La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 2837 depositata il 7 febbraio 2014 intervenendo in tema di retribuzione ha affermato che in relazione alla regola fissata dal R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro, tempo, quest’ultimo, estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale, il datore di lavoro deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.
La vicenda ha avuto come protagonista un dipendente addetto alla lavorazione di gelati e surgelati, obbligato ad indossare una tuta, scarpe antinfortunistiche copricapo e indumenti intimi fomiti dall’azienda, e a presentarsi al lavoro 15/20 minuti prima dell’inizio dell’orario di lavoro aziendale; solo dopo aver indossato tali abiti ed essere passato da un tornello con marcatura del badge poteva entrare nel luogo di lavoro accedendo al reparto dove una macchina bollatrice rilevava l’orario di ingresso. Tali operazioni si ripetevano al termine dell’orario di lavoro per dismettere gli indumenti indossati.
Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, rigetta la domanda del lavoratore tendente al riconoscimento del pagamento delle differenze retributive dovute per il tempo di tali prestazioni, a titolo di compenso per lavoro straordinario e in via subordinata come compenso per lavoro ordinario. Il dipendente avverso la decisione del giudice di seconde cure propone ricorso alla Corte di Apello. I giudici territoriali riformano la sentenza appellata accogliendo la domanda del dipendente. Per i giudici distrettuali, che hanno riconosciuto il diritto del dipendente alla retribuzione per il tempo impiegato nelle operazioni di vestizione e svestizione, ha assunto rilevanza il carattere necessario e obbligatorio per l’espletamento dell’attività lavorativa, e lo svolgimento sotto la direzione del datore di lavoro. Una diversa regolamentazione di tale attività non poteva essere ravvisata, sul piano della disciplina collettiva, dal “silenzio” delle organizzazioni sindacali sul problema del “tempo tuta”, né da accordi aziendali intervenuti per la disciplina delle pause fisiologiche.
Per la cassazione della sentnza del giudice di seconde cure il datore di lavoro proponeva ricorso, basato su quattro motivi di censura, alla Corte Suprema. anche il dipendente propone ricorso incidentale.
Gli Ermellini rigettano sia il ricorso principale che quello incidentale. I giudici di legittimità hanno chiarito che il tempo impiegato per indossare la divisa debba essere retribuito, esclusivamente laddove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
I giudici del Palazzaccio hanno precisato come “l’orientamento secondo cui per valutare se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera, consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 comma 2 cod.civ. ) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.”
I giudici supremi hanno, inoltre, ribadito “in relazione alla regola fissata dal R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 – secondo cui “è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”– il principio secondo cui tale disposizione non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia da considerarsi lavoro effettivo, e debba essere pertanto retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”
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