La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositata il 15 aprile 2024, intervenendo in tema di usi aziendali nelle ipotesi di cessione aziendali, ha statuito che con “… riferimento all’uso aziendale, “fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro (che) agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, sostituendo alle clausole contrattuali e a quelle collettive in vigore quelle più favorevoli dell’uso aziendale, a norma dell’art. 2077, secondo comma, cod. civ.”, questa Corte ha sottolineato che “il diritto riconosciuto dall’uso aziendale non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda, posto che operando come una contrattazione integrativa aziendale subisce la stessa sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore di lavoro e non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di propria contrattazione integrativa. (Cass. n. 5882 del 2010). Da tale principio si ricava che l’uso aziendale, invece, sopravvive, ove la cessionaria non sia dotata di una propria contrattazione integrativa aziendale. …”
La vicenda ha riguardato un gruppo di lavoratori, di una società operante nel setto automotive la cui azienda era stata oggetto di cessione, che adivano giudizialmente al fine di ottenere dalla società cessionaria il pagamento del premio che, per uso aziendale, veniva corrisposto ogni anno a luglio dall’impresa cedente. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, respinge la richiesta dei lavoratori, i quali impugnano la sentenza di primo grado. La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna in solido, sia la società cedente che la società cessionaria, al pagamento a ciascun lavoratore il premio feriale maturato. Le due società avverso la decisione di appello proponevano separati ricorsi per cassazione, ciascuno fondato su due motivi.
Il Supremo consesso nel rigettare i ricorsi delle due società riafferma che “… in caso di cessione di ramo d’azienda, ai dipendenti ceduti trova applicazione, ai sensi dell’art. 2112, comma 3, c.c., il contratto collettivo in vigore presso la cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, restando in vigore l’originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva (v. Cass. n. 37291 del 2021; n. 19303 del 2015; n. 10614 del 2011; n. 5882 del 2010, a proposito di fusione o incorporazione di società; v. anche Cass. n. 20918 del 2020 in materia di pubblico impiego contrattualizzato). …”
Nel caso di specie, i giudici di piazza Cavour hanno evidenziato che le due società non hanno “… dimostrato l’applicazione presso le cessionarie (prima S. spa -ora F.M. spa- e poi P.A. Melfi srl) di contrattazione collettiva aziendale, quale presupposto necessario a impedire (in ragione del “pari livello”) l’ultrattività dell’uso aziendale in vigore presso la cedente (equiparabile ad un contratto aziendale). …”
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