L’Agenzia delle Entrate in seguito ad un interpello del 23 ottobre 2013, inoltrato da una contribuente, in merito al trattamenti fiscale a cui sottoporre la plusvalenza realizzata con la cessione di un’azienda ricevuta per donazione.
Il caso prospettato dalla contribuente ed esaminato dall’Agenzia delle Entrate ha riguardato un’azienda, svolgente attività di bar, tabacchi ed edicola, ceduta a titolo oneroso nel corso del 2013 che era stata precedentemente oggetto di donazione, tra marito (donante) e moglie (donataria), nel corso del 2012. Il donante aveva avviato l’azienda in parte nel 1988 e in parte nel 1999. La donataria, una volta ricevuta l’azienda in donazione, aveva istituito un’impresa familiare con le sue due figlie e aveva continuato l’azienda proseguendo i medesimi valori fiscalmente riconosciuti in capo al donante, ai sensi dell’articolo 58 del Tuir.
La contribuente aveva posto all’Agenzia il quesito riguardante la possibilità per il contribuente che aveva posto in essere la cessione d’azienda di poter optare per la tassazione separata, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera g) del Tuir, e ciò in base alla considerazione che gli imprenditori individuali possono optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione separata delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni.
È soggetta a tassazione separata la plusvalenza realizzata con la cessione di un’azienda ricevuta per donazione, quando il periodo di possesso del donatario, sommato con quello del donante, è maggiore di cinque anni: lo afferma l’agenzia delle Entrate nella risposta, datata 23 ottobre 2013, all’interpello di un contribuente.
L’Agenzia delle Entrate nel fornire la risposta all’interpello proposto ha considerato la circostanza che il soggetto che ha ceduto l’azienda l’aveva acquisita «in continuità», a norma dell’articolo 58 del Tuir, nel computo del periodo di possesso assume rilevanza (oltre al periodo di possesso maturato in capo al cedente stesso) anche il periodo durante il quale l’azienda era stata posseduta dal donante.
Infatti per l’Agenzia «la continuità dei valori aziendali e la previsione espressa contenuta nell’articolo 58, comma 1, del Tuir, che l’atto non costituisce realizzo di plusvalenza, portano a ritenere che la successione mortis causa e la donazione, sussistendo le condizioni previste dalla norma, non costituiscono operazioni idonee a generare materia imponibile né accadimenti suscettibili di essere considerati interruttivi della continuità aziendale e, quindi, anche del conteggio del periodo di possesso dell’azienda da parte del nuovo titolare dell’azienda» stessa, e cioè del donatario.
Per cui nel caso esaminato la circostanza che il donante aveva esercitato un ramo dell’azienda donata fin dal 1988 e un altro ramo fin dal 1999, a parere dell’Agenzia ricorre il requisito temporale di possesso ultraquinquennale dell’azienda utile al fine dell’esercitabilità dell’opzione per la tassazione separata ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera g) del Tuir: in altri termini, il soggetto che cede l’azienda può scegliere tra la tassazione ordinaria della plusvalenza (in un unico esercizio, in quanto la rateazione non è consentita nel caso, come quello in commento, nel quale il cedente, alienando l’azienda, perde la qualità di imprenditore) e la tassazione separata.
L’Amministrazione Finanziaria, nel caso di specie, ha anche considerato la circostanza inerente l’imputazione della plusvalenza nel caso in cui l’azienda fosse condotta, nella forma dell’impresa familiare.
A tal proposito l’Agenzia ha affermato che la plusvalenza è imputabile interamente all’imprenditore (in quanto l’impresa familiare è un’impresa individuale e non collettiva), con la conseguenza di essere fiscalmente irrilevante per i collaboratori familiari.
Si rammenta che nelle nell’impresa familiare il reddito dell’impresa è dichiarato nel suo complesso dall’imprenditore, quale unico titolare dell’impresa, il quale può imputare parte del suo reddito ai familiari partecipi dell’impresa per un ammontare non superiore al 49 per cento. Questi redditi imputati ai familiari non sono configurabili come costi nella determinazione del reddito dell’impresa ma come una ripartizione dell’utile dell’impresa stessa.
Documentazione allegata
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