La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 2029 depositata il 30 gennaio 2014 intervenendo in materia di accertamenti ed indagini finanziarie ha affermato che l’Amministrazione deve dimostrare la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati ai soci, l’Amministrazione Finanziaria non è tenuta a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali.
La vicenda ha visto come protagonista una società di capitale a cui veniva notificato un avviso di accertamento basato anche su indagini finanziarie estese a rapporti bancari intestati ai socie ed all’amministratore. La società avverso tale atto impositivo con ricorso proposto inanzia alla Commissione Tributaria Provinciale che in accoglimento delle doglianze della ricorrente annullava l’avviso di accertamento. L’Amministrazione finanziaria impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale i cui giudici confermavano la sentenza appellata. In particolare i giudici di appello affermavano che “il richiamato articolo 32 DPR 600/73, in assenza di ulteriori riscontri da parte degli accertatori, va applicato in ordine alle movimentazioni operate sui conti bancari intestati alla società, ma non in ordine a quelli intestati ai soci, essendosi in presenza di una società di capitali e trattandosi, quindi, di diversi soggetti giuridici”.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso, affidandosi a due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del Fisco cassano la sentenza impugnata e rinviano alla CTR. I giudici di legittimità osservano che, ai sensi degli articoli 32 e 37 del D.P.R. n. 600 del 1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati alla società di capitali, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione Finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Ne consegue che, una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione dell’art. 32 del D.P.R. 600 del 1973 impone alla società contribuente di dimostrare la estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Cass. 20190/2010, n. 15217/2012 e n. 12625/2012).
Alla luce di quanto affermato dai giudici nella sentenza in commento le movimentazioni sui conti correnti dei soci non possono essere attribuite automaticamente all’ente. Per cui grava sull’Ufficio finanziario l’onere di dimostrare, anche mediante presunzioni, la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati a terzi, cosa che non è avvenuta nel caso esaminato, concernente un accertamento bancario a carico di una SRL campana e dei suoi soci.
Pertanto l’Agenzia delle Entrata è obbligata a dimostrare l’interposizione fittizia o comunque la sostanziale imputabilità al contribuente delle risultanze dei rapporti intestati a terzi, legati da vincoli di natura familiare o economica (cfr. Cass. n. 19216 del 2007 e n. 16837 e n. 27176 del 2008). Di tale orientamento ormai prevalente l’Amministrazione Finanziaria ha preso atto subordinando l’estensibilità delle indagini ai conti dei terzi, alla dimostrazione che la titolarità dei rapporti sia fittizia (circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006).
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