La Corte di Cassazione sez. Tributaria con l’ordinanza n. 20013 del 30 agosto 2013 intervenendo in tema di accertamento fiscale ha affermato che sulla base del valore di avviamento, già accertato ai fini dell’imposta di registro, l’Amministrazione Finanziaria può recuperare a tassazione, ai fini IRPEF, la plusvalenza derivante dalla cessione di un’attività commerciale.
La Corte Suprema ha ribaltato la decisione della Commissione Tributaria Regionale accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Il giudice del merito ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento oggetto di controversia per avere l’Ufficio determinato il valore della plusvalenza tassata, in base all’accertamento definitivo del valore fissato ai fini dell’imposta di registro. .
I giudici di legittimità nell’esaminare e decidere sul caso di specie hanno premesso che i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare. Per cui quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione.
In considerazione di quanto sopra il Collegio ha affermato che l’indicazione, nel bilancio di una società, di un’entrata derivante dalla vendita di un bene, inferiore rispetto a quella accertata ai fini dell’imposta di registro, legittima di per sé l’Ufficio a procedere ad accertamento induttivo mediante integrazione o correzione della relativa imposizione, mentre spetta al contribuente che deduca l’inesattezza di una tale correzione di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato rispetto al valore di mercato, dimostrando (anche con il ricorso ad elementi indiziari) di avere in concreto venduto proprio al prezzo (inferiore) indicato in bilancio.
I giudici della Corte Suprema evidenziano nelle motivazioni come l’Agenzia delle Entrate, abilitato dalla legge ad avvalersi di presunzioni, può anche utilizzare una seconda volta gli stessi elementi probatori già utilizzati in precedenza e idonei secondo l’ordinamento a provare il fatto posto a base dell’accertamento. La parola è quindi tornata al giudice di appello, per nuovo esame.
I giudici della Corte Suprema evidenziano nelle motivazioni come l’Agenzia delle Entrate, abilitato dalla legge ad avvalersi di presunzioni, può anche utilizzare una seconda volta gli stessi elementi probatori già utilizzati in precedenza e idonei secondo l’ordinamento a provare il fatto posto a base dell’accertamento. La parola è quindi tornata al giudice di appello, per nuovo esame.
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