Con l’introduzione del comma 5 bis all’art. 7 del D.Lgs. n.546/1992 il legislatore ha per la prima volte introdotto oltre all’onere della prova anche i criteri per la valutazione degli elementi di prova emersi nel processo, intervenendo altresì sugli elementi che il giudice deve porre a base della propria decisione.
In particolare il suddetto comma 5 bis statuisce che il giudice annulla l’atto impositivo qualora “… la prova della sua fondatezza manca o é contraddittoria o se é comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni …”
Pertanto il dovere del giudice di esprimere il suo “prudente apprezzamento”, ex art. 116 c.p.c., deve appurare che la prova sia specifica, puntuale e circostanziata dei fatti contestati, in mancanza di tali requisiti il giudice dovrà procedere ad annullare l’atto impositivo.
Alcuni studiosi hanno evidenziato come il contenuto del comma 5-bis sia simile al comma 2 dell’art. 530 c.p.p. che recita “… Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste …”
La nuova norma, pertanto, prevede che la valutazione “secondo il suo prudente apprezzamento” di cui all’art. 116 c.p.c. deve indurre il giudice ad apprezzare con particolare rigore tali indizi e prove, disattendendo la pretesa quando, anche alla luce delle difese del contribuente, essi appaiano inidonei a integrare, seppur presuntivamente, le “ragioni oggettive” della contestazione.
Sul punto di si ricorda che la Corte di Giustizia Tributaria di Lecce con la sentenza n. 309/2023 depositata il 1° marzo 2023, ha precisato che : “… Nel connotare il deficit probatorio che conduce all’annullamento dell’atto la norma si dilunga nello specificare che la “mancanza”, la “contraddittorietà” o l’”insufficienza” debbono essere correlate alla dimostrazione, in modo circostanziato e puntuale, delle ragioni su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni, impegnando così l’organo giudicante alla valutazione del risultato istruttoriamente acquisito dalla prova incombente sull’Amministrazione, “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale” …”
Il legislatore con l’inciso “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale” ha voluto evitare di eliminare l’intero impianto probatorio procedimentale tributario. Nel quale vi è un forte ricorso a presunzioni semplici ed a volte anche semplicissime.
Per cui i criteri di valutazione del comma 5-bis impongono al giudice l’obbligo di valutare gli elementi probatori in modo estremamente più prudente dettagliando le operazioni di valutazioni degli elementi di prova emersi nel processo.
Il termine di “prudenza” contenuto nell’art.116 c.p.c. ha già un significato di rigore nella valutazione, affidamento a ponderazioni non avventate, ma in cui le probabilità di verificazione dei fatti siano superiori; e l’obbligo di scartare soluzioni accertative in cui le probabilità (che l’enunciazione di un fatto sia vera) siano minori di altre pure possibili.
Mentre l’inciso “dimostrare, in modo circostanziato e puntuale” ha un significato che impone al giudice che l’apprezzamento degli elementi probatori dev’esser basato su elementi riscontrati precisamente, mentre gli assunti precedenti obbligano ad un nesso inferenziale forte tra gli elementi di fatto accertati e la prova da fornire. Pertanto il giudice deve scartare soluzioni che raggiungano un livello di affidabilità non alto.
Violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. – valutazione delle prove
In ordina alla violazione degli art. 115 e 116 c.p.c., la Suprema Corte (Cass. civ., 31 marzo 2022, n. 10463; Cass. ordinanza n. 24880 del 2023) ha puntualizzato che “… in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento dei suddetti articoli, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012;
si é, inoltre, precisato (Cass. civ., 29 marzo 2022, n. 10016) che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione; …”
Il Supremo consesso con l’ordinanza n. 25518 del 2023 ha riaffermato il costante orientamento secondo cui “… in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’ 115 cod. proc. civ. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio o qualora da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi queste da tenere distinte dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene, invece, alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto (cfr., ex plurimis, Cass, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 12971; Cass., Sez. V, 7 novembre 2022, n. 32656, che richiama Cass., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass., Sez. I, 14 febbraio 2020, n. 3796; Cass., Sez. III, 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass., Sez. I, 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. Sez. U. n. 20867/2020; Cass. 24395 del 2020); …”
In tema di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, 30 settembre 2020, n. 20867)hanno affermato che “… la relativa doglianza è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova non abbia operato – in assenza di una diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, attribuendo al risultato di prova il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, quelle aventi valore di prova legale), oppure quando il giudice abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, laddove la prova sia, invece, soggetta ad una specifica regola di valutazione. Diversamente, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. sul punto Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472); …” (Cass. ordinanza n. 25518 del 2023)
L’ordinanza n. 1604 del 2024, sul tema, ha evidenziato come stabilito dalle Sez. Un. con la sentenza n. 8053 del 07/04/2014, “… nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. n. 27815/2018).
in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
[…] Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”. …”
Travisamento della prova
In ordine all’omesso esame di un fatto decisivo il Supremo consesso (Cass. civ., 21 dicembre 2022, n. 37382; Cass. ordinanza n. 24880 del 2023) ha precisato che “… il travisamento della prova, per essere censurabile in cassazione, ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre. E’ inoltre necessario che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio, che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono in modo inequivoco difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito e che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza; …”
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