La Corte di Cassazione sezione Tributaria con la sentenza n. 24001 depositata il 23 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamento fiscali affermando che è legittimo l’accertamento induttivo dell’Agenzia delle Entrate basato su anomale percentuali di ricarico per cui ben poteva effettuare un accertamento analitico-induttivo anche in presenza di contabilità formalmente regolare.
La vicenda ha riguardato un imprenditore esercente un’attività di Bar-Pasticceria a cui veniva notificato un avviso di rettifica parziale afferente l’IVA dovuta per l’anno 1997, per “omessa registrazione di corrispettivi”, stante la ricostruzione del maggior volume d’affari e la rideterminazione della percentuale di ricarico, ed “indebita detrazione dell’IVA”, all’aliquota ordinaria del 19%, relativamente a prestazione (attività di intermediazione) estranea all’attività aziendale.
Il contribuente avverso l’atto impositivo proponeva ricorso alla Commissione Tributaria che sia in primo grado che in secondo grado accoglieva le doglianze del ricorrente ed annullando l’atto impositivo dell’Amministrazione Finanziaria. In particolare i giudici della Commissione Tributaria Regionale evidenziava che “pur ritenendo ammissibile per l’Ufficio erariale procedere ad un accertamento analitico induttivo, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, nello specifico, non erano state chiarite, né nell’avviso di accertamento, “stilato esclusivamente per relationem”, né in giudizio, le modalità di determinazione dei maggiori ricavi attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico, in particolare sui prodotti di pasticceria (avendo “i verificatori tenuto conto solamente dei prodotti più importanti e non di altri prodotti che pura incidono nella misura del 30% dei costi complessivi dei beni”).
Avverso la decisione della CTR l’Agenzia delle Entrate ha promosso ricorso per la sua cassazione inanzi alla Corte Suprema affidandosi a quattro motivi di censura.
Gli Ermellini accoglie il ricorso dell’Agenzia precisando, che nella fattispecie l’Amministrazione finanziaria aveva rettificato i ricavi del contribuente sulla base delle cosiddette percentuali di ricarico, che il punto critico in questi casi è rappresentato dalla scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico concretamente applicabile. Tale criterio deve comunque rispondere a canoni di coerenza logica e di congruità.
Il controllo riguardo alla logicità sulla scelta e l’applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende, inoltre, anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, non potendo limitarsi il campione ad alcuni articoli soltanto, ma dovendo comprendere l’inventario generale delle merci commercializzate dall’impresa, o comunque un gruppo significativo, per qualità e quantità, dei beni oggetto dell’attività d’impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni.
Per cui alla luce di quanto soprascritto, i giudici supremi, hanno riconosciuto che il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce, sia in tema di imposte dirette, sia in tema di Iva, un legittimo presupposto dell’accertamento induttivo, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti.
Qualora in sede di contenzioso il contribuente contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il Giudice del merito deve verificare la scelta dell’Amministrazione finanziaria in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura dei beni-merce, nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media prescelto.
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