CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5396 depositata il 29 febbraio 2024
Tributi – Avviso di accertamento – IRES – IVA – IRAP – Transazioni commerciali – Operazioni soggettivamente inesistenti – Onere del contribuente di provare l’assenza di consapevolezza – Prova di buona fede e diligenza – Deducibilità dei costi – Accoglimento parziale
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate istituiva il contraddittorio con la S.I.R.M. Srl (S.), richiedendo chiarimenti sui rapporti commerciali intrattenuti con la M.M. Srl, che riteneva essere una società c.d. cartiera. Valutati i chiarimenti forniti non esaustivi, l’Amministrazione finanziaria notificava alla S. l’avviso di accertamento n. (…), relativo ad Ires, Iva ed Irap con riferimento all’anno 2013, per un importo di Euro 12.257,00 oltre accessori, in relazione a transazioni commerciali dichiarate dalla società come concluse con la M.M. Srl, che l’Ente impositore riteneva invece essere relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
2. La contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo che, reputando non provata la consapevolezza della società di essere partecipe di una frode fiscale, accoglieva il suo ricorso ed annullava l’atto impositivo.
3. L’Amministrazione finanziaria spiegava appello, avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, che accoglieva l’impugnazione, riformava la decisione della CTP e riaffermava la piena validità ed efficacia dell’avviso di accertamento.
4. La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, avverso la decisione assunta dal giudice del gravame, affidandosi a due strumenti di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate
Ragioni della decisione
1. Con il suo primo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente contesta la violazione dell’art. 39, comma 1, del Dpr n. 600 del 1973, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto essere sussistente la consapevolezza della società di partecipare ad operazioni soggettivamente inesistenti, errando anche nella ripartizione dell’onere della prova tra le parti.
2. Mediante il secondo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente censura la violazione dell’art. 14, comma 4 bis, della legge n. 537 del 1993 (come mod. dall’art. 8, comma 1, del D.L. n. 16 del 2012), avendo la CTR erroneamente ritenuto legittima la negazione della deduzione dei costi sostenuti dalla società in relazione ad operazioni contestate come soggettivamente inesistenti.
3. Mediante il primo strumento d’impugnazione la società critica, in relazione al profilo della violazione di legge, la impugnata decisione assunta dal giudice del gravame, per aver attribuito “al contribuente l’onere di dimostrare la propria buona fede a fronte della semplice contestazione dell’Ufficio di utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti … la sentenza di appello non individua alcun oggettivo elemento di riscontro circa la consapevolezza della S. Srl (S.I.R.M. Srl) di acquistare da un soggetto diverso da quello emittente le fatture contestate … l’onere della prova della divergenza soggettiva fra emittente della fattura e reale operatore economico grava sull’Amministrazione Finanziaria” (ric., p. 9).
3.1. Scrive la CTR che l’accertamento eseguito dall’Amministrazione finanziaria circa la M.M. Srl “non potrebbe essere più esaustivo: si tratta di una società … non titolare di utenze, automezzi o dipendenti; tre sedi legali cambiate in tre anni” (sent. CTR, p. III), etc. “Le fatture M.M. devono considerarsi – absente iniuria verbis – come semplice ma autentica ‘carta straccia’, in un contesto nel quale non può dunque avere ingresso qualunque considerazione relativa ad una pretesa di ‘non consapevolezza’ da parte di S.”. Richiesto di spiegare “come fosse entrato in relazione con questa società napoletana, l’amministratore” della S., “Ve.Cl. dichiara di non saperlo dire …” (sent. CTR, p. III).
3.2. In materia questa Corte regolatrice ha recentemente e condivisibilmente confermato che “in tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi“, Cass. sez. V, 9.8.2022, n.(…); e non si è mancato di specificare, anche operando riferimento alla giurisprudenza europea, invocata da entrambe le parti in questo giudizio, che “in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente“, Cass. sez. V, 30.10.2013, n. 24426 (evidenza aggiunta).
Non si era del resto omesso di chiarire, già in precedenza, che “questa Corte – in decisioni recenti – ha rilevato … che la prova, fornita dall’Amministrazione, che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sè, per la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente. L’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce, invero, ragionevolmente ad escludere in via presuntiva – a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica -l’ignoranza incolpevole del cessionario o committente circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. In tal caso, sarà – di conseguenza – il contribuente a dover provare, in applicazione di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata“, Cass. sez. V, 2.4.2014, n. 7650.
3.2. In caso di operazioni commerciali contestate come soggettivamente inesistenti, pertanto, allorquando l’Amministrazione finanziaria abbia provato che il partner commerciale del soggetto accertato è quantomeno privo di dotazione personale, ma la M.M. Srl era pure priva, a tacer d’altro, di utenze intestate e di automezzi, tutti elementi oggettivi, come correttamente ritenuto dalla CTR spetta al soggetto accertato fornire la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto.
Nel caso di specie non appare pertanto condivisibile l’affermazione della società secondo cui la prova fornita dall’Amministrazione finanziaria sarebbe limitata “alla semplice contestazione dell’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti” (ric., p. 8). L’Amministrazione finanziaria ha invece provato la frode fiscale, perché il partner commerciale della S. non era affatto in grado di operare, non aveva personale dipendente, né utenze intestate, non era proprietaria di automezzi, neppure in leasing, ed ancora “c. … risultava irreperibile agli indirizzi dichiarati; d. non aveva dato riscontro all’invito a comparire notificato dall’Ufficio; e. vi era sproporzione tra gli acquisti dichiarati nella banca dati spesometro integrato e quanto dichiarato dai fornitori della società …” (ric., p. 5 s.), come riportato e non contestato dalla stessa contribuente.
L’Amministrazione finanziaria ha quindi ampiamente provato che le operazioni commerciali dichiarate come concluse con la M.M. Srl erano senz’altro soggettivamente inesistenti, poiché quest’ultima società non era operativa, e non era in grado di concludere operazioni effettive. Avrebbe allora dovuto essere la contribuente accertata, la S., ad assicurare la prova di aver usato la diligenza richiesta per evitare di essere coinvolta in fatti di evasione fiscale, ma la ricorrente neppure allega di avere fornito una simile dimostrazione.
Il primo motivo di impugnazione risulta pertanto infondato e deve essere respinto.
4. Mediante il secondo motivo di ricorso la contribuente censura la violazione di legge in cui afferma essere incorsa la CTR per aver erroneamente ritenuto legittima la negazione della deduzione dei costi sostenuti dalla società in relazione ad operazioni contestate come (solo) soggettivamente inesistenti.
4.1. Scrive in proposito la CTR che “la deduzione dei costi imporrebbe comunque di provarne comunque l’esistenza, con mezzi – ovviamente – diversi dalla esibizione di ‘documenti’ emessi da un siffatto fornitore: nel caso di S. si continua ad invocare la buona fede, e non si tenta invece di provare la realtà di tali acquisti, neppure sotto il profilo – presuntivo ma non irragionevole – della loro necessaria correlazione, dal punto di vista della operatività aziendale, con la produzione realizzata e fatturata da S.” (sent. CTR, p. III).
4.2. La contribuente oppone che “il riconoscimento della oggettiva esistenza delle operazioni di acquisto anche se ritenute riferibili a soggetti diversi da quelli emittenti le fatture esclude che, ai fini delle imposte dirette, possa essere contestata l’indeducibilità del relativo costo . dovrà, necessariamente, riconoscersi la piena deducibilità del relativo costo, in quanto costo inerente alla produzione del reddito, nella misura in cui risulta contabilizzato ed imputato al conto economico relativo all’esercizio di competenza, essendo del tutto irrilevante l’accertamento della consapevolezza o meno della frode da parte della società cessionaria” (ric., p. 19 s.).
4.3. Al riguardo, questa Corte di legittimità ha avuto occasione di chiarire che “in tema di IRPEG ed IRAP, ai sensi dell’art.14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993, come modif. dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., in l. n. 44 del 2012, con efficacia retroattiva in bonam partem, i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti – siano o meno inseriti in una cd. frode carosello – sono deducibili per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle relative operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ovvero di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo“, Cass. sez. V, 12.12.2019, n. 32587 (evidenza aggiunta).
4.3.1. Ha ragione pertanto la contribuente ad affermare che non rileva, ai fini della deducibilità dei costi, la consapevolezza dell’acquirente che la transazione commerciale conclusa abbia natura di operazione soggettivamente inesistente.
4.4. Invero, la CTR propone considerazioni sulla insussistenza di costi deducibili fondando sulla natura soggettivamente inesistente dell’operazione commerciale, ritenendo necessaria la prova della “realtà di tali acquisti” (sent. CTR, p. III), ma nel caso di operazione commerciale (solo) soggettivamente inesistente i costi sono deducibili, altro problema è la quantificazione del loro ammontare, fermo restando che grava sul contribuente l’onere di assicurare la prova che i costi dei quali invoca la deducibilità non si pongano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, e questo accertamento deve essere compiuto dal giudice del merito. Peraltro, il difetto degli indicati requisiti è stato specificamente contestato dall’Amministrazione finanziaria, ne dà atto anche la CTR al termine dell’esposizione del fatto processuale (sent. CTR, p.III), ma nella sua decisione non esamina specificamente la questione.
5. Deve pertanto essere accolto nei limiti esposti il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, e la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di B, perché proceda a nuovo giudizio, restando ad essa demandata anche la disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso proposto dalla S.I.R.M. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rigettato il primo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di B perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio.