La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 20591 depositata il 24 luglio 2024, intervenendo in tema di deducibilità dei costi di appalti e somministrazione di manodopera, ha statuito il principio di diritto secondo cui “… Ai fini della valutazione della deduzione di componenti negativi di reddito ai sensi dell’art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 e dell’esclusione dalla base imponibile ex art. 26 bis della L. 196/1997 e detrazione dell’IVA, la distinzione tra appalto genuino di cui all’art.1655 cod. civ. e l’illecita somministrazione di manodopera si individua nella concorrenza dei requisiti di assunzione del rischio di impresa e di direzione ed organizzazione di mezzi e materiali necessari da parte dell’appaltatore, tenendo presente che l’organizzazione può anche essere minima negli appalti cd. “leggeri” a prevalenza di apporto personale di unità specializzate, mentre negli appalti cd. “labour intensive” il requisito si sostanzia soprattutto nell’esercizio del potere direttivo dei mezzi e materiali. …”

La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata a cui, in seguito a un p.v.c., veniva notificato un avviso di accertamento con cui veniva contestata la deduzione di costi ai fini delle II.DD. ai sensi dell’art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 e, ai fini IVA, l’indebita esclusione dalla base imponibile ex art. 26 bis della L. 196/1997 e detrazione in relazione a prestazioni di facchinaggio da parte della cooperativa di facchinaggio, non supportate da documentazione, con conseguente contestazione di illecita somministrazione di manodopera. La società contribuente impugnava tale atto impositivo. I giudici di prime cure accoglievano parzialmente le doglianze della contribuente. La sentenza di primo grado veniva appellata dalla società. L’Agenzia proponeva appello incidentale. I giudici di appello accoglievano parzialmente il ricorso della contribuente e rigettavano l’appello incidentale dell’Agenzia. L’Amministrazione finanziaria, avverso la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.

I giudici di legittimità accolsero il primo e terzo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il quarto.

Gli Ermellini hanno precisato che il d.lgs. 276 del 2003, art. 29, normativa in tema di interposizione di manodopera, “…  è stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 6 – L, 12551 del 25/06/2020, conforme a Sez. L, n. 15557 del 10/06/2019), nel senso che, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. labour intensive), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro. Ciò che conta (cfr. Cass. Sez. 6 – L, n. 12551 del 25/06/2020), è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa.

Al contrario, si deve invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente. In questo caso non rileva il fatto che manchi, in capo a quest’ultimo, l’intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro.

Siffatto requisito dev’essere accertato in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto, tenendo conto che, a tal fine, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 (cfr. Cass. Sez. L, n. 18455 del 28/06/2023), mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali, cd. pesanti, il requisito dell’autonomia organizzativa dev’essere calibrato se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti cd. leggeri, in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nella prestazione di lavoro, è sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti. …”

Il Supremo consesso ha ricordato che “… (cfr. Sez. 5, n. 12807 del 26/06/2020), in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, l’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all’assunzione, nel primo, del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore e all’eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l’appaltante-interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell’appaltatore. Specularmente, rimangono in capo all’interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa. Cosicché, nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l’appaltatrice, in ultima analisi è nullo con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA da parte della società contribuente. Ciò rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi ex art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997. …”