La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17819 del 7 aprile 2017 intervenendo in tema di reato fallimentari di cui alla condotta distrattiva contemplata dall’art. 216 comma 1 n. 1 L.F.ha affermato che la vendita “sottocosto”, qualora realizzata in fase diversa da quella della crisi dell’impresa e distante dalla dichiarazione di fallimento, dei beni aziendali per pagare i creditori sociali non integra distrazione fallimentare, ove difetti l’idoneità a pregiudicare la massa dei creditori in seno ad una procedura concorsuale.
Per cui, poste le condizioni temporali e economico-finanziarie, l’elemento oggettivo della distrazione fallimentare può essere integrato dall’ingiustificato distacco dal patrimonio dell’impresa solamente se concretamente determina il pericolo di pregiudicare l’interesse e le prospettive di soddisfacimento dei creditori in sede di eventuale futura procedura concorsuale. La suddetta influenza che, al pari della procedura concorsuale, deve essere prevedibile al momento della condotta e persistere sino alla dichiarazione di fallimento.
La vicenda ha riguardato il legale rappresentante di una società fallita, nei cui confronti veniva emessa, con giudizio abbreviato, condanna in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale avendo ritenuto il Gup che l’atto di cessione di un immobile, perfezionato nel 2003 quando la società cominciava a manifestare uno stato di crisi finanziaria. Per cui la cessione veniva reputata di natura distrattiva anche perché l’immobile si ritenne oggetto di vendita sottocosto. L’imputato avverso la decisione dei giudici di prime cure proponeva ricorso alla Corte Distrettuale, i cui giufìdici confermavano la sentenza impugnata.
La persona condannata proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini accolgono il ricorso. I giudici di legittimità hanno precisato che “Come riaffermato anche dalle Sezioni unite nella sentenza n. 24468 del 2009, ric. Rizzoli, la bancarotta tutela l’integrità del patrimonio nella sua peculiare funzione di garanzia dei creditori, ovvero, secondo la similare prospettiva di Sez. 5, n. 32031 del 2014, Daccò, l’offensività del reato è contraddistinta dal pericolo che, ove per qualsiasi ragione si dia luogo ad una procedura concorsuale, l’esito della stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il patrimonio disponibile. Analogamente la Corte costituzionale, nella ordinanza n. 268 del 1989, aveva osservato che anche l’estensione – disposta dall’art. 236, secondo comma …. “è preordinata alla conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa costituente la garanzia per i creditori della medesima, in vista della mera eventualità del loro non pieno soddisfacimento”. Ne consegue che la fattispecie particolare della configurabilità (salve eventuali emergenze probatorie diverse e ulteriori) di uno stretto rapporto cronologico tra l’atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori della futura procedura concorsuale e gli evidenti segnali o indicatori dei presupposti storici di questa (nella forma della crisi di impresa, o in quella della insolvenza o peggio ancora del dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie normativa con riferimento al caso concreto, poiché è del tutto evidente la natura non solo “pericolosa” ma anche concretamente depauperativa della azione e la rimproverabilità soggettiva del suo autore che, della determinazione del pericolo, non può protestare una imputazione a titolo di responsabilità oggettiva.”
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