La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 14421 depositata il 9 aprile 2024, intervenendo in tema di bancarotta fraudolente distrattiva, ha affermato che la giurisprudenza di legittimità associa “… la nozione di distrazione al distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Rv. 260486; Sez. 5 n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto, diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc., determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (cfr. tra le tante, Sez. 5 n. 8431 del 01/02/2019 Rv. 276031; Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Rv. 260486; Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, Rv. 179047; Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, Pompeo, Rv. 165673). Ne consegue che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione sussiste, non solo quando l’imprenditore fallito abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ma anche quando i beni stessi siano stati utilizzati per finalità diverse da quelle cui sono destinati o quando il ricavato della loro alienazione sia stato comunque volontariamente impiegato per fini diversi dal ruolo che il danaro svolge nella impresa cui appartiene, quale elemento necessario per la sua funzionalità e quale garanzia verso i terzi. …”
Per cui nei casi in cui l’imprenditore o il legale rappresentante di una società fallita va assolto dal reato di bancarotta fraudolente distrattiva quando dimostri che non vi è stata alcuna distrazione.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una società a responsabilità limitata fallita accusato del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale e bancarotta preferenziale. Il Tribunale dichiarava colpevole di bancarotta fraudolenta distrattiva, limitatamente ai prelievi in danaro (capo A) e di bancarotta preferenziale (capo B), assolvendolo dalle residue ipotesi di bancarotta distrattiva e documentale. Avverso tale decisione l’imputato proponeva appello. La Corte territoriale riformava parzialmente la sentenza impugnata dichiarando prescritta la bancarotta preferenziale ( capo B) e confermato la condanna per il delitto sub A), rideterminando la pena. L’imputato proponeva, avverso la decisone di appello, ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità accolgono il ricorso dell’imputato in quanto “… non risulta provata la distrazione della liquidità di pertinenza dell’impresa verso finalità diverse da quelle sociali, in tal caso soltanto potendo ritenersi sussistente sia il pregiudizio per gli interessi del ceto creditorio, al quale vengono sottratte le garanzie previste dalla legge, sia il pregiudizio più ampio all’interesse generale alla corretta gestione dell’iniziativa commerciale. …”
Infatti, per la Corte Suprema, l’imputato aveva dato sufficiente dimostrazione contabile della natura dei prelievi, dimostrando che i prelievi e versamenti sui diversi conti correnti bancari dell’azienda erano delle partite di giro, con denaro spostato dove serve per ripianare sofferenze, ma senza alcuna distrazione delle somme dalle finalità aziendali.
Tali operazioni, per i giudici di piazza Cavour, sono analoghe a quelle compiute mediante l’emissione, a valere sugli stessi conti, degli assegni circolari poi versati su altre banche, come riscontrato anche dalla perizia dibattimentale.
Inoltre i giudici di merito nella sentenza impugnata non chiariscono le ragioni per le quali le operazioni descritte siano state considerate distrattive, atteso che resta indimostrato il depauperamento del patrimonio sociale e, conseguentemente, non risulta riscontrata la messa in pericolo delle garanzie del ceto creditizio.
Gli Ermellini, quindi, hanno ritenuto“… del tutto indimostrata, anzi presentandosi come congetturale, la affermazione della Corte di appello che, interrogandosi sull’origine dei versamenti effettuati dall’imputato sui conti correnti aziendali, ha ipotizzato che essi potessero corrispondere a entrate individuali dell’azienda, non contabilizzate: argomento non supportato da alcun dato fattuale né logico. …”
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