CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 20540 depositata il 17 luglio 2023

Lavoro – Restituzione somme pagate – Esecuzione di una sentenza riformata – Violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. – Prova del versamento – Interpretazione di un atto – Presunzioni semplici – Accertamento in fatto riservato al giudice di merito – Inammissibilità – chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato il ricorso proposto da R.F.I. Spa nei confronti di G.G. volte ad ottenere la condanna alla restituzione della somma pari ad euro 154.421,00 asseritamente corrisposta in esecuzione di una sentenza successivamente riformata;

2. la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha ritenuto non fosse stata raggiunta la prova che la società avesse provveduto al pagamento, argomentando, sulla base dell’istruttoria espletata, che “gli elementi […] esaminati non hanno, individualmente considerati, i caratteri della gravità e della precisione e proprio la loro inconsistenza fa sì che neppure considerandoli nel loro complesso si prestino al riscontro del fatto ignoto di interesse”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con due motivi; ha resistito con controricorso l’intimato;

entrambe le parti hanno comunicato memorie;

all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1. col primo motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2728 c.c.; degli artt. 416 e 421 c.p.c. e degli artt. 115 c.p.c. e 116 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di libertà della prova e di prova per presunzioni, di onere di contestazione, di obbligo del giudice di valutare il materiale probatorio anche se acquisito al giudizio ex art. 421 c.p.c.”; tra l’altro si critica la sentenza impugnata per non avere adeguatamente valorizzato la dichiarazione fiscale contenuta nel mod. 770; il secondo motivo eccepisce: “violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, di tutte le norme e principi di cui al precedente motivo primo, nonché degli artt. 420 e 228 e ss. c.p.c. e di ogni altra norma e principio in tema di efficacia probatoria delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio”;

2. i motivi – congiuntamente esaminabili per connessione in quanto criticano diffusamente la sentenza impugnata per non avere tratto dagli elementi indiziari acquisiti al giudizio la prova dell’avvenuta percezione delle somme da parte del G.G. – risultano inammissibili, così come già statuito da questa Corte in controversie analoghe (v. Cass. n. 35206 del 2021; Cass. nn. 2657, 13898, 25331 e 28772 del 2022; Cass. n. 12872 del 2023), riguardando il merito della vicenda e la valutazione delle prove, con i connessi limiti del sindacato da svolgersi in sede di legittimità e con conseguente esclusione di contrasti giurisprudenziali tra la presente decisione ed altre, pur giunte ad un diverso esito;

2.1. opportuno premettere che non è dubbio come il verificare se, nella concretezza della vicenda storica, si sia realizzato o meno il versamento di una somma di denaro costituisca pienamente una quaestio facti, il cui accertamento è devoluto al giudice del merito e lo stesso non può essere criticato innanzi a questa Corte di legittimità, sollecitando un sindacato che esorbita dai suoi poteri;

2.2. in particolare, circa la pretesa violazione degli artt. 2727 e 2729 del codice civile, è noto che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione; spetta quindi al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010) e compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza del fatto ignoto; la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017); essendo compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato, i quali presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria, nonché l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, l’esito dell’operazione si sottrae al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017; da ultimo: Cass. n. 9054 del 2022), salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto, chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.; più di recente v. Cass. n. 1234 del 2019) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;

2.3. la doglianza relativa alla violazione delle norme sulle presunzioni non viene, a sua volta, neanche presentata nei termini indicati dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 1785 del 2018) che, in motivazione, identificano la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. nell’avere il giudice di merito fondato la presunzione “su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota”, per cui ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., il giudice di legittimità può essere investito “dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi”, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; infatti, se il giudice del merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza, così sussumendo nell’alveo dell’art. 2729 c.c. fatti privi di quelle caratteristiche, incorre in una falsa applicazione della norma, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contento astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, della precisione e della concordanza (di recente, Cass. n. 9054 del 2022); ma per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica della sentenza impugnata deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto dal giudice, contestando o quello della gravità, perché difetta la cd. inferenza probabilistica rispetto al fatto noto, o quello della precisione, nel senso che la presunzione presenta inferenze probabilistiche plurime e non quella sola assunta dal giudice di merito, ovvero quello della concordanza, per avere il giudice impiegato dati fattuali tra loro dissonanti rispetto alla presunzione stessa; non può invece svolgere argomentazioni dirette puramente e semplicemente a infirmare la plausibilità del ragionamento presuntivo condotto dal giudice di merito, criticando la ricostruzione del fatto che questi abbia operato ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione, dal momento che ciò implicherebbe lo sconfinamento della censura dal paradigma della violazione dell’art. 2729 c.c. (in termini, Cass. n. 18611 del 2021);

2.4. in base alle considerazioni svolte la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, c.c., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza; di contro, la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, che è quanto risulta dalle doglianze proposte con il motivo di ricorso in esame dove la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta appunto nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo;

2.5. conclama il tentativo di parte ricorrente di rivalutare il merito della vicenda l’inappropriato richiamo alla violazione sia dell’art. 2697 c.c. sia degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa la mancata prova del versamento, opponendo una diversa valutazione;

per l’altro aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come novellato (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017);

2.6. infine, quanto alla valenza probatoria del modello 770, in analoghe controversie (Cass. n. 25331 del 2022 e Cass. n. 12872 del 2023 già citate) è stato rammentato che, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione di un atto è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e s.s. c.c. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione;

pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa;

4. alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori B. e P. dichiaratisi antistatari;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012, per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.