La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 6820 depositata il 15 febbraio 2024, intervenendo in tema di reato di omessa dichiarazione, ha riaffermato il principio di diritto secondo cui “… in tema di reati tributari, l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere; tuttavia, la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087 – 01). …”
Pertanto per i giudici di piazza Cavour la prova dell’evasione non può essere costituita dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo e nemmeno dalla culpa in vigilando sull’operato del professionista, ma dagli elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una società a responsabilità limitata accusato dei reati di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 per l’omessa presentazione delle dichiarazioni Iva per tre annualità di imposta. Il Tribunale condannava l’imputato per i reati ascritti. L’amministratore avverso la sentenza di condanna dei giudici di prime cure proponeva appello. La Corte Territoriale confermava la sentenza impugnata. Avverso la decisione della Corte di appello veniva proposto ricorso in cassazione, in particolare non avrebbe risposto al motivo di appello sull’avvenuto deposito della comunicazione annuale dei dati Iva, che dimostrerebbe l’assenza del dolo specifico. Per cui, secondo la difesa, la presentazione delle comunicazioni annuali confermerebbe quanto dichiarato dall’imputato sin dall’inizio e cioè che l’omissione era il frutto di una non corretta comunicazione con lo studio commercialista incaricato della tenuta della contabilità aziendale.
I giudici di legittimità nell’accogliere il ricorso evidenziano che il motivo di appello concerneva l’assenza di dolo e la sussistenza, al più della colpa, tenuto conto delle condotte antecedenti e dell’omesso controllo dell’attività del commercialista.
Pertanto la motivazione della sentenza impugnata è assente rispetto alle questioni dedotte ed è manifestamente illogica perché concerne un fatto, la gestione della ditta individuale, estraneo all’imputazione ed alle ragioni della condanna.
Infine, gli Ermellini, hanno ribadito che “… nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito. (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254302 – 01)
I documenti prodotti costituiscono prove nuove, potenzialmente incidenti sulla confisca, non valutabili in sede di legittimità. …”
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