensi dell’art. 6 della legge n. 604/1966 il lavoratore che intende agire in giudizio contro il licenziamento ritenuto illegittimo deve, a pena di decadenza, impugnare stragiudizialmente il licenziamento medesimo entro il termine di sessanta giorni.
Ai fini dell’impugnazione extragiudiziale del licenziamento, ai sensi dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604, è sufficiente ogni atto scritto con cui il lavoratore manifesti al datore di lavoro, con qualsiasi termine, anche non tecnico e senza formule prestabilite, la volontà di contestare la validità e l’efficacia del provvedimento, essendo in detta manifestazione di volontà implicita la riserva di tutela dei propri diritti davanti all’autorità giudiziaria (cfr. Cass. 12 agosto 1994, n. 7405; 30 maggio 1991, n. 6102).
Il lavoratore ha inviato in data 26 giugno 2012 al datore di lavoro una lettera in cui si legge “…vi informo che il 9 gennaio 2013 compirò 66 anni di età, che in base alla normativa vigente non mi consente di ottenere la pensione di anzianità. Vi informo, inoltre, che intendo proseguire l’attività lavorativa avvalendomi dell’incentivazione di cui all’art. 24, comma 4, del D.L. 6.12.2011 n. 201 convertito in Legge n. 214/2011. Pertanto la vostra comunicazione relativa alla cessazione del mio rapporto non è applicabile nel mio caso specifico”.
Tale lettera, come reso evidente dal tenore della stessa, non riporta alcuna volontà, neppure implicita, di contestare il licenziamento, limitandosi da un lato ad affermare che al 9 gennaio 2013, data della cessazione del rapporto e del compimento del 66 anno di età, non avrebbe ancora potuto fruire della pensione di anzianità e dall’altro a chiedere il trattenimento in servizio fino al termine indicato dall’art. 24, quarto comma, del decreto legge n. 201/2011.
La funzione dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento è quella di rendere edotto il datore di lavoro dell’intenzione di contestare la legittimità del licenziamento e questo al fine di consentire al datore di lavoro di intraprendere eventuali iniziative (per esempio revoca del licenziamento): orbene, nella citata missiva non vi sono elementi dai quali si possa ipotizzare la volontà del dipendente licenziato di contestare il recesso, essendosi egli limitato a comunicare che alla data della cessazione del rapporto non avrebbe fruito ancora del trattamento pensionistico e a chiedere di rimanere in servizio oltre il termine indicato. Tuttavia, l’intenzione di contestare il licenziamento non può ritenersi implicita nella domanda di prosecuzione del rapporto di lavoro, incidendo le due circostanze su profili tra loro del tutto distinti.
Si può concludere che a fronte di una lettera di licenziamento del 5 giugno 2012 il lavoratore non abbia proposto alcuna impugnazione extragiudiziale entro il termine di sessanta giorni previsto a pena di decadenza.
2.2. Occorre a questo punto valutare la lettera del 10 gennaio 2013 nella quale il datore di lavoro ha comunicato al dipendente che “…dopo avere effettuato le necessarie verifiche con l’INPS, il rapporto di lavoro intercorrente con questa società si intende risolto definitivamente in data 1 maggio 2013”, cioè se la stessa configuri una revoca del precedente licenziamento e nuovo licenziamento, facendo così decorrere nuovamente il termine per impugnarlo (termine che in tal caso sarebbe stato rispettato).
Bisogna premettere che la lettera del 10 gennaio 2013 è successiva ad un carteggio intercorrente tra la società e il dipendente in cui quest’ultimo, oltre ad insistere sulla richiesta di permanenza in servizio fino al compimento del 70° anno di età, ha fatto notare che il termine per il collocamento a riposo nell’anno 2013 non era più di sessantanni, come nel 2012, ma di sessant’anni e tre mesi. Con la lettera del 10 gennaio 2013 il datore di lavoro sostanzialmente condivide le osservazioni del dipendete e sposta la data di decorrenza di licenziamento dal 9 gennaio 2013, data di compimento del 66° anno, al 1 maggio 2013, primo giorno del mese successivo al compimento dell’età di sessant’anni e tre mesi.
La lettera del 10 gennaio 2013 non costituisce un nuovo e diverso licenziamento rispetto a quello del 5 giugno 2012, ma è lo stesso atto di recesso che interviene sul termine di preavviso, cioè sulla decorrenza dell’efficacia del recesso.
Poiché il lavoratore aveva affermato che il termine per il pensionamento non era di sessant’anni, ma di sessant’anni e tre mesi, il datore di lavoro, prendendo atto della correttezza delle osservazioni del dipendente, non ha fatto altro che differire l’efficacia dello stesso licenziamento già intimato al momento dell’insorgenza del diritto al trattamento pensionistico.
Non si è trattato, pertanto, di un nuovo licenziamento (con implicita revoca del precedente), ma dello stesso licenziamento il cui termine di preavviso è stato prorogato nell’interesse di entrambe le parti: infatti, era stato lo stesso lavoratore a rilevare che il termine del collocamento a riposo doveva essere posticipato di tre mesi.
Non vi sono motivi per escludere, con il consenso di entrambe le parti, la legittimità della proroga del periodo di preavviso.
Ne consegue che correttamente il giudice della precedente fase ha ritenuto inammissibile il ricorso essendo il lavoratore incorso in decadenza circa la possibilità di contestare la validità del recesso.
3. Si deve evidenziare che, in ogni caso, la domanda del lavoratore non sarebbe fondata essendo legittimo il collocamento a riposo del dipendente al momento del compimento del 66° anno e tre mesi di età. È, infatti, pacifico che a decorrere dall’anno 2013 sia questa l’età che, in presenza dei requisiti di contribuzione, consente al dipendente di usufruire della pensione di anzianità.
3.1. Il ricorrente, invero, non contesta il limite di età indicato, anzi è stato lui stesso a segnalare al datore di lavoro l’errore dell’originaria individuazione della data di decorrenza del trattamento pensionistico, ma afferma che in virtù della disposizione di cui all’art. 24, quarto comma, del decreto legge n. 201/2011, convertito dalla legge 214/2011, avrebbe diritto a rimanere in servizio fino al compimento del 70° anno di età.
La norma in questione dispone: «Per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (di seguito AGO) e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la pensione di vecchiaia si può conseguire all’età in cui operano i requisiti minimi previsti dai successivi commi. Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dall’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni. Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità».
3.2. Il tenore letterale della norma (“il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato … fino all’età di settant’anni…”) non consente in alcun modo di aderire all’interpretazione fornita dal lavoratore opponente secondo il quale la norma porrebbe un vero e proprio diritto potestativo in favore del lavoratore di scegliere se rimanere fino all’età di settant’anni, diritto a fronte del quale vi sarebbe un obbligo del datore di lavoro di consentire la prosecuzione del rapporto fino all’età richiesta dal lavoratore.
L’utilizzo del termine “è incentivato” senza alcuna altra indicazione che consenta di affermare sia la sussistenza di un diritto in favore del lavoratore, sia la disciplina dell’esercizio di tale diritto, consente di affermare che la stessa norma ha, sul punto, un valore meramente programmatico, nel senso di costituire un invito alle parti di consentire la prosecuzione del rapporto fino al 70° anno di età, questo coerentemente con l’impianto complessivo della riforma del sistema pensionistico che tende all’innalzamento dell’età pensionabile.
La norma, del resto, non prevede alcun diritto potestativo in favore del lavoratore, ma unicamente la previsione di un incentivo alla permanenza in servizio fino al 70° anno di età, incentivo che si realizza da un lato attraverso l’applicazione di coefficienti di trasformazione calcolati in base all’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e dall’altro attraverso la previsione che “l’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”. Poiché per i lavoratori che abbiano raggiunto i limiti dell’età pensionabile non operavano le disposizioni in materia di limitazione al licenziamento, sussistendo una delle ipotesi di recesso ad nutum, la norma tende con evidenza ad escludere tale possibilità e questo proprio al fine di incentivare il lavoratore a rimanere in servizio anche oltre il raggiungimento dei limiti di età per il conseguimento della pensione.
3.3. Si deve concludere, allora, che la possibilità per il lavoratore di rimanere in servizio fino di compimento del settantesimo anno di età, in assenza della previsione di un diritto potestativo in favore del lavoratore, usufruendo degli incentivi indicati dalla legge, sia in ogni caso subordinata al consenso di entrambe le parti, consenso che nella fattispecie in esame non vi è stato.
Appare corretto, allora, l’esercizio del diritto di recesso al raggiungimento dell’età pensionabile che per gli uomini nell’anno 2013 è fissata in 66 anni e tre mesi.
4. L’opponente, soccombente, deve essere condannato al pagamento in favore della società opposta delle spese del giudizio liquidate in dispositivo sulla base delle tariffe di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140.
P.Q.M.
Disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, rigetta l’opposizione;
condanna G.G. al rimborso in favore della S.M. S.p.A. in liquidazione dei compensi professionali di avvocato liquidati in complessivi € 1.650,00, oltre I.V.A. e C.P.A, come per legge.
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