La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 24902 depositata il 6 novembre 2013 intervenendo in tema di accertamento induttivo ai fini delle imposte sui redditi ha riconfermato che la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo coma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente, in tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente” (Cass. n. 7871 del 2012).
La vicenda ha riguardato un impresa familiare esercente attività di panificatore che a seguito del controllo fiscale e redazione del PVC veniva emesso e notificato avviso di accertamento basato sulla presunzione di resa della farina acquistata per la produzione del pane e di prodotti similari – pari ad un valore “effettivamente minimo” del 115% -, elaborata sulla base di precisi dati contabili e in contraddittorio con la parte. Nelle operazioni condotte, quali emergevano dal verbale di verifica, era stata prevista inoltre la depurazione dal quantitativo di materia prima del suo carico naturale, di lavorazione e tecnico, nonché della rimanenza rimasta invenduta.
Il contribuente avverso l’atto impositivo ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accolsero le doglianze del ricorrente. L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello accolsero parzialmente l’appello principale, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento, ai fini dell’ILOR e dell’IRPEF. In particolare i giudici della CTR in ordine al rilievo riguardante l’indebita imputazione di costi in quanto non di competenza riteneva essersi consolidato il giudicato favorevole ai contribuenti, per non essere stata la questione riproposta dall’ufficio con l’appello, riformava la sentenza di primo grado ritenendo corretto l’accertamento concernente gli omessi ricavi.
Il contribuente impugnava la decisione della CTR con ricorso, basato su sette motivi di censura, inanzi alla Corte suprema.
Gli Ermellini nel rigettare il ricorso del contribuente hanno richiamato, oltre al principio in ordine alle scritture contabili sopra rilevato, un ulteriore principio secondo cui “nell’accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dall’art. 39, camma primo, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili” (Cass. n. 951 del 2009).
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