La Corte di Cassazione, con la sentenza n.25739 del 15 novembre 2013 ha confermato come nel contratto di apertura di credito regolata in conto corrente, le singole rimesse effettuate sul conto dell’imprenditore poi fallito, nel periodo di cui all’art.67, co.2 L.F., quando il conto sia scoperto (per il superamento del fido), sono revoca bili per la parte relativa alla differenza tra lo scoperto e il limite del fido – senza che la revocabilità debba essere contenuta nel limite del divario tra il massimo scoperto extrafido e il saldo a chiusura del conto – atteso che lo scoperto di conto costituisce per la banca un credito esigibile e che la rimessa, non creando nuova disponibilità per il cliente, ha carattere solutorio (vedasi sentenze n.16610/13, n.10869/94 e n.5413/82).
La vicenda ha riguardato una banca che aveva acquisito da una società correntista, per il recupero del proprio credito, una unità immobiliare. Successivamente la società falliva ed il curatore rivolgendosi al Tribunale chiedeva la dichiarazione d’inefficacia, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 per l’atto di acquisizione dell’unità immobiliare da parte della banca. Il Tribunale rigettava la domanda della curatela ritenendo non provata la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte dell’acquirente.
La curatela impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Corte di Appello. I giudici territoriale accogliendo la l’appello del Curatore hanno ritenuto che ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis occorreva fare riferimento alla data di stipulazione della compravendita, e non già a quella del contratto preliminare, la Corte ha ritenuto che dagli elementi presuntivi acquisiti emergesse univocamente la conoscenza effettiva dello stato d’insolvenza: rilevato infatti che dall’atto risultava l’esistenza di un’ipoteca giudiziale iscritta sull’immobile in virtù di un decreto ingiuntivo emesso per un debito di rilevante importo.
Per la cassazione della decisione del giudice di seconde cure la banca proponeva il ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della banca. I giudici di legittimità hanno ritenuto correttamente applicato, dai giudici distrettuali, il principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione. Inoltre hanno puntualizzato che L’onere di fornire la prova di tale presupposto incombe al curatore, il quale, com’è noto, può assolverlo anche in via indiretta, mediante il ricorso ad elementi indiziari dotati degli ordinari requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., tali da indurre a ritenere che il terzo, facendo uso della normale prudenza ed avvedutezza, da valutarsi anche in rapporto alle sue qualità personali e professionali, nonché alle condizioni in cui si è trovato ad operare, non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18196; 23 settembre 2009, n. 20482; 4 maggio 2009, n. 10209)
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