Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 14421 depositata il 9 aprile 2024
bancarotta fraudolente distrattiva – esclusione se si dimostra che non vi è stata distrazione
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia in parziale riforma della decisione del Tribunale di Mantova – che aveva dichiarato S.B. colpevole di bancarotta fraudolenta distrattiva, limitatamente ai prelievi in danaro per complessivi euro 150.570,00 (capo A) e di bancarotta preferenziale (capo B), assolvendolo dalle residue ipotesi di bancarotta distrattiva e documentale, – ha dichiarato prescritta la bancarotta preferenziale ( capo B) e confermato la condanna per il delitto sub A), rideterminando la pena.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato A. L., che svolge tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, denuncia erronea applicazione della legge fallimentare e processuale e correlati vizi della motivazione, anche per travisamento delle prove, per essere stata affermata la responsabilità dell’imputato per la distrazione di danaro aziendale pur in presenza della prova di versamenti corrispondenti ai prelevamenti, come acclarato dalla Guardia di Finanza e dal perito nominato dalla stessa Corte di appello. In realtà, non vi sarebbe stata alcuna fuoriuscita di risorse economiche dal patrimonio aziendale, essendo emerso dalla perizia che, a fronte di prelievi per euro 176,401,80, il ricorrente aveva effettuato versamenti pari a euro 169.507,21, secondo il perito della Corte, ovvero pari a 164.489,21, secondo la consulente di parte. Del tutto illogica, perché non dimostrata, l’affermazione che i versamenti potrebbero essere stati il frutto di entrate non contabilizzate; del resto, parimenti illogica è la considerazione che, in ragione del regime di contabilità semplificata, “neppure esisteva un conto cassa”, atteso che, per un verso, il regime prescelto dall’imputato era legittimo, e, dall’altro che, in concreto, detto conto era stato di fatto redatto e ricostruito dal perito.
La Corte di appello incorre in altra illogicità, laddove ha disposto la perizia contabile, poi svalutandone i risultati sul rilievo dell’inesistenza di un conto di cassa ufficiale.
2. 2. Con il secondo motivo, è denunciata ancora violazione della legge fallimentare e processuale, e correlati vizi della motivazione, per avere la Corte territoriale invertito l’onere della prova, non avendo dimostrato che, dagli atti di cessione contestati, sia derivato un effettivo e diretto danno alle ragioni creditorie; d’altro canto, non corrisponde al vero che la perizia abbia sconfessato la tesi difensiva, risultando, altresì, travisate le dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria.
2.3. Il terzo motivo denuncia vizi della motivazione, per avere negato le circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di appello trascurato che non vi sono stati danni per i creditori e che il ricorrente ha riversato sui conti aziendali il provento della vendita anche dei suoi beni personali, pagando inoltre i dipendenti.
4. Letta la memoria difensiva depositato dall’avvocato Alberto LUPPI nell’interesse del ricorrente, con cui insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ fondato, in modo assorbente rispetto agli altri rilievi difensivi, il primo motivo di ricorso. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello.
2. In fatto, è emerso, nel corso del giudizio di merito, che l’imprenditore ricorrente si avvaleva di 14 conti correnti accesi presso oltre 10 diversi istituti bancari, verosimilmente, al fine di poter sfruttare la maggiore possibilità di aperture di credito da parte delle singole banche; inoltre, è emerso che su ciascuno di tali conti risultavano effettuati numerosi prelevamenti e versamenti, quasi sempre per somme di scarsa entità.
La Corte d’appello, che ha anche illustrato le laboriose operazioni contabili del perito nominato nel giudizio di appello, le cui attività sono state oggetto di un ampio contraddittorio sviluppato con il consulente della difesa, ha concluso che “l’imputato non abbia dato nella specie adeguata dimostrazione che quel denaro prelevato è stato speso per soddisfare esigenze aziendali” e reputando corretto il giudizio del perito secondo cui “non vi è un’effettiva corrispondenza, anche ipotizzando varie tipologie di sommatorie non si arriva mai a un risultato univoco tra quanto prelevato e quanto versato”.
3. Il ricorso insiste sulla tesi che il ricorrente avrebbe messo in atto delle partite di giro, per cui prelevava piccole somme da un conto corrente che riversava su altro, che risultava in sofferenza, cosicchè, non vi sarebbe stata alcuna distrazione delle somme prelevate dalle finalità aziendali né sarebbero state sottratte alla garanzia dei creditori. Tesi che, già prospettata nel giudizio di merito, è stata ritenuta indimostrata dalla Corte di appello, la quale, come premesso, ha affermato che neppure la perizia svolta dalla stessa Corte di appello aveva fornito elementi utili a tale ottica, poiché, pur avendo il perito ( e lo stesso teste di polizia giudiziaria) riconosciuto una sostanziale coincidenza tra gli importi prelevati e quelli riversati, quasi sempre consistenti in piccolissimi importi, non ci sarebbe – in presenza di contabilità semplificata e, quindi, in mancanza di prova documentale – la certezza che versamenti fossero esattamente corrispondenti ai prelievi, potendo ipotizzarsi – secondo i Giudici di merito – che, invece, i versamenti corrispondessero a somme provenienti da altre operazioni aziendali “al nero”, o comunque non contabilizzate. Non essendo stata dimostrata l’esatta corrispondenza degli importi movimentati con le due opposte operazioni bancarie, si è esclusa anche la ravvisabilità della bancarotta· riparata.
4. Ritiene il Collegio che la decisione presti il fianco alle censure di illogicità formulate dalla Difesa, in primo luogo, perchè, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, l’imputato ha dato sufficiente dimostrazione contabile della natura dei prelievi, quali partite di giro analoghe a quelle compiute mediante l’emissione, a valere sugli stessi conti, degli assegni circolari poi versati su altre banche, come riscontrato anche dalla perizia dibattimentale.
4.1. D’altronde, risulta del tutto indimostrata, anzi presentandosi come congetturale, la affermazione della Corte di appello che, interrogandosi sull’origine dei versamenti effettuati dall’imputato sui conti correnti aziendali, ha ipotizzato che essi potessero corrispondere a entrate individuali dell’azienda, non contabilizzate: argomento non supportato da alcun dato fattuale né logico.
4.2. Cosicchè, in sintesi, la sentenza non chiarisce le ragioni per le quali le operazioni descritte siano state considerate distrattive, atteso che resta indimostrato il depauperamento del patrimonio sociale e, conseguentemente, non risulta riscontrata la messa in pericolo delle garanzie del ceto creditizio, considerato che, per quanto accertato anche nel corso della perizia svolta dalla Corte di appello, si è registrata una sostanziale coincidenza tra prelievi e versamenti, neppure assumendo dirimente rilievo, a tali fini, la circostanza, oggetto di prospettazione del tutto ipotetica da parte della Corte di appello, che le somme riversate sui conti correnti provenissero da operazioni non contabilizzate, proprio per la mancanza di riscontro in merito all’eventuale distrazione di somme incassate ‘al nero’, evenienza neppure contestata formalmente.
5. Come è noto, la giurisprudenza di legittimità ricollega la nozione di distrazione al distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Rv. 260486; Sez. 5 n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto, diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc., determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (cfr. tra le tante, Sez. 5 n. 8431 del 01/02/2019 Rv. 276031; Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Rv. 260486; Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, Rv. 179047; Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, Pompeo, Rv. 165673). Ne consegue che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione sussiste, non solo quando l’imprenditore fallito abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ma anche quando i beni stessi siano stati utilizzati per finalità diverse da quelle cui sono destinati o quando il ricavato della loro alienazione sia stato comunque volontariamente impiegato per fini diversi dal ruolo che il danaro svolge nella impresa cui appartiene, quale elemento necessario per la sua funzionalità e quale garanzia verso i terzi.
6. Alla luce di tali criteri ermeneutici, nel caso di specie, non risulta provata la distrazione della liquidità di pertinenza dell’impresa verso finalità diverse da quelle sociali, in tal caso soltanto potendo ritenersi sussistente sia il pregiudizio per gli interessi del ceto creditorio, al quale vengono sottratte le garanzie previste dalla legge, sia il pregiudizio più ampio all’interesse generale alla corretta gestione dell’iniziativa commerciale.
7. Delle evidenziate aporie argomentative dovrà esser fatta emenda nel rinnovato giudizio di merito da parte della Corte di appello, che, nel quadro dei princìpi di diritto richiamati, conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi (Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998, Rv. 210016), potendo procedere ad un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Rv. 252333).
7.1. L’epilogo del presente scrutinio di legittimità è l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
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