La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 8445 depositata il 28 marzo 2024, intervenendo in tema di deducibilità delle perdite su crediti, ha riaffermato il principio di diritto secondo cui “… in tema di imposte sui redditi, non è necessario, al fine di ritenere deducibili le perdite sui crediti quali componenti negative del reddito d’impresa, che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e, quindi, l’assoggettamento di costui ad una procedura concorsuale, essendo sufficiente che tali perdite risultino documentate in modo certo e preciso, atteso che secondo il disposto dell’art. 66, comma terzo, (ora art. 101, comma quinto) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le perdite sono deducibili, oltre che se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, quando, comunque, risultino da elementi certi e precisi (cfr. Cass. V, n. 3862/2001; n. 23863/2007; n. 10643/2018). …”
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata esercente l’attività di locazione a terzi di beni immobili ed è proprietaria, tra l’altro, di un compendio a destinazione abitativa di interesse storico artistico. Alla società contribuente l’Agenzia delle entrate notificava un avviso di accertamento con cui veniva rimodulato il ricavo come reddito di impresa, senza possibilità di fruire dell’agevolazione normativa di cui al secondo comma dell’articolo 11 della legge numero 413/1991. Avverso tale atto impositivo la società propose ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Il collegio di prossimità apprezzava le ragioni di parte contribuente, in ordine all’applicazione della legge agevolativa del 1991, tacendo sulla deduzione dei crediti per perdita, ma la sentenza veniva riformata in appello, donde la parte contribuente proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema corte con propria ordinanza statui l’inapplicabilità della disciplina agevolativa di cui alla l. n. 413/1991 e cassò con rinvio per il profilo della deducibilità della perdita dei crediti, ritenuto non adeguatamente motivato. Il giudizio veniva riassunto dalla parte contribuente, esitando tuttavia in nuovo rigetto, il giudice del rinvio ritenendo non provata l’oggettiva impossibilità di escussione dei crediti dedotti in perdita. La società ricorreva nuovamente per cassazione la parte contribuente, affidandosi ad unico motivo di ricorso.
Gli Ermellini accolgono il primo motivo nei termini di cui in motivazione e, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità affermano i principi di diritto secondo cui “… all’ipotesi di transazione quale causa della perdita del credito (e prova della sua oggettività) è stato più volte affermato essere sufficiente provare il titolo della perdita realizzativa, rimanendo insindacabile altresì la palese antieconomicità, rientrando nelle scelte dell’imprenditore (ex multis Cass. V, n. 743/2021).
Ed infatti, in tema di tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, delle perdite su crediti la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente, perché il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa, potendo legittimamente compiere operazioni antieconomiche in base a considerazioni di strategia generale ed in vista di benefici economici su altri fronti (come nella specie, la convenienza economica ai rapporti con i debitori in vista di future occasioni di commesse di lavori) (Così Cass. VI – 5, n. 10256/2013). …”
Inoltre il Supremo consesso riafferma che “… ove la decisione di transigere è in linea con i principi di cui sopra, posto che la valutazione positiva sulla deducibilità della perdita è pur sempre fondata sulla considerazione di fatti oggettivi, che rendevano ragionevole e giustificata la scelta dell’imprenditore di transigere per importo sensibilmente inferiore al credito originario, invece di proseguire nell’azione giudiziale (cfr. Cass. V, n. 10643/2018, in motivazione). …”
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