La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10075 depositata il 15 aprile 2024, intervenendo in tema di accertamento sintetico di cui all’art. 38 del Dpr n. 600/1973, ha ribadito che “… siffatta presunzione legale relativa comporta che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’ufficio, non possa privarli del valore connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma unicamente valutarli insieme con la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (v. ad es. Cass. n. 37985/2022; Cass. n. 1980/2020; Cass. n. 10266/2019).
Costituisce, quindi, principio consolidato quello secondo cui << In tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell’art. 38, comma 6, d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere>> (Cass. n.1510/2017; conf. Cass. n. 29067/2018 e n.16637/2020). …”
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento sintetico del reddito che scaturiva, in gran parte, da una cessione di quote societarie di ingente ammontare, il cui regolamento sarebbe stato effettuato mediante compensazione di crediti vantati, nel corso degli anni, dal ricorrente nei confronti della società cedente. Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di prime cure rigettano le doglianze del contribuente ritenendo privi di pregio i motivi di opposizione esposti dal ricorrente, constatando, pertanto, la legittimità e fondatezza dell’atto impositivo ed evidenziando che non risulta pienamente provata la sussistenza contabile del credito, anche perché si tratterebbe di ingenti somme anticipate nel corso degli anni. Avverso la decisione di primo grado il contribuente propone appello. I giudici di appello rigettano il ricorso del contribuente ritenendo che l’avviso di accertamento fosse adeguatamente motivato ed, in ordine alla prova contraria di parte contribuente non risultava sufficientemente provata con la produzione delle relative fatture, da sola, a provare quanto sostenuto dal contribuente senza un riscontro contabile e documentale di entrambi i contraenti, aggiungendo che il contratto di cessione risultava alquanto generico sulle modalità di pagamento del corrispettivo. Avverso la sentenza di appello, il contribuente proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità accoglie parzialmente il ricorso del contribuente riaffermando che “… La prova incombente sul contribuente non è comunque tipizzata, sicché essa può essere data con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale dell’elemento accertato dal Fisco e la durata del possesso (cfr. Cass. n.28157/2020).
Al fine di meglio delimitare l’ambito della prova contraria gravante sul contribuente, questa Corte ha precisato che la prova documentale richiesta dalla norma in grado di superare la presunzione di maggiore reddito ben può essere fornita con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo alla parte contribuente, idonei a dimostrare, mediante l’indicazione dell’entità dei redditi e delle date dei movimenti, anche la «durata» del possesso dei redditi e, quindi, non il loro semplice «transito» nella disponibilità del contribuente (Cass., sez. 6-5, 16/05/2017, n. 12214; Cass. sez. 6 – 5, 16/05/2018, n. 12026; Cass., sez. 6-5, 23/03/2018, n. 7389). …”
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