La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 1075 depositata il 20 gennaio 2014 intervenendo in tema di accertamento fiscale ha affermato che è legittimo l’avviso di accertamento emesso sulla base di un processo verbale di constatazione redatto nei confronti di un terzo, cliente o fornitore, e solo allegato all’atto impositivo.
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui veniva notificato avviso di accertamento per il recupero di IVA, IRAP e IRPEF basato su un processo verbale di constatazione redatto nei confronti di altro soggetto, non notificato e solo allegato all’avviso di accertamento perché non risultava provata la circostanza che il B. fosse amministratore di fatto della ditta individuale. Il contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici, però, rigettavano le doglianze del ricorrente. La decisione del giudice di prime cure veniva impugnata dal contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale i cui giudici accoglievano le lamentele del contribuente ritenendo l’accertamento illegittimo sia perchè il pvc era stato redatto nei confronti di altro soggetto sia perché il Fisco non aveva provato la circostanza che il contribuente fosse amministratore di fatto della ditta individuale.
Per la cassazione della sentenza del giudice di appello l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema. In particolare lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art.56 c.5° del dpr n. 633/1972.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del Fisco cassando la sentenza impugnata e rinviando ad altra sezione della CTR. I giudici di legittimità confermando i precedenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità (sentenze n. 4430/2003 e 4305/1997), conferma il principio secondo cui, in tema di imposta sul valore aggiunto, nel caso in cui la motivazione dell’avviso di accertamento faccia rinvio a verbali ispettivi redatti nei confronti di soggetti diversi dal contribuente, è necessario, ai fini della legittimità dell’atto, che l’Amministrazione Finanziaria dimostri, anche tramite presunzioni, l’effettiva conoscenza di tali documenti da parte del contribuente.
Per gli Ermellini i giudici di merito hanno disatteso il sopra indicato principio, non avendo considerato che l’allegazione all’avviso di accertamento era circostanza idonea a provare la conoscenza del documento da parte del contribuente, che quindi era in grado di approntare le proprie difese con piena cognizione delle fonti degli addebiti. Come se non bastasse, il giudice del merito, ha motivato l’accoglimento delle eccezioni del contribuente in maniera del tutto generica e in modo tale da non offrire adeguata contezza del percorso decisionale. Sono infatti risultati pretermessi fatti specificamente indicati in ricorso e rilevanti agli effetti decisionali, mentre non sono stati indicati i concreti elementi presi in considerazione per giungere ad affermare che il contribuente non fosse amministratore “di fatto” della ditta individuale accertata.
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