La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20303 depositata il 23 agosto 2017 intervenendo in tema di accertamento ha riaffermato che in caso di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi e oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, comprese la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe sul contribuente e ha per oggetto anche la congruità dei medesimi.
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui era stato inviato un questionario e nei cui confronti venivano svolte indagini finanziarie. L’Amministrazione finanziaria a della mancata risposta al questionario e dell’esito delle indagini finanziarie emette un avviso di accertamento induttivo. Avverso tale atto impositivo il contribuente propone ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accolgono le doglianze del ricorrente. L’Agenzia delle Entrate impugna la decisione dei giudici di prime cure con ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello respingono il ricorso del Fisco in quanto, trattandosi di un accertamento induttivo, l’ufficio aveva insufficientemente motivato il disconoscimento di parte dei costi ritenendoli generici e non documentati, considerata la sola mancata risposta al questionario.
L’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTR propone ricorso in cassazione fondato su un unico articolato motivo. In particolare ritiene, l’ufficio, che l’omessa risposta al questionario legittima l’accertamento induttivo dell’ufficio.
Gli Ermellini ritengono fondato il ricorso. I giudici di legittimità, alla luce della consolidata giurisprudenza, riaffermano il principio di diritto secondo cui, in applicazione della la lettera d-bis) del secondo comma dell’articolo 39, Dpr 600/1973, statuisce che l’Amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento del reddito d’impresa in via induttiva, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, avvalendosi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, “quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’art. 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del D.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633”. Il legislatore, con la norma citata, confermata dalla giurisprudenza di legittimità, fa rientrare l’omessa risposta al questionario tra i presupposti legittimanti l’accertamento induttivo.
La mancata risposta al questionario, come anche la mancata esibizione o trasmissione di atti, documenti, libri e registri, in risposta agli inviti dell’ufficio, producono l’effetto di impedirne la considerazione a favore del contribuente, a prescindere dalle ragioni soggettive determinanti l’omissione. La norma fa dipendere tale conseguenza dal fatto obiettivo dell’omissione, senza alcun riferimento alle motivazione della parte privata, ossia all’elemento psicologico del soggetto che omette di rispondere.
L’ordinanza in commento conferma il consolidato l’orientamento della Corte Suprema in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi e oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, comprese la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe al contribuente. (vedasi, Cassazione 11514/2001, 11240/2002, 4345/2003)
I giudici del palazzaccio hanno confermato il loro orientamento in ordine al potere dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento di valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi oppure all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, pertanto, ha a oggetto anche la congruità dei medesimi (così anche Cassazione 11881/2017 e 19537/2016).
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