La vicenda esaminata dalla Cassazione con la sentenza n. 8419 del 05 aprile 2013 ha riguardato due amministratori di una società fallita accusati di bancarotta per distrazione: prescrizione quinquennale.In entrambi i gradi di giudizio di merito viene sancito che l’azione civile di responsabilità è prescritta poiché non sarebbe stato possibile reintegrare una nuova ipotesi di reato (valevole per il termine prscrizionale da adottare) per divieto di mutamento della domanda previsto dagli art.184 e 189 del codice di proc. civile ratione temporis. Il punto dolente della problematica riguarda il comma 3 dell’art. 2947 del codice civile il quale stabilisce che: “In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile“. Dunque con la nuova configurazione di reato, allusa dalla curatela sin dal primo grado, domanda ritenuta inammissibile in appello, i soci distrattari, avrebbero subito la condanna a causa della mancata consumazione della prescrizione che da quinquennale sarebbe diventata quindicennale. La Corte di Cassazione ribalta la situazione stabilendo che già nella causa petendi del ricorso di primo grado si poteva ipotizzare tale reato più grave. Sposando la tesi della curatela ricorrente , gli Ermellini stabiliscono che per la causa de quo la prescrizione è assimilabile al fatto più grave, situazione bissata tra l’altro dalla dichiarazione di fallimento intervenuta successivamente, bacchettando i giudice d’appello per aver applicato falsamente i principi di diritto sul presupposto dell’applicabilità della prescrizione più breve.
Infatti nele motivazioni gli Ermellini statuiscono che i giudici di merito hanno “errato nell’escludere l’applicabilità nella specie del disposto del comma terzo dell’art. 2947 cod.civ. e nel ritenere preclusa all’attore, per il divieto di mutamento della domanda previsto dagli artt. 184 e 189 c.p.c. (nel testo da applicare ratione temporis essendo la causa iniziata nel dicembre 1993), la nuova deduzione in corso di causa circa la ricorrenza, nell’ illecito civile già allegato quale causa petendi, degli elementi propri del reato di bancarotta fraudolenta, onde contrastare l’eccezione di prescrizione sollevata ex adverso.
2.1. Su quest’ultimo punto va invero osservato che, contrariamente a quanto argomentato nella sentenza impugnata, con la suddetta condotta processuale l’attore si è limitato a prospettare una nuova tesi difensiva in diritto, con una diversa qualificazione sotto il profilo penale – ai soli fini della determinazione del termine prescrizionale da applicare nella specie – del fatto illecito civile allegato in citazione. Se infatti si considera la originaria contestazione, da parte della Curatela, del fatto generatore della dedotta responsabilità civile (distrazione dalle casse sociali di una parte cospicua dei ricavi della attività sociale, confluita in un conto corrente bancario personale cointestato ai due amministratori, anziché nel conto corrente normalmente utilizzato dalla società), la qualificazione giuridica di tale condotta, sotto il profilo penalistico, in termini di bancarotta fraudolenta per distrazione anziché di (meno grave) appropriazione indebita di beni della società dipende essenzialmente dalla sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società stessa (cfr. ex multis Cass.pen. n. 37298/10; n. 37567/03; n. 1605/1966), che nella specie è evidentemente incontroversa sin dall’inizio della causa. La Corte di merito ha dunque falsamente applicato la regola processuale del divieto di mutamento della domanda in corso di causa.”
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