AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 16 aprile 2021, n. 255
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Vendite a distanza di beni nei paesi dell’Unione europea
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Il Sig. X, titolare della ditta individuale [ALFA], nel prosieguo istante, fa presente quanto di seguito sinteticamente riportato.
L’istante, esercente attività di commercio al dettaglio di articoli informatici quali videogame, videogiochi e, più in generale, prodotti elettronici all’interno dell’Unione Europea, opera quasi esclusivamente attraverso vendite cd. “on line” sul portale web […] nei confronti di consumatori finali e soggetti passivi IVA.
L’istante, che afferma di aver sempre versato in Italia l’IVA relativa alla sua attività, ha ricevuto l’8 agosto […] dall’Amministrazione fiscale […] una prima “comunicazione” (in lingua […]), relativa ai periodi d’imposta 2013-2016, per omessi versamenti IVA a fronte di operazioni imponibili in […]; ne è conseguita l’apertura d’ufficio di una partita IVA nello stato […].
In data 25 agosto […], l’Amministrazione fiscale […] ha inviato una seconda “comunicazione” richiedendo – a seguito di un calcolo forfetario e non a carattere definitivo – le seguenti somme:
– ANNO 2014: complessivi […] euro cui […] euro per IVA presuntivamente evasa;
– ANNO 2015: complessivi […] euro di cui […] euro per IVA presuntivamente evasa;
– ANNO 2016: complessivi […] euro di cui […] euro per IVA presuntivamente evasa.
Dai riscontri effettuati, l’istante ha appurato che nei periodi d’imposta 2013 e 2014 aveva correttamente dichiarato e versato l’IVA in Italia, non avendo superato le soglie previste dall’articolo 34 della Direttiva 2006/112/CE e, pertanto, ritenendo infondata la richiesta dell’Amministrazione fiscale […], le ha trasmesso le relative dichiarazioni annuali IVA con un debito IVA pari a zero.
Diversamente, nel periodo d’imposta 2015, le soglie previste dal citato articolo 34 sono state superate e, conseguentemente, l’istante avrebbe dovuto richiedere l’apertura della partita IVA in […] e, per le operazioni imponibili oltre tale soglia, avrebbe dovuto versare l’IVA nello Stato estero.
Nello specifico, a seguito di tale superamento e dai riscontri effettuati è emerso quanto segue:
– nel periodo d’imposta 2015 le operazioni imponibili la cui IVA andava versata allo Stato […] ammontano a […] euro, cui corrisponde un’imposta da versare pari a […] euro;
– nel periodo d’imposta 2016 le operazioni imponibili la cui IVA andava versata allo Stato […] ammontano a […] euro, cui corrisponde un’imposta da versare pari a […] euro.
Pertanto, l’istante ha predisposto ed inviato all’Amministrazione fiscale […], la dichiarazione annuale IVA relativa ai periodi d’imposta 2015 e 2016, mentre sono tuttora in corso le verifiche sui successivi anni d’imposta.
Ne deriva che, una volta versata l’IVA allo Stato […], già versata allo Stato italiano, si produrrà una illegittima duplicazione di versamento dell’IVA.
Tanto premesso l’istante chiede:
– quale sia il momento in cui sorge il presupposto per la richiesta del rimborso dell’IVA versata originariamente allo Stato italiano e successivamente pagata allo Stato […];
-quale siano le modalità per richiedere il rimborso dell’IVA in questione allo Stato italiano.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante ritiene che, «qualora un soggetto IVA abbia erroneamente versato l’imposta sul valore aggiunto al Fisco Italiano e che di tale errore abbia preso conoscenza attraverso un provvedimento di accertamento effettuato da autorità straniere, ferma restando la necessità di verifica da parte dell’Ufficio Italiano competente di tutte le condizioni previste dalla Legge e della prassi in materia, debba trovare applicazione quanto statuito dall’art. 11 quater, comma 2, del D.L. n. 35 del 2005, (…), e pertanto il contribuente potrà presentare domanda di restituzione dell’imposta erroneamente versata nei modi e secondo i tempi previsti dall’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992.
Nelle ipotesi in cui, il soggetto IVA si sia accorto della presenza di versamenti IVA inesatti, sebbene non sia stato emesso in precedenza alcun accertamento da parte di autorità straniere, può richiedere il rimborso delle somme erroneamente versate nelle alternative modalità previste dall’art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 322/1998 (cd. ” rimborso d’ufficio”) e dall’art. 38, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973 (cd. “rimborso su istanza”) purché sussistano tutte le condizioni previste dalla Legge e fermo restando la possibilità da parte dell’Agenzia delle Entrate competente di poter disconoscere il credito d’imposta generato o rigettare la richiesta di rimborso effettuata».
Pertanto, con riferimento ai periodi d’imposta 2015 e 2016, l’istante intende presentare entro il 25 agosto […] (scadenza del termine biennale dal ricevimento della “comunicazione” con cui l’Amministrazione fiscale […] ha liquidato forfetariamente le somme) istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, cui rinvia l’articolo 11 quater, comma 2, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, inserito dalla legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80.
Con riferimento agli anni d’imposta successivi, invece, qualora fossero riscontrati errori e non essendo stato emesso – alla data di presentazione dell’istanza – alcun provvedimento da parte dell’Amministrazione fiscale […], l’istante intende integrare e modificare le dichiarazioni IVA presentate, ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.
Parere dell’Agenzia delle entrate
In via preliminare si evidenzia che esula dalle competenze della scrivente ogni valutazione in merito al regime IVA applicabile alle cessioni di beni intra-Ue effettuate dall’istante ed al relativo sistema di fatturazione posto in essere.
Va premesso, altresì, che, in attuazione della delega conferita al Governo con l’articolo 1, comma 1, e l’allegato A, n. 12, della legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Legge di delegazione europea 2018), è in fase di recepimento la nuova disciplina delle vendite a distanza intracomunitarie di beni (articolo 14, paragrafo 4, comma 1, e articolo 14-bis, paragrafo 2, della Direttiva IVA come modificati dalla Direttiva 5 dicembre 2017, n. 2017/2455/UE), applicabile dal 1° luglio 2021 (decorrenza differita rispetto a quella originariamente prevista del 1° gennaio 2021 con decisione del Consiglio UE del 20 luglio 2020, n. 1109).
Ciò posto, l’attuale articolo 41, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, dispone che costituiscono cessioni non imponibili «le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni diversi da quelli soggetti ad accisa, spediti o trasportati dal cedente o per suo conto nel territorio di altro Stato membro nei confronti di cessionari ivi non tenuti ad applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari e che non hanno optato per l’applicazione della stessa.
La disposizione non si applica per le cessioni di mezzi di trasporto nuovi e di beni da installare, montare o assiemare ai sensi della lettera c). La disposizione non si applica altresì se l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso 100.000 euro, ovvero l’eventuale minore ammontare al riguardo stabilito da questo Stato a norma dell’articolo 34 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006. In tal caso è ammessa l’opzione per l’applicazione dell’imposta nell’altro Stato membro dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, relativa all’anno precedente ovvero nella dichiarazione di inizio dell’attività o comunque anteriormente all’effettuazione della prima operazione non imponibile.».
Secondo la norma sopra richiamata, dunque, «le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni» – da intendersi, ex articolo 11-quater del decretolegge n. 35 del 2005, come « cessioni di beni con trasporto a destinazione da parte del cedente, a nulla rilevando le modalità di effettuazione dell’ordine di acquisto» – destinate a consumatori finali, sono soggette ad IVA nello Stato di residenza del cedente se l’ammontare delle cessioni di beni spediti o trasportati nell’altro Stato membro non ha superato nell’anno precedente, e non supera in quello in corso, l’importo di 100.000 euro (ovvero l’eventuale minore ammontare stabilito da detto Stato nella propria legislazione interna a norma dell’articolo 34 della Direttiva 2006/112/CE).
Tuttavia, in caso di superamento di tale soglia nel corso dell’anno, le cessioni già eseguite si intendono effettuate nello Stato membro di origine o Stato di residenza del soggetto passivo cedente, mentre quelle effettuate a partire dalla cessione che ha determinato il superamento della predetta soglia si intendono eseguite nello Stato membro di destinazione, con effetto per tutte le vendite a distanza effettuate nella restante parte dell’anno.
Il menzionato articolo 11-quater dispone, altresì, che “Se lo Stato membro di destinazione del bene richiede il pagamento dell’imposta ivi applicabile sul corrispettivo dell’operazione già assoggettata ad imposta sul valore aggiunto nel territorio dello Stato, il contribuente può chiedere la restituzione dell’imposta assolta, entro il termine di due anni, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera. Su richiesta del contribuente, il rimborso dell’imposta può essere effettuato anche tramite il riconoscimento, con provvedimento formale da parte del competente ufficio delle entrate, di un credito di corrispondente importo utilizzabile in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.
Con la circolare n. 20/E del 13 giugno 2006, è stato chiarito che la norma consente al contribuente, che abbia già corrisposto indebitamente l’IVA in Italia e che sia chiamato a versare l’imposta anche nel Paese membro di destinazione del bene, di attivare il procedimento del c.d. “rimborso anomalo” di cui all’articolo 21 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Il predetto articolo 21, comma 2, ultimo periodo, dispone che “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
In proposito, il richiamato articolo 11-quater, comma 2, individua, quale presupposto per la restituzione dal quale far decorrere il termine biennale, “la data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera”, ossia la data di notifica del provvedimento mediante il quale l’Amministrazione finanziaria dell’altro Paese membro qualifica le cessioni come “vendite a distanza”, da assoggettare ad imposizione nel proprio Stato. Da tale data il contribuente ha, dunque, due anni di tempo per presentare istanza di rimborso dell’imposta già assolta in Italia. Per ottenere il rimborso, inoltre, non è sufficiente il mero avvio della procedura di controllo da parte dell’autorità dell’altro Paese membro, ma occorre che quest’ultimo faccia valere la pretesa impositiva tramite notifica del relativo atto di accertamento. Il rimborso ha ad oggetto l’imposta relativa alle operazioni per le quali sia definitivamente acclarata la debenza del tributo nell’altro Paese membro e sempre che la stessa sia stata precedentemente versata all’erario italiano.
Tanto premesso, con riferimento ai periodi d’imposta già oggetto di accertamento da parte dell’autorità fiscale […] (2015 e 2016), la soluzione prospettata dal contribuente è condivisibile, in quanto conforme alle disposizioni sopra richiamate e ai chiarimenti resi con la citata circolare n. 20/E del 2006.
Per il recupero dell’IVA che l’istante ritiene di aver erroneamente versato in Italia per i periodi d’imposta non ancora accertati dall’autorità fiscale […], non è, invece, ammissibile il ricorso alla dichiarazione integrativa di cui all’articolo 2, comma 8, del dPR n. 322 del 1998, né al rimborso ex articolo 38 del dPR n. 602 del 1973 – disposizioni entrambe destinate al recupero delle imposte dirette. Non è, altresì, consentito il ricorso alla dichiarazione integrativa ex articolo 8, comma 6-bis del dPR n. 322 del 1998, secondo cui «Salva l’applicazione delle sanzioni e ferma restando l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, le dichiarazioni dell’imposta sul valore aggiunto possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile, mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.». L’imposta a debito riportata nelle dichiarazioni annuali presentate dall’istante è, infatti, conforme alle fatture emesse nei confronti dei cessionari con riferimento alle quali, stante il decorso dell’anno, non è consentita l’emissione di note di variazione ex articolo 26 comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA).
Nel caso di specie torna, invece, applicabile l’articolo 30-ter, comma 1, del decreto IVA, che riproponendo ai fini IVA quanto già disposto dall’articolo 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, prevede che “Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”. Ne deriva che l’istante può richiedere il rimborso dell’IVA a suo avviso non dovuta nello Stato italiano considerando quale dies a quo dal quale far decorre il termine biennale previsto dal citato articolo 30-ter, comma 1, del decreto IVA, il momento in cui l’imposta è stata assolta in Italia. A tal fine dovrà dimostrare che l’IVA andava versata nel Paese membro di destinazione. Resta salvo il potere degli uffici deputati al liquidazione dei rimborsi verificare l’effettiva non debenza dell’imposta versata in Italia.
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